Anpc Reggio Emilia presenta il libro: “Carlo Zaccagnini”

Sabato 6 maggio 2023 appuntamento alle ore 17:30 per la presentazione del nuovo libro di Aldo Preda “Carlo Zaccagnini”.

Sabato 6 maggio 2023 appuntamento alle ore 17:30 per la presentazione del nuovo libro di Aldo Preda “Carlo Zaccagnini”.
Commemoriamo i martiri della strage nazista avvenuta tra il 2 aprile 1944 e il 7 aprile 1944 a Leonessa e nelle frazioni circostanti, nel corso del quale vennero uccisi 51 civili.
La commemorazione inizierà alle ore 10 nella Chiesa famedio di San Francesco e subito dopo alle ore 10.30 nella Chiesa di San Pietro prospiciente Piazza dei 51 Martiri ove si terrà una breve riunione senza la celebrazione della Santa Messa trovandoci nel giorno del Venerdì Santo che precede la Pasqua di Resurrezione del nostro Signore Gesù Cristo.
Al termine del breve incontro ci porteremo al Sacrario per onorare i caduti del territorio Leonessano e dell’Italia intera.
La testimonianza di Mons. Giuseppe Chiaretti: “Ripenso all’urlo di sua madre, la “Marona”, entrata nella chiesa di Santa Maria dove don Concezio stava facendo – in quel Venerdì santo 1944 – la tradizionale coroncina in onore dell’Addolorata nell’altare ad essa dedicato: «Fiju, scappa! Te vau cerchénno li tedeschi!» («Scappa, figlio, i tedeschi ti stanno cercando!»). Io, chierichetto di 11 anni, c’ero e ricordo tutto di quei giorni: la strage di civili perpetrata a Leonessa (Rieti) 13 giorni dopo quella delle Fosse Ardeatine, 23 uccisi tutti insieme il 7 aprile 1944, alle ore 15.Non sono più molti, ormai, quelli che ricordano l’eccidio e le urla di dolore di quel venerdì santo; io quel giorno c’ero, e non posso dimenticare. E non nascondo che, andando a Leonessa, vado ogni volta al cimitero dove i martiri sono sepolti, a salutarli tutti, uno per uno, rileggendo ora l’una ora l’altra lapide, come quella d’una moglie e mamma con i suoi piccoli figli che scrive a ricordo del marito e padre: «Sono qui pietosamente composti i resti (di Ivano Palla) nella calma della morte, dopo l’orribile strazio dell’insensata tragedia del venerdì santo, ricordando di quanto dolore e lutto siano artefici l’uomo e il popolo che non temono Dio».Dopo l’urlo di sua madre, mio cugino don Concezio Chiaretti si fermò un po’, concluse la preghiera, e uscì dalla chiesa senza alcuna precauzione. I “tedeschi” (che comunque parlavano bene l’italiano, come disse al processo un testimone: «Ma che tedeschi! Erano militi e ufficiali italiani!»…) lo catturarono subito e lo portarono con gli altri in piazza, dove si mise a pregare il breviario (lo stesso che poi si sporcherà di terra dopo l’esecuzione capitale). Perché i nazifascisti cercavano proprio lui? Il nome, la qualità e la fama di quel prete di 27 anni, cappellano militare della Julia, che se la intendeva con i giovani renitenti alla leva, disertori e “partigiani”, non potevano essere sconosciuti alle autorità del tempo, tanto più che i fascisti conoscevano già l’attività di un altro Chiaretti di Leonessa: Antonio, che a Roma organizzava la forte cellula comunista Bandiera Rossa, responsabile di vari sabotaggi. Eppure don Concezio non aveva aiutato solo i partigiani (aveva fondato il Cnl locale), ma anche i fascisti. Una dichiarazione del 26 febbraio 1944, firmata da tre militi leonessani della Guardia Nazionale Repubblicana che indico solo con le iniziali (A.R., S.G., Z.V.), dal loro comandante (R.P.), da un elettricista testimone (A.L) e controfirmata da don Concezio Chiaretti, testimonia che i tre fascisti nei pressi di Villa Pulcini furono salvati dalla fucilazione da parte di un grosso manipolo (una quindicina) di partigiani che li avevano già svestiti, proprio per la mediazione di don