ANPC Nazionale

Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

Archivi per il mese di “giugno, 2013”

Il campo di internamento di Ferramonti: una storia poco conosciuta che bisogna ricordare!

 “Il campo nel comune di Tarsia (CS), è stato il principale (in termini di consistenza numerica) tra i numerosi luoghi di internamento per ebrei, apolidi, stranieri nemici e slavi aperti dal regime fascista tra il giugno e il settembre 1940, all’indomani dell’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale. Il campo fu liberato dagli inglesi nel settembre del 1943, ma molti ex-internati rimasero a Ferramonti anche negli anni successivi e il campo di Ferramonti fu ufficialmente chiuso l’11 dicembre 1945. Conseguentemente, dal punto di vista cronologico degli eventi della seconda guerra mondiale, ha già un suo peculiare primato: fu in assoluto il primo campo di concentramento per ebrei ad essere liberato e anche l’ultimo ad essere formalmente chiuso”. (wikipedia.it)

Per saperne di più: http://www.museoferramonti.it/ e http://www.itismt.it/ferramonti/

Il 25 Novembre 2013 commemoreremo in un convegno questo campo di concentramento nel 70° anniversario della Liberazione del campo.

Le radici della nostra Repubblica. Triangoli di memoria – Montecitorio, Sala della Regina

Galleria fotografica dell’evento del 30 Maggio 2013

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, con la Vice Presidente della Associazione Nazionale Partigiani Cristiani (ANPC), Carla Roncati

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, con la Vice Presidente della Associazione Nazionale Partigiani Cristiani (ANPC), Carla Roncati

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, durante l'iniziativa "Le radici della nostra Repubblica. Trangoli di memoria"

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, durante l’iniziativa “Le radici della nostra Repubblica. Trangoli di memoria”

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, durante l'iniziativa "Le radici della nostra Repubblica. Trangoli di memoria"

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, durante l’iniziativa “Le radici della nostra Repubblica. Trangoli di memoria”

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, saluta insieme a tutte le relatrici dell'iniziativa "Triangoli di Memoria", Mirella Stanzione, Membro del Comitato d'onore dell'Associazione Nazionale ex Deportati (ANED)

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, saluta insieme a tutte le relatrici dell’iniziativa “Triangoli di Memoria”, Mirella Stanzione, Membro del Comitato d’onore dell’Associazione Nazionale ex Deportati (ANED)

Discorso della Presidente della Camera Laura Boldrini.

“Buongiorno e benvenute a tutte e a tutti. Un benvenuto agli insegnanti e alle insegnanti, che considero un presidio di democrazia e di legalità, essenziali anche nella funzione fondamentale di trasmettere la memoria.

Ringrazio le organizzatrici di questa iniziativa per il suo alto valore storico e civico. Ringrazio quindi Nella Condorelli e Rosa Villecco Calipari. Il mio saluto particolare è rivolto a Mirella Stanzione, a Vera Salomon Michelin, a Carla Roncati, a Marisa Ombra e Giovanna Massariello. Sono grata a tutte le persone che danno vita a questa giornata.

Il ruolo delle donne nella Seconda guerra mondiale e nella Resistenza italiana è oggetto da vari anni di un rinnovato approfondimento della ricerca storiografica e delle testimonianze.

Le risultanze di questo importante lavoro portano a superare alcuni assunti – talora anche stereotipati – del patriota uomo, del partigiano coraggioso e indomito e del sacrificio virile. Senza nulla togliere alle formazioni partigiane, composte da uomini giovani e qualche volta giovanissimi, al loro ardore e alla loro abnegazione civile, oggi sappiamo che l’esperienza delle donne nel biennio 1943-1945 durante l’occupazione tedesca d’Italia fu un passaggio storico che merita un’analisi e un posto tutto proprio.

Le donne patirono la violenza dell’occupazione e gli stenti della guerra con il medesimo coraggio e la stessa determinata resistenza.

Uno degli aspetti, più drammatici e significativi al contempo, dell’esperienza delle donne nella Seconda Guerra mondiale è quella della deportazione. Deportare: un verbo terribile. Significa strappare a forza, sradicare. Il campo di concentramento di Ravensbrück Fürstenberg-Havel’ nella Germania orientale, appare un caso emblematico.