Concezio, che quel giorno si trovava lì a cercare qualcosa da mangiare per suo fratello malato. Dopo l’8 settembre, infatti, il sacerdote si era dedicato alle opere d’assistenza: si ricordano suoi interessamenti per aiutare una famiglia ebrea che viveva a Leonessa e le visite nel carcere comunale ai giovani militari fuggiti in montagna per non essere trasferiti ai lavori forzati in Germania. Figlio di emigrati (era nato in Canada nel 1917), tornato in Italia don Concezio aveva frequentato le scuole degli Scolopi e poi il seminario ad Assisi; a quell’epoca s’avvolgeva nel tricolore e cantava con la sua bella voce baritonale l’inno di Vincenzo Bellini ne I Puritani: «Suoni la tromba! Intrepido/ io pugnerò da forte! Bello è affrontare la morte/ gridando “Libertà”!». Fu ordinato prete il 13 luglio 1941 a Leonessa, divenne vicerettore e insegnante nel seminario vescovile di Rieti, quindi cappellano militare degli alpini. Tornato in famiglia per malattia, dovette sostituire per la settimana santa i due parroci di Leonessa arrestati come “badogliani” e trasferiti a Rieti per essere processati (riuscirà a salvarli il vescovo Migliorini, ma usciranno dal carcere solo dopo la strage del venerdì santo).Torniamo ai 23 cittadini di Leonessa radunati in piazza, scelti perché “comunisti” secondo le direttive di una malafemmina che indicava le persone da uccidere per i motivi più vari: chi non aveva sorriso alla sua attività di attricetta da quattro soldi, chi non le aveva dato generi alimentari che lei pretendeva gratis, e così via. «Sembrava invasa da una furia d’inferno», dicono i testimoni; quando seppe della cattura dei due parroci, disse: «Bene! Due preti li hanno loro (i tedeschi), uno noi: sono tutti e tre!»: la donna infatti non perdonava ai tre sacerdoti i rimbrotti per il suo malcostume. Il giorno prima aveva fatto lo stesso nel suo minuscolo paese, Cumulata, dove fece trucidare tutti gli 11 uomini (si salvò solo un ragazzo che si buttò in una concimaia), uccidendo essa stessa il fratello e chiedendo anche l’uccisione della cognata: i tedeschi rifiutarono perché era incinta. Il gruppo dei condannati leonessani fu dunque condotto ai piedi di un rialzo, mentre la gente andava radunandosi urlando, tenuta a bada dalle mitragliatrici. Don Concezio assolse e benedisse i morituri e la sua città; morì perdonando i suoi assassini, i quali senz’altro sapevano di religione come dimostra la scelta del tempo (il venerdì santo alle 15) e il luogo (un’altura fuori le mura di Leonessa, come il Calvario). I cadaveri furono poi portati su scale a pioli usate come barelle nella grande chiesa di San Francesco, ove già tutto era stato predisposto per la tradizionale processione del “Cristo morto”; la chiesa si riempì di sangue. Fu un altro Golgota con un Cristo in carne ed ossa, e lacrime e gemiti in quantità. Il giorno di Pasqua le campane non suonarono a festa per la risurrezione di Cristo, ma a lutto per i funerali. Si fecero una ventina di viaggi al cimitero per seppellire i morti.A Leonessa in quell’aprile le vittime furono complessivamente 54. Di fatto la spedizione fascista-tedesca della Settimana santa ebbe anche l’intenzione di dare una lezione alla città, ormai nota come covo di ribelli. Posso dirlo pure per motivi familiari; in quei giorni era tornato a casa, dopo la sconfitta italiana in Libia, lo zio Francesco, autista e camionista, che fu ricercato da un ufficiale tedesco (altoatesino) per riparare un loro autocarro che si era guastato. Lo zio andò nella rimessa “di Rizziero” nei pressi di Porta Spoletina e fu esortato dall’ufficiale a non uscire e a non farsi vedere in giro perché quel giorno sarebbero avvenute cose «terribili» a Leonessa. E in effetti fu così.”
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, insieme alle più alte cariche dello Stato, ha partecipato alla cerimonia commemorativa del 79° anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Dopo la deposizione da parte del Capo dello Stato di una corona d’alloro sulla lapide dedicata ai Caduti del 24 marzo 1944, la commemorazione è proseguita con la preghiera cattolica recitata dal Cappellano Militare, Mons. Sergio Siddi e con la preghiera ebraica officiata dal Rav. Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della comunità ebraica di Roma. Nell’assoluto silenzio, con molta commozione dei familiari presenti, sono stati scanditi tutti i 335 nomi delle vittime della strage nazista delle Fosse Ardeatine durante la cerimonia al Mausoleo. Sullo schermo i volti in bianco e nero dei martiri. Il silenzio è poi esploso, alla termine della lettura del lungo elenco, in un applauso. Al termine, il Presidente Mattarella ha reso omaggio, all’interno del Mausoleo Ardeatino, alle vittime dell’eccidio. (Fonte quirinale.it)
Alla Cerimonia era presente in rappresentanza dell’Anpc il Consigliere Nazionale Aladino Lombardi.
La Presidente Garavaglia ha dichiarato: “ANPC si associa al Presidente Mattarella e a tutti gli intervenuti alla Fosse Ardeatine. Quel luogo sacro alla memoria delle vittime innocenti della barbarie nazista associata al fascismo chiede a tutti i democratici di vivere ogni giorni la difesa dei valori irrinunciabili di libertà e dignità di ogni persona”. «Sono molto importanti le parole quando si vuole tramandare la storia. Alle Fosse Ardeatine sono raccolti i sepolcri di 335 vittime innocenti della furia vendicativa dei nazisti. Si è trattato di un rastrellamento come metodo nazifascista, che ha colpito ebrei, destinatari della discriminazione razziale, prigionieri politici, cittadini avversari politici. La doverosa memoria di quel eccidio deve accompagnarsi alla esplicita condanna della barbarie e alla promessa morale a impedire per sempre il ripetersi».
La Vicepresidente Nazionale Silvia Costa ha dichiarato: “Oggi il Presidente Mattarella rende onore alle vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Un Sacrario che accoglie le 335 vittime della feroce rappresaglia ordinata il 24 aprile del 1944 da Kappler in risposta all’attentato di via Rasella. Tra loro prigionieri politici del carcere di via Tasso, 75 ebrei e molti civili che furono gettati nelle cave di pozzolana . Il Comune di Roma ,sei mesi dopo , bandì un concorso per progettare quello che oggi è un solenne Sacrario, a perenne memoria degli orrori del nazifascismo e dell’anti semitismo, del massacro di vittime innocenti ma anche della resistenza. Ricordo tra gli altri il coraggioso ufficiale Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, comandante del Fronte militare clandestino, prelevato con altri dal carcere di via Tasso e medaglia d’oro al valor militare alla Memoria”.








Ricordo di Carla Roncati e Maria Romana De Gasperi di Maurizio Gentilini
“Maria Romana De Gasperi e Carla Roncati, sono state tra le fondatrici e, per lunghi anni, animatrici della ANPC. Erano cugine, entrambe scomparse da poco tempo, e che il 19 marzo avrebbero compiuto cento anni. Due donne testimoni e protagoniste della vita civile e della storia politica del Novecento. Vissero la loro gioventù nel periodo dominato dal totalitarismo fascista che portò alla tragedia della seconda guerra mondiale. Entrambe vissero la durezza degli anni della guerra e della lotta clandestina. Maria Romana, nella Roma occupata dai nazisti, si occupava del trasporto di giornali e documenti riservati tra il padre, nascosto presso istituzioni ecclesiastiche, e gli altri leader politici e futuri protagonisti della rinascita democratica del paese; Carla, a Bolzano, aiutava il padre, ingegnere delle ferrovie, a gestire i lavori sulla linea del Brennero, facendo in modo che i prigionieri di guerra impiegati nei cantieri non fossero così solerti e precisi nel riparare i danni dei bombardamenti, e aiutando quanti potevano fuggire dal locale Lager nazista.
Finita la guerra, entrambe rinunciano a presentare la pratica per il riconoscimento dell’attività partigiana, perché ritenevano quanto da loro svolto un “naturale” dovere morale. Dopo la liberazione e il ritorno alla democrazia, entrambi iniziano a lavorare per il governo: Maria Romana nella segreteria della Presidenza del consiglio (ma senza stipendio: un salario in famiglia era considerato sufficiente) e successivamente sarebbe stata giornalista, saggista e divulgatrice del pensiero e della memoria del padre; Carla iniziò al ministero per la ricostruzione, mettendo in opera i primi grandi progetti frutto degli aiuti americani, per poi proseguire la carriera nelle segreterie di molti dicasteri dove, grazie alla sua intelligenza e preparazione, poté vivere dall’interno molti passaggi nodali della storia repubblicana e molte tappe della costruzione dell’unità europea.