E’ noto che dai campi di concentramento di transito in Italia (come, per esempio, Fossoli di Carpi, vicino Modena) le persone deportate venivano convogliate in Germania. Al campo di Ravensbrück furono internate circa 45 000 donne, di cui circa 800 italiane. Era entrato in funzione nella primavera del 1939 ed era riservato alle donne, in grande maggioranza prigioniere politiche provenienti da tutti i paesi invasi e occupati dalle truppe tedesche: Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Francia oltre che Italia.

Nei campi di concentramento le donne morirono per sfinimento, fame, per paura, per malattie e persino per esperimenti medici (l’eugenetica). A Ravensbrück morirono anche di freddo, per via del clima rigido di quell’angolo d’Europa.

Le donne deportate che sopravvissero raccontarono poi la loro prigionia: storie di spossatezza, di deperimento, di esposizione ai parassiti e alle malattie. Per le più giovani, anche storie di violenza e di abuso. Il lager segna per tutte l’«esperienza del limite», giacché non esiste un ordine simbolico nel quale inserire la perdita del carattere della propria umanità, spenta e azzerata irrimediabilmente.

Chi sperimenta il lager apprende ben presto di essere vittima di una precisa e spietata logica del terrore. Il Terzo Reich eleva, tra il 1940 e il 1945, la politica del massacro contro i civili a suo credo. Una strategia che si accompagna a molte tipologie di violenza diffusa come rastrellamenti, uccisioni indiscriminate di singoli prigionieri o di partigiani, di renitenti alla leva o di disertori.

Permettetemi prima di chiudere un’amara nota personale: l’esperienza drammatica della Seconda guerra mondiale non ha impedito che simili atrocità si ripetessero. Troppo spesso siamo portati a pensare che la pace che viviamo noi in questa parte del mondo sia di tutti. E invece no. Ci sono decine di conflitti ancora in corso, e le tecniche di annientamento che vengono usate sono quelle che vennero messe a punto allora. Nella mia precedente esperienza di lavoro all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ho visto in varie parti del mondo migliaia di persone in fuga da persecuzioni, violenze e sopraffazioni. I civili utilizzati come obiettivo militare, la guerra non più tra eserciti ma contro persone inermi. Lo stupro come arma di guerra, ieri in Bosnia e oggi ancora in Congo. Sull’altra sponda dell’Adriatico, negli Anni Novanta, c’erano i campi di concentramento per le donne stuprate. Cosa si fa in questi casi? Me lo sono chiesta spesso, nella mia attività degli anni scorsi. Se la diplomazia fallisce, si deve intervenire militarmente? A volte ho pensato di sì. Ma poi ho visto che l’intervento militare non sempre è stato risolutivo e che, anzi, spesso peggiorava la situazione.

Oggi quindi è importante ricordare, ricostruire con cura, fissare nella memoria le testimonianze, riflettere. Riflettere, ragazzi. Ci sono decine di pagine facebook che inneggiano a quegli orrori. Dobbiamo riflettere, per riconoscenza a chi ha dato la vita per la nostra democrazia; per il nostro presente e come promessa per le future generazioni, affinché questa memoria sia di antidoto al ripetersi di questi e di altri orrori.
Buon lavoro e grazie.

Il treno che bucò il fronte di Stefano Ballini

Segnialiamo il film amatoriale di Stefano Ballini sulla memoria, distribuito esclusivamente in internet.

Con il Patrocinio della Regione Emilia Romagna, Regione Toscana, Provincia di Lucca, Provincia di Firenze, Comune di Marzabotto, Comune di Stazzema, Unione Comunale del Chianti Fiorentino (Tavarnelle VP, San casciano VP, Barberino VE)

Inoltre patrocinio di: Comitato Onoranze per i Martiri di Sant’Anna di Stazzema, Associazione Martiri di Sant’Anna, Associazione Familiari Vittime Eccidio di Marzabotto, Parco Nazionale della Pace.