Consapevoli della necessità di trasmettere alle giovani generazioni i valori della libertà e della democrazia e la conoscenza della Costituzione, entrambe amavano andare a parlare nelle scuole, stabilendo con i giovani un feeling del tutto particolare, frutto del carisma e della sensibilità nella narrazione della storia del Novecento che solo testimoni diretti e autorevoli come loro potevano offrire.
Hanno concluso serenamente il proprio itinerario terreno, rammentando le ultime confidenze del padre e dello zio Alcide che, in punto di morte nel 1954, aveva detto: “Vedi, il Signore ti fa lavorare, ti permette di fare progetti, ti dà energia e vita. Poi, quando credi di essere necessario e indispensabile, ti toglie tutto improvvisamente. Ti fa capire che sei soltanto utile, ti dice: ora basta, puoi andare […]”.
Maurizio Gentilini“

Nella foto Maria Romana De Gasperi e Carla Roncati, assieme alla sorella Wanda Roncati
“Donne nella Resistenza e nell’impegno sociale. Tina Anselmi”. Con questo titolo, Anpc, CISL, Istituto Cervi e Istituto Scolastico Silvio D’Arzo hanno promosso un Convegno a Reggio Emilia presso il Museo Cervi luogo simbolo della Resistenza e dell’antifascismo a Reggio Emilia e in Italia. Testimoni autorevoli sono state 3 donne che nella loro vita personale, politica e sindacale hanno testimoniato concretamente l’adesione ai valori di giustizia sociale, uguaglianza e solidarietà contenuti nella nostra Costituzione. La Presidente Nazionale Anpc Mariapia Garavaglia, la Presidente dell’Istituto Cervi Albertina Soliani e la ex dirigente nazionale CISL Marisa Baroni hanno intrecciato i valori comuni di riferimento con le rispettive storie di relazione personale e politica con Tina Anselmi offrendo ai presenti, soprattutto ai numerosi giovani studenti, riflessioni di straordinario interesse e attualità sottolineando la grandezza etica di Tina Anselmi. Il presidente Anpc Reggio Emilia Giuseppe Pagani e la segretaria generale della Cisl Emilia Rosi Papaleo nel presentare e coordinare l’incontro hanno richiamato l’attenzione dei presenti alla necessità di rafforzare l’impegno civile antifascista e per l’autentica parità di genere.
All’incontro hanno partecipato Pierluigi Castagnetti, il senatore Graziano Delrio, il presidente Anpi Ermete Fiaccadori e la dirigente scolastica Maria Sala.








Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 162° anniversario della Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera, ha deposto una corona d’alloro sulla tomba del Milite Ignoto. All’evento hanno partecipato i Presidenti del Senato, del Consiglio dei Ministri, della Corte Costituzionale e il Vice Presidente della Camera dei Deputati. Erano altrersì presenti Autorità civili e militari, Rappresentanti Interforze e delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma. Per l’Anpc era presente il Consigliere Nazionale Aladino Lombardi.
Nella ricorrenza il Presidente Mattarella ha rilasciato una dichiarazione: “«Celebriamo oggi l’anniversario dell’Unità d’Italia, che è “Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera”. 162 anni fa, sotto il Tricolore, con i plebisciti popolari si espressero la sovranità e la volontà che, attraverso l’opera risorgimentale, avevano portato alla costituzione dello Stato italiano. Il primo pensiero va alle generazioni che hanno accompagnato questo traguardo, a quanti, con il loro operato, hanno contribuito alla nascita e alla crescita del nostro Paese, promuovendo quei valori di civile convivenza, quegli ideali di libertà e democrazia, di pace e di partecipazione allo Stato di diritto e alla comunità internazionale, che hanno trovato consacrazione nella nostra Costituzione. Viviamo oggi, con il conflitto scatenato dalla Federazione Russa in territorio ucraino, un’aperta minaccia a questi valori che ci impone una ferma risposta unitaria in seno alla comune identità europea e atlantica, affinché venga posta fine ai combattimenti e si raggiunga un duraturo accordo di pace. La Repubblica, in innumerevoli prove e, da ultimo, durante la pandemia, ha confermato sentimenti di unità e coesione stringendosi ai valori costituzionali. Gli stessi che, ispirando la nostra società, garantiscono le risorse morali necessarie a fronteggiare le sfide complesse che la contemporaneità ci mette innanzi.