Il film è visibile gratuitamente all’indirizzo http://www.treno1944.com .

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dopo avere visto il video lo ha invitato a partecipare al giorno della Memoria al Quirinale il 29 Gennaio 2013.

 

 

Odoardo Focherini: ribelle per amore,beato per il nostro tempo

Fedele laico di Azione Cattolica, amministratore dell’Avvenire d’Italia, fu un martire della fede: morì infatti in un lager nazista nel 1944 per aver salvato molti ebrei. Il 15 giugno sarà beatificato a Carpi.

(Per leggere tutto l’articolo clicca su: http://www.incrocinews.it/arte-cultura/odoardo-focherini-ribelle-per-amore-br-beato-per-il-nostro-tempo-1.76Odoardo Focherini971).

COSTITUITI A FROSINONE I GRUPPI DI “RESISTENZA E COSTITUZIONE”

Si è svolto a Frosinone nelle sede provinciale delle ACLI un incontro, tra il Presidente regionale e Commissario delle ACLI di Frosinone Soldatelli e il Presidente Provinciale dell’Ass. Naz. Partigiani Cristiani Costantini e i loro collaboratori, per la costituzione dei gruppi di lavoro di “Resistenza e Costituzione”.
I Gruppi avranno il compito di tenere vivo, anche nella nostra provincia, la memoria di quei valori che aiutarono gli Italiani ad uscire dall’abisso della dittatura e della guerra e di ritrovare quel coraggio che permise di salvare la nostra Patria contro ogni speranza.
Nel corso del cordiale incontro sono state individuate alcune iniziative da svolgere a breve e medio termine per il concreto inizio dell’attività  dei Gruppi stessi.
Il rappresentante dell’A.N.P.C. ha fatto omaggio al Commissario di alcune pubblicazioni curate dall’Associazione con il contributo della Regione Lazio.

Frosinone

Memoria della Resistenza e pacificazione degli italiani

Ci ha scritto un carissimo amico, figlio di una grande personaggio della DC, domandandoci se il nostro modo di celebrare la Resistenza, non abbia il risultato di impedire la “pacificazione” degli italiani. Così abbiamo risposto.

Caro Nicola,

ho messo da parte la tua lettera perché ritenevo che la tua franchezza e la mia stima per te rendessero necessaria una spiegazione. Tu pensi che si “debba superare una volta per tutte il capitolo della Resistenza e definirla come tanti storici ormai già fanno una guerra civile tra due minoranze”. E questo sarebbe “un contributo maggiore ad una storia italiana finalmente condivisa”.

Come tu ben sai, il giudizio storiografico non è mai neutrale ed è sempre attuale. Giudicare un episodio della storia romana ci serve per collocarci nella storia attuale. Ora la definizione della Resistenza come guerra civile tra due minoranze è riduttiva rispetto a quello che realmente avvenne. Certamente il peso maggiore della sconfitta italiana prima e della sconfitta tedesca poi fu determinato dall’intervento alleato. Certamente l’azione militare dei partigiani sostenuti dalla alleati  fu limitata per le particolari condizioni della occupazione tedesca. Tuttavia grazie a questo contributo sopravvisse una identità ed una continuità dello Stato italiano. Non vi fu quel vuoto che si verificò, ad esempio, nella storia tedesca.

Ma la Resistenza non fu solo di “poco più di centomila partigiani”. Questi potettero operare perché esisteva un atteggiamento di tutta la società civile, come ben dice Scoppola, che cominciando dal dare aiuto ai prigionieri, dal nascondere gli ebrei, dal trovare rifugio ai renitenti alla leva, dallo sfamare gli sbandati, dal curare i feriti,  fino al nascondere gli stessi partigiani si dichiarò contraria all’occupazione tedesca e a coloro che la sostenevano.

È questo il motivo per cui un grande numero di sacerdoti partecipò alla Resistenza e 440 di essi furono uccisi perchè venivano identificati come capi e maestri naturali di una società che rifiutava l’imbarbarimento della guerra civile.

Ma era solo l’avanguardia di una società impregnata di cristianesimo che non voleva arrendersi agli spietati comportamenti della guerra e delle ideologie di guerra. Così si salvò un modo di essere della identità italiana. Questo giudizio storiografico sulla Resistenza si distingue sia dalla polemica contro “l’attendismo” fatta dai comunisti (che valorizzavano le loro azioni militari e ritenevano debole la resistenza civile), sia dal giudizio della “zona grigia” (che immagina che la grande maggioranza degli italiani assistesse neutrale ed impaurita allo scontro di due minoranze violente), che sarebbe stata la vera realtà italiana di quel periodo. Questo giudizio storiografico non esclude assolutamente la condanna delle vendette non necessarie, altrettanto disumane e illegali, e non presuppone la mancanza di pietà per i vinti. Per spiegarti bene il giudizio sulla parte “giusta” ti porto un esempio più antico e meno discusso. Io ho simpatia per quei cattolici meridionali che insorsero contro i francesi che avevano occupato il Regno di Napoli in difesa dei loro principi religiosi, della loro patria, della loro legittima monarchia. Non erano eroici? Furono eroici e non ebbero mai il riconoscimento che ebbero, nella medesima situazione coloro che combatterono i francesi nella Spagna o nella Germania occupate, dove gli insorgenti sono considerati eroi nazionali.

Ma, detto questo, devo anche dire che rispetto ai principi che avrebbero fondato l’unità d’Italia essi furono dalla parte sbagliata, senza che venga meno il mio rispetto e la mia ammirazione.

Esprimere un giudizio più pacato è necessario per una necessaria pacificazione, ma la pacificazione non deve essere una rivalutazione  e  una deformazione del giudizio storiografico. I sostenitori di una revisione del giudizio storiografico  incominciano mai a pacificarsi con quei personaggi del fascismo (Grandi, Ciano, Bottai) i quali, in un organo, allora considerato legittimo, decisero di licenziare Mussolini con il suo stesso consenso. Non ho visto nessun gesto di comprensione, di rivalutazione o di revisione del loro operato. Rimane per essi valida la loro fucilazione a Verona.

Infine, come dice Scoppola, resta il fatto che la Costituzione si fonda su quel giudizio storiografico e da esso prende forza e vigore la identità italiana, riscattata dagli errori delle varie ideologie novecentesche.

Per quanto riguarda la tua opinione di ricordare anche il contributo degli ufficiali e dei soldati dell’esercito italiano, sono d’accordo con te. Noi ricordiamo i Partigiani Cristiani per rivalutare il contributo dei cattolici, ma con esso anche il contributo dell’esercito italiano, di tutti gli italiani, dei soldati italiani che preferirono il campo di concentramento per non rinnegare il loro giuramento, approvando pienamente l’invito di Ciampi a valorizzare e a celebrare anche questa Resistenza.

Inoltre non ho alcuna difficoltà ad ammettere che il fascismo ebbe il consenso del popolo italiano fino al 1938, anche se questo consenso era inquinato da una violenza psicologica e morale più sottile e più inaccettabile della già inammissibile violenza armata del manganello e dell’olio di ricino.

Siamo in ogni caso figli della nostra storia e dobbiamo tutti in ogni momento prestare attenzione ad essa,

Tuo Bartolo

2 giugno 2013 Montelana (Pc)

ANPC PIACENZA – discorso 2 Giugno del Presidente Mario Spezia

Il 2 giugno 1946 si  verificarono, contemporaneamente tre grandi eventi della nuova storia italiana: il Referendum Monarchia – Repubblica, l’elezione della Assemblea Costituente, il voto politico a suffragio universale: quindi il voto alle donne.

Non tutto era stato semplice, come si può immaginare; si trattava della prima, vera, fondamentale prova di operatività istituzionale che il Governo, emanazione del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale), doveva affrontare.

Non era solo questione di rivendicare ed imporre un concetto, una prassi democratica; si trattava di rompere tabù che si perdevano nella notte dei tempi e superare la paura che questa Italia così unita nella sua territorialità e nella sua religiosità, ma così scomposta nella sua società civile, potesse non rispondere positivamente a quel sentire repubblicano, di gran lunga maggioritario all’interno della Consulta Nazionale e del Governo.