La Costituzione, l’Inno degli italiani e la Bandiera sono i riferimenti che ci guidano nell’impegno comune di consolidare un’Italia fondata su pace, libertà e diritti umani».
(Fonte http://www.quirinale.it)








Il 17 marzo si celebra la “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera”. Una grande festa in occasione della ricorrenza del giorno in cui è stato proclamato il Regno d’Italia. Il 17 marzo 1861, approdo di un lungo e difficile percorso di unificazione nazionale e allo stesso tempo inizio della nostra Storia comune. La ricorrenza è stata istituita come festività civile, il 23 novembre del 2012 con la legge n. 222, con l’obiettivo di ricordare e promuovere i valori di cittadinanza e riaffermare e consolidare l’identità nazionale attraverso la memoria civica.
La Presidente Nazionale Mariapia Garavaglia ha dichiarato: “Oggi è la festa dell’Unità d’Italia. Sono stata relatrice della legge, ma la Lega non volle che fosse un giorno festivo. In tal modo non lo sa nessuno. Spero che a scuola venga ricordato con l’obbligo di insegnare l’Inno nazionale. I più non sanno che nel canto degli italiani è citata la battaglia di Legnano. Auguri Italia!”.
La scuola infatti è più di ogni altra istituzione il luogo deputato al consolidamento di radici e principi comuni per la formazione e l’evoluzione dell’unità nazionale.
Ricordiamo che quarantacinque anni fa, il 16 marzo del 1978, avvenne il rapimento da parte delle Brigate rosse del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro.
La nostra Presidente Nazionale Mariapia Garavaglia ha dichiarato: “Aldo Moro fu un martire per la difesa dello Stato democratico. Gratitudine eterna. Obbligo di farlo conoscere alle generazioni attuali e future perché ignorare la storia è un peccato mortale”.
La storia. Un commando di terroristi intercettò la vettura dello statista democristiano in via Mario Fani, alla periferia nord di Roma, all’incrocio con via Stresa, bloccando, alle 9.02, la macchina che stava portando Moro a votare la fiducia al quarto governo Andreotti, uccidendo i cinque uomini della sua scorta: due carabinieri a bordo dell’auto di Moro (Oreste Leonardi e Domenico Ricci) e tre poliziotti che viaggiavano sull’auto di scorta (Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi), per poi sequestrare il presidente della Dc.
Iniziarono così i 55 drammatici giorni del sequestro Moro, che si conclusero con il ritrovamento il successivo 9 maggio del corpo dello statista all’interno del bagagliaio di una Renault 4 rossa parcheggiata a Roma in via Caetani, distante circa 150 metri sia da via delle Botteghe Oscure, sede nazionale del Partito Comunista Italiano, sia da Piazza del Gesù, sede nazionale della Democrazia Cristiana.
Aldo Moro nato in Puglia a Maglie il 23 settembre 1916 dal 1936 nella Federazione degli universitari cattolici (Fuci), su indicazione di Giovanni Battista Montini, futuro pontefice con il nome di papa Paolo VI (a cui avrebbe scritto anche durante il sequestro), ne divenne molto presto presidente nazionale, ancora giovanissimo fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana e suo rappresentante nella Costituente, ne divenne dapprima Segretario dal 1959 al 1964 e in seguito Presidente nel 1976; all’interno del partito aderí inizialmente alla corrente dorotea, ma negli anni 1960 assunse una posizione più indipendente formando la corrente morotea. Fu Ministro della giustizia (1955-1957), della Pubblica istruzione (1957-1959) e per quattro volte Ministro degli esteri (1969-1972 e 1973-1974) nei governi presieduti da Mariano Rumor ed Emilio Colombo. Cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri, guidò governi di centro-sinistra “organico” tra il 1963 e il 1968 e tra il 1974 e il 1976 promuovendo la cosiddetta strategia dell’attenzione verso il Partito Comunista Italiano attraverso il compromesso storico e determinò la nascita del Governo Andreotti III (definito il governo della non-sfiducia) in cui il PCI garantiva l’astensione.
Molti storici sono concordi nell’affermare che con la morte di Aldo Moro, seguita il 6 agosto 1978 da quella del suo caro amico Papa Paolo IV, ebbe termine la fase politica denominata Prima Repubblica.