In effetti  il voto unanime con il quale l’Assemblea Costituente decretò la nascita della nuova Costituzione, accusava, da un lato dentro di sé, tutta l’immane tragedia che la guerra aveva calato sull’Europa e sull’Italia, in termini di morti, di stermini, di distruzioni e di epocali trasmigrazioni; dall’altro poteva contare quasi unanimemente, nella sua diretta provenienza partigiana laddove “…si verificava… un’insurrezione che era totalmente politica e che fu la nascita, la fabbrica di una democrazia“ (Giorgio Bocca: Repubblica).

“La nostra Resistenza fu un evento rivoluzionario come fatto, ma il cui esito fu il superamento della Rivoluzione per arrivare ad una piena cultura della democrazia” (Pietro Scoppola: Repubblica).

La Resistenza fu dunque anche e soprattutto una prima fase Costituente, la premessa e la promessa di una Costituzione Democratica, il nerbo, l’ossatura per una nuova volontà e mentalità tesa all’instaurazione di un sistema definitivamente democratico in Italia.

E per la  Resistenza questi territori, e le sue popolazioni, hanno visto e recitato una parte fondamentale ed indimenticabile.

A cominciare dalle ore 12 del 24 maggio 1944 quando, al rintocco delle campane, Morfasso diventa la prima amministrazione democratica, ufficialmente creata, nell’Italia occupata e Paolo Selva (il comandante Selva – Vladimiro Bersani) ne diviene il primo Sindaco.

E’ questo il primo atto concreto che segue l’organizzazione, in Val d’Arda, delle truppe partigiane a partire dall’8 settembre ’43; organizzazione che il CLN piacentino aveva affidato al comandante Selva per arrivare all’unificazione delle formazioni partigiane della Val d’Arda conclusa l’11 Aprile del 1944 con la costituzione della 38° Brigata d’Assalto Garibaldi al comando di Selva che chiama Prati come suo vice; Brigata che ha al suo interno i distaccamenti:

–        quello pilota,sul monte Lama e sul monte Santa Franca;

–        un altro al comando di Primo Carini (Pipp), a Settesorelle;

–        un terzo al comando dello Slavo, sul monte Moria;

–        un altro al comando di Inzani.

 

Il primo atto ufficiale fu la liberazione  di Morfasso e dei comuni dell’alta Val d’Arda a cui fece seguito il primo rastrellamento tra il 4 ed il 10 giugno ’44, che causò un comprensibile disorientamento tra le formazioni partigiane ma quell’ operazione bellica preannunciata con tanta sicurezza, fallì completamente.

Citiamo testualmente i ricordi del comandante Prati:

Ero ansioso di fare l’inventario dei guasti subiti dalla nostra organizzazione.

Purtroppo se sul Lama era andata bene, la fatalità aveva lasciato il suo segno funesto in altre zone. Fu così che avemmo i primi Caduti. Nel pomeriggio del 3 giugno la formazione del Pip con i suoi trentacinque patrioti, si era portata su Gropparello e aveva attaccato la stazione di avvistamento contraereo installata a Casa Boccacci. Gli spauriti territoriali che ne componevano la guarnigione furono in breve costretti alla resa e lasciati liberi di tornare alle loro famiglie dopo aver, ovviamente, consegnato le armi. Poiché la stazione era dotata in abbondanza di munizioni e materiale di vettovagliamento, il Pip dovette provvedere a reclutare il camioncino Fiat 604, di certo Luigi Gallinari da Groppovisdomo, per trasportare il suddetto materiale fino a Prato Barbieri. Da lì, a mezzo di tregge montanare, trainate da buoi, sarebbe stato fatto giungere al loro quartiere sul Santa Franca.

Perché provvedessero a questa incombenza furono fatti salire sull’automezzo anche tre partigiani: Antonio Rossetti da Gropparello, Giuseppe Carini da Generesso, Benvenuto Carini da Teglio. Il resto degli uomini con il Pip sarebbe giunto a piedi più tardi all’accampamento. Al termine della strada autocarrabile i tre reclutarono nella notte buoi e slitte a Guselli e Prato Barbieri e su queste avviarono il materiale a destinazione. Sorpassate di qualche centinaio di metri le case di Montelana, lasciarono proseguire i civili da soli (tanto sapevano che all’accampamento erano rimasti di guardia alcuni dei loro compagni) e si fermarono sul ciglio della strada per attendere il resto del distaccamento.

A quell’altezza, oltre mille metri, a quell’ora, di notte, benché si fosse già al 4 di giugno, era piuttosto freddo. Non fu difficile raccogliere sterpi e frascume di faggio, abbondante nella zona, ed accendere un bel fuoco ristoratore. La stanchezza ed il tepore li portarono gradualmente al sonno senza aver prima predisposto turni di guardia poiché si sentivano al sicuro. Fu invece quel sonno una mortale trappola del destino.

Improvvisamente infatti, all’incerta luce dell’alba lungo il sentiero che da Prato Barbieri per Montelana porta al S. Franca, si profila una lunga colonna di tedeschi che spinge davanti a sé alcuni civili. 

Le donne e gli anziani del piccolo paese stanno seguendo con terrore, da dietro le rustiche persiane socchiuse, la lunga schiera che ormai sta affrontando l’erta sassosa che porta al monte. Neppure loro sanno dei tre addormentati a pochi metri dalle case.

Ormai anche la retroguardia ha superato il paese e i trepidanti montanari pensano che il peggio sia passato; ma si sbagliano. Un sinistro crepitio rompe improvvisamente il silenzio della valle. Chi avranno colpito? Tremano e si chiudono nelle case, mentre fuori grida di trionfo fanno eco agli spari.

Il nemico, partito da lontano per distruggere per sempre i ribelli del Lama e del Santa Franca, finalmente li ha incontrati! Una preda facile: tre giovani che la stanchezza e la sicurezza di aver i compagni alle spalle aveva offerto alle sue armi nel sonno. Non ha pietà, non sente vergogna di colpire in modo così vile e facile.

Li ha abbandonati lì, sul sentiero montano, con il viso lacerato dagli squarci delle ferite; i miseri corpi rattrappiti nelle innaturali contrazioni in cui li ha fissati l’estremo spasimo della morte.

Sono i primi tre caduti della “Valdarda”. La sera stessa, don Giuseppe Borea, parroco di Obolo, saputo dell’eccidio si reca sul posto sfidando il nemico per benedire e ricomporre le salme straziate ed il giorno che seguì le fece trasportare al cimitero della sua parrocchia dove provvide alla tumulazione provvisoria.

Un’altra fucilazione si ebbe il pomeriggio di quella stessa domenica al vicino passo di Santa Franca. Il giovane Eugenio Silva di Tiramani, ventenne, imbattutosi nel bosco in una pattuglia, venne fucilato sul posto. Inutilmente aveva alzato le mani  in segno di resa.

            Non vi era l’alternativa della cattura e della prigionia? Quei quattro giovani facevano parte dei partigiani che fino a quel giorno avevano rilasciato senza offesa e senza danno tutti i militi, pur catturati in combattimenti, che si erano insediati nella loro montagna per braccarli e perseguitarli. Poche ore prima ne avevano rimandati alle loro case diciassette. Chiedevano solo di essere lasciati in pace, di non essere costretti a servire ancora un padrone che non riconoscevano legittimo, un regime che tante sventure aveva portato alla patria.

            “Sono ribelli, sono fuorilegge!” era la trasparente scusa dietro cui i nemici di Berlino e di Salò tentavano di giustificare le loro tristi azioni di quei giorni e lavare la loro coscienza. Era la giustificazione del più forte.