In occasione della giornata dedicata a tutte le donne l’ANPI ha organizzato un incontro a cura di tutte le donne delle Associazioni della Casa della Memoria dando vita a una serie di letture e testimonianze di lotta e speranza.
Le letture erano ricavate da due libri molto significativi e toccanti: Diari dal carcere di Sepideh Gholian e La casa senza finestre di Nadia Hashimi. Ha aperto l’incontro Marina Pierlorenzi, vice presidente Anpi Roma.
Annabella Gioia e Bianca Cimotta hanno illustrato in breve il contenuto dei due libri. Si è cercato di concentrare l’attenzione sulla situazione in cui versano le donne iraniane con la testimonianza di Parisa Nazari mediatrice interculturale attivista iraniana residente in Italia. Testimone della situazione afghana doveva essere Robina. Hajizada studentessa afghana, ma purtroppo è stata investita lungo la strada che percorreva per recarsi all’incontro. Ora è ricoverata ma non è in pericolo di vita.
Le rappresentanti della associazioni hanno a turno letto alcuni capitoli dei libri presentati. Per l’ANPC ha letto un capitolo del libro di Gholian la nostra vicepresidente Cristina Olini. La serata si è conclusa con una performance di musica sul terrazzo della Casa della Memoria. All’incontro erano anche presenti per la nostra associazione Aladino Lombardi, Gianfranco Noferi e Rosaria Ricozzi.






“Un grande europeista con salde radici nei valori fondamentali della nostra Costituzione e attenzione ai più vulnerabili. Stiamo parlando di David Sassoli, a cui l’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani della Città Metropolitana di Milano ha dedicato un incontro che si è svolto lo scorso 7 marzo presso la sala della Biblioteca Comunale di Cassano d’Adda. Al centro della partecipata serata, nata in collaborazione con diverse associazioni del territorio, il libro che Gianni Borsa, corrispondente dell’agenzia Sir da Bruxelles, ha dedicato proprio all’ex presidente del Parlamento Europeo: “David Sassoli, la forza di un sogno”.
Introdotto dalla presidente di ANPC Milano Luisa Ghidini, Borsa ha offerto un efficace ritratto di David Sassoli, a partire dalla sua formazione, all’insegna dei valori del cattolicesimo democratico, nella Roma degli anni ‘70, dove alle suggestioni post conciliari si affiancavano le drammatiche vicende degli anni di piombo. David ha ereditato dal padre la passione per il giornalismo e ha partecipato alla vita politica fin dagli anni della giovinezza, maturando riflessioni e impegno con amici come Paolo Giuntella o Giovanni Bachelet, con cui ha condiviso l’entusiastico appoggio a Benigno Zaccagnini e al suo tentativo di dare nuova linfa alla DC. Dopo una brillante carriera giornalistiche, che lo ha portato fino alla conduzione del TG1 delle 20, con cui è entrato in punta di piedi nella case di milioni di italiani, Sassoli, su invito dell’amico Dario Franceschini, allora segretario del PD, nel 2009 accettò di candidarsi per le elezioni europee e ottenne uno straordinario successo personale con oltre 400.000 preferenze. Gianni Borsa ha conosciuto e frequentato Sassoli proprio nella veste di europarlamentare, apprezzando la sua capacità di entrare nel merito di questioni complesse e di costruire significative relazioni con molti altri politici europei. Ma è da Presidente del Parlamento Europeo, ha raccontato Borsa, che David ha dato il meglio di sé, affrontando con coraggio e determinazione una delle stagioni più difficili dell’Unione Europea, quella della Pandemia: è anche grazie alla lungimiranza di Sassoli, ha spiegato il giornalista del Sir, che le istituzioni europee sono riuscite a dare una risposta unitaria e solidale a questa emergenza. Dal libro “David Sassoli, la forza di un sogno” emerge una figura di grande rilievo politico, culturale e spirituale, come ho sottolineato a mia volta nel corso della serata alla quale ero invitato proprio come giornalista e come ormai ex capogruppo del PD in Lombardia. A mio giudizio, con la sua capacità di ascolto, di rispetto della realtà e delle persone, Sassoli ha offerto un grande esempio che dimostra come sia possibile pensare a un’Europa capace di essere dalla parte dei cittadini e, soprattutto, dei più poveri.
Fabio Pizzul”.