Erano  ribelli: sì, ma anche uomini con una loro legge: legge d’onore, per la quale erano morti. Vennero pensieri di vendetta a quella notizia, ma tornò subito la riflessione ed il senso della propria coscienza e della propria dignità; continuammo ad essere i cavalieri della montagna che seppero trattare i loro nemici da creature umane. (così ricordava nel suo libro quegli avvenimenti il comandante Prati)

 Dal sacrificio di questi ragazzi, ma anche dei tanti civili, dall’impegno dei sacerdoti e della popolazione intera, così come ancora recentemente dimostrato dall’avvio dei processi di Beatificazione di don Beotti e del prof. Berti, si può affermare che dal crogiolo della Lotta di Liberazione, dalla guerra partigiana e dall’impegno Resistenziale, la nostra Costituzione porti l’impronta di uno spirito universale.

            Ne consegue chiaramente che ogni eventuale sostanziale revisionismo della stessa deve assolutamente corrispondere a comprovate necessità istituzionali e deve interpretare un’esigenza sentita dalla stragrande maggioranza degli italiani in modo che sia evidente il rispetto dello  storico e quasi sacrale valore della nostra Costituzione.

Valori che dobbiamo perpetrare e rivivere in nome di questi nostri eroi che ci hanno permesso di vivere in una società ricca e prospera, è in nome e nel ricordo loro che dobbiamo rivivere anche questo 2 giugno alla ricerca dei valori e degli ideali.

 

E il compito è affidato personalmente ad ognuno di noi, nessuno escluso; sull’esempio di chi, in passato, si è battuto per il bene ed il progresso dell’intera comunità con uno slancio ed uno spirito sempre rivolto al bene comune, dobbiamo anche noi, ognuno di noi, nel momento della difficoltà, della crisi, della messa in discussione delle certezze che ci hanno accompagnato in questi anni, dobbiamo ritornare a comprendere la necessità dell’impegno personale quale molla fondamentale per la crescita sociale.

Sforzandoci di tornare a rivivere un impegno diretto, sociale e politico, che possa rappresentare il viatico alla ripartenza, al recupero del dialogo sociale per  una comunità che ritorni a ragionare e lottare insieme, con speranza e fiducia alla ricerca del bene comune.

Nuove e pericolose nubi minacciano infatti la nostra democrazia e la nostra società.

La democrazia, elemento indispensabile per la costruzione di una società veramente libera e giusta basata sul rispetto della persona umana, è un bene sempre a rischio, che abbisogna di continua linfa ed energie, altrimenti rischia di afflosciarsi e, pian piano, venire meno.

La ricerca di nuove forme e modalità Istituzionali, che, puntando sulla semplificazione e sul populismo, avvelenano le menti e gli animi abbisognano di un opinione pubblica attenta e consapevole in grado di giudicare, oltre la facile propaganda mediatica, il limite che si può raggiungere, ma non oltrepassare .

Come ad esempio il dibattito che si è aperto sul “vincolo di mandato”; il principio, cioè, secondo il quale il parlamentare (ma vale per qualsiasi eletto i ogni forma e genere di istituzione)) deve obbedire al proprio gruppo, al proprio partito, al proprio schieramento.

Teoria che, sempre di più, sta trovando proseliti e seguaci nell’intera opinione pubblica superficialmente disattenta ma, soprattutto,  stanca dei continui “battibecchi” e dell’inconcludenza della classe politica.

A tal proposito, l’articolo 67 della nostra Costituzione Repubblicana cita testualmente: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

Con ciò stabilendo senza indugi che i parlamentari eletti sono liberi di esercitare le loro funzioni senza essere obbligati a votare come dice loro il partito con cui sono stati eletti.

L’articolo 67 fu proprio concepito, come osservano illustri costituzionalisti,  per garantire la libertà di espressione ai membri del Parlamento: il legame tra l’eletto e gli elettori viene dunque concepito come “responsabilità politica”, non come un “mandato imperativo”, che è espressamente vietato.

A maggior ragione, se il venire meno del vincolo di mandato viene associato con l’attuale legge elettorale, chiaramente antidemocratica, ne consegue che il Parlamento sarebbe  soggetto al volere, incontrastato ed incontrastabile, di pochi capi bastone che lo potrebbero usare a proprio uso e consumo sottraendolo alla volontà popolare (e libera) che il parlamentare deve interpretare.

Durante i lavori dell’Assemblea Costituente, tra il 1946 e il 1947, la questione del libero mandato venne discussa ampiamente. Uno dei relatori, il giurista Costantino Mortati, disse:

«Sottrarre il deputato alla rappresentanza di interessi particolari significa che esso non rappresenta il suo partito o la sua categoria, ma la Nazione nel suo insieme».

Questo, poi adottato a maggioranza, era il senso di quel principio tutelato nella Costituzione entrata in vigore nel 1948.

Il parlamentare, quindi, non può accettare alcuna istruzione o direttiva vincolante quando esercita le sue funzioni: può, al contrario, agire liberamente e non esiste alcun mezzo giuridico per costringerlo a rispettare eventuali accordi, né lo si può citare in giudizio a rispondere del suo comportamento e delle sue scelte. Lo ha stabilito anche una sentenza della Corte Costituzionale (n. 14 del 1964).

In questo principio, poco conosciuto, è racchiusa una delle basi della democrazia e la certezza del mantenimento della libertà che gli eroi che oggi ricordiamo hanno dovuto ottenere a costo della vita (a puro titolo di esempio ricordiamo che Il mandato imperativo – il contrario cioè del vincolo di mandato – è presente soltanto in quattro Paesi al mondo: Portogallo, Bangladesh, India e Panama).

Ritengo quindi che in occasione di questo 2 giugno 2013 non vi sia promessa più valida e più civilmente produttiva, e maggiore riconoscimento al sacrificio estremo dei ragazzi che oggi qui commemoriamo, di quella di dichiararci punti fermi nella difesa della Costituzione innanzi a tentativi di modifica che non rispettino i parametri essenziali della natura e dell’essere di questa nostra Repubblica.

Da qui il forte richiamo, che in continuazione ci viene dal Presidente Napolitano  per cercare con determinazione di assumere dalla Costituzione la forza ed il senso di un impegno civile e solidale di tutti gli italiani anche contro le generalizzazioni e le drammatizzazioni tendenti a smontare, ritenendolo inutile e superato, parte del nostro sistema Istituzionale e politico.

Perciò è oggi importante ricordare un valore fondamentale che ci viene dalla  Resistenza e che ha segnato profondamente la vita ed il destino di tanti giovani e cioè il concetto della “responsabilità personale”; concetto nuovo e, se vogliamo, rivoluzionario per quei tempi segnati da un regime che dell’annullamento della persona umana aveva fatto il proprio credo. 

Ma valore importante e nuovo anche oggi all’interno di una società troppo individualista ed incolore.

 

“La Resistenza che continua deve preservarci dall’abitudine del comodo quotidiano, dell’indifferenza verso i problemi degli altri, come se non fossero anche i nostri. 

Di questi sentimenti devono essere permeate le nostre azioni, dobbiamo essere ancora una volta con un solo spirito: quello del bene comune. 

Ciò è vivere, non sognare.” 

Così scriveva pochi anni fa, Felice Ziliani, comandante partigiano e per decenni

protagonista dell’ Associazione Partigiani Cristiani, un Ribelle per Amore che, purtroppo, anche Lui con la sua scomparsa ci ha  lasciati più soli.

E’ con la freschezza di spirito e la giovinezza di pensiero di questo giovane, allora ultraottantenne, che lanciamo lo sguardo speranzoso  al domani anche  per rammentare, in un momento di sfiducia verso il sistema Istituzionale e politico e di disorientamento verso la grave crisi economica che rimette in discussione certezze e tranquillità che sembravano definitivamente acquisite, l’importanza ed il ruolo fondamentale ed insostituibile della Democrazia e della Libertà e soprattutto vogliamo e dobbiamo con ciò ricordare a tutti noi la necessità che per la difesa di questi principi e valori è necessario ed indispensabile, come lo è stato per la lotta di Liberazione, che ognuno di noi porti il proprio contributo e svolga al meglio la propria parte nell’interesse comune.

Viva la Patria, viva la Repubblica, viva l’Italia

Mario Spezia

Presidente Provinciale di Piacenza

Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

Santuario di Santa Franca 2 giugno 2013

Clicca qui per vedere il volantino ufficilae della celebrazione del 2 Giugno 2013 : volantino ufficiale

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