2 giugno 2013 Montelana (Pc)
ANPC PIACENZA – discorso 2 Giugno del Presidente Mario Spezia
Il 2 giugno 1946 si verificarono, contemporaneamente tre grandi eventi della nuova storia italiana: il Referendum Monarchia – Repubblica, l’elezione della Assemblea Costituente, il voto politico a suffragio universale: quindi il voto alle donne.
Non tutto era stato semplice, come si può immaginare; si trattava della prima, vera, fondamentale prova di operatività istituzionale che il Governo, emanazione del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale), doveva affrontare.
Non era solo questione di rivendicare ed imporre un concetto, una prassi democratica; si trattava di rompere tabù che si perdevano nella notte dei tempi e superare la paura che questa Italia così unita nella sua territorialità e nella sua religiosità, ma così scomposta nella sua società civile, potesse non rispondere positivamente a quel sentire repubblicano, di gran lunga maggioritario all’interno della Consulta Nazionale e del Governo.
In effetti il voto unanime con il quale l’Assemblea Costituente decretò la nascita della nuova Costituzione, accusava, da un lato dentro di sé, tutta l’immane tragedia che la guerra aveva calato sull’Europa e sull’Italia, in termini di morti, di stermini, di distruzioni e di epocali trasmigrazioni; dall’altro poteva contare quasi unanimemente, nella sua diretta provenienza partigiana laddove “…si verificava… un’insurrezione che era totalmente politica e che fu la nascita, la fabbrica di una democrazia“ (Giorgio Bocca: Repubblica).
“La nostra Resistenza fu un evento rivoluzionario come fatto, ma il cui esito fu il superamento della Rivoluzione per arrivare ad una piena cultura della democrazia” (Pietro Scoppola: Repubblica).
La Resistenza fu dunque anche e soprattutto una prima fase Costituente, la premessa e la promessa di una Costituzione Democratica, il nerbo, l’ossatura per una nuova volontà e mentalità tesa all’instaurazione di un sistema definitivamente democratico in Italia.
E per la Resistenza questi territori, e le sue popolazioni, hanno visto e recitato una parte fondamentale ed indimenticabile.
A cominciare dalle ore 12 del 24 maggio 1944 quando, al rintocco delle campane, Morfasso diventa la prima amministrazione democratica, ufficialmente creata, nell’Italia occupata e Paolo Selva (il comandante Selva – Vladimiro Bersani) ne diviene il primo Sindaco.
E’ questo il primo atto concreto che segue l’organizzazione, in Val d’Arda, delle truppe partigiane a partire dall’8 settembre ’43; organizzazione che il CLN piacentino aveva affidato al comandante Selva per arrivare all’unificazione delle formazioni partigiane della Val d’Arda conclusa l’11 Aprile del 1944 con la costituzione della 38° Brigata d’Assalto Garibaldi al comando di Selva che chiama Prati come suo vice; Brigata che ha al suo interno i distaccamenti:
– quello pilota,sul monte Lama e sul monte Santa Franca;
– un altro al comando di Primo Carini (Pipp), a Settesorelle;
– un terzo al comando dello Slavo, sul monte Moria;
– un altro al comando di Inzani.
Il primo atto ufficiale fu la liberazione di Morfasso e dei comuni dell’alta Val d’Arda a cui fece seguito il primo rastrellamento tra il 4 ed il 10 giugno ’44, che causò un comprensibile disorientamento tra le formazioni partigiane ma quell’ operazione bellica preannunciata con tanta sicurezza, fallì completamente.
Citiamo testualmente i ricordi del comandante Prati:
Ero ansioso di fare l’inventario dei guasti subiti dalla nostra organizzazione.
Purtroppo se sul Lama era andata bene, la fatalità aveva lasciato il suo segno funesto in altre zone. Fu così che avemmo i primi Caduti. Nel pomeriggio del 3 giugno la formazione del Pip con i suoi trentacinque patrioti, si era portata su Gropparello e aveva attaccato la stazione di avvistamento contraereo installata a Casa Boccacci. Gli spauriti territoriali che ne componevano la guarnigione furono in breve costretti alla resa e lasciati liberi di tornare alle loro famiglie dopo aver, ovviamente, consegnato le armi. Poiché la stazione era dotata in abbondanza di munizioni e materiale di vettovagliamento, il Pip dovette provvedere a reclutare il camioncino Fiat 604, di certo Luigi Gallinari da Groppovisdomo, per trasportare il suddetto materiale fino a Prato Barbieri. Da lì, a mezzo di tregge montanare, trainate da buoi, sarebbe stato fatto giungere al loro quartiere sul Santa Franca.
Perché provvedessero a questa incombenza furono fatti salire sull’automezzo anche tre partigiani: Antonio Rossetti da Gropparello, Giuseppe Carini da Generesso, Benvenuto Carini da Teglio. Il resto degli uomini con il Pip sarebbe giunto a piedi più tardi all’accampamento. Al termine della strada autocarrabile i tre reclutarono nella notte buoi e slitte a Guselli e Prato Barbieri e su queste avviarono il materiale a destinazione. Sorpassate di qualche centinaio di metri le case di Montelana, lasciarono proseguire i civili da soli (tanto sapevano che all’accampamento erano rimasti di guardia alcuni dei loro compagni) e si fermarono sul ciglio della strada per attendere il resto del distaccamento.
A quell’altezza, oltre mille metri, a quell’ora, di notte, benché si fosse già al 4 di giugno, era piuttosto freddo. Non fu difficile raccogliere sterpi e frascume di faggio, abbondante nella zona, ed accendere un bel fuoco ristoratore. La stanchezza ed il tepore li portarono gradualmente al sonno senza aver prima predisposto turni di guardia poiché si sentivano al sicuro. Fu invece quel sonno una mortale trappola del destino.
Improvvisamente infatti, all’incerta luce dell’alba lungo il sentiero che da Prato Barbieri per Montelana porta al S. Franca, si profila una lunga colonna di tedeschi che spinge davanti a sé alcuni civili.
Le donne e gli anziani del piccolo paese stanno seguendo con terrore, da dietro le rustiche persiane socchiuse, la lunga schiera che ormai sta affrontando l’erta sassosa che porta al monte. Neppure loro sanno dei tre addormentati a pochi metri dalle case.
Ormai anche la retroguardia ha superato il paese e i trepidanti montanari pensano che il peggio sia passato; ma si sbagliano. Un sinistro crepitio rompe improvvisamente il silenzio della valle. Chi avranno colpito? Tremano e si chiudono nelle case, mentre fuori grida di trionfo fanno eco agli spari.
Il nemico, partito da lontano per distruggere per sempre i ribelli del Lama e del Santa Franca, finalmente li ha incontrati! Una preda facile: tre giovani che la stanchezza e la sicurezza di aver i compagni alle spalle aveva offerto alle sue armi nel sonno. Non ha pietà, non sente vergogna di colpire in modo così vile e facile.
Li ha abbandonati lì, sul sentiero montano, con il viso lacerato dagli squarci delle ferite; i miseri corpi rattrappiti nelle innaturali contrazioni in cui li ha fissati l’estremo spasimo della morte.
Sono i primi tre caduti della “Valdarda”. La sera stessa, don Giuseppe Borea, parroco di Obolo, saputo dell’eccidio si reca sul posto sfidando il nemico per benedire e ricomporre le salme straziate ed il giorno che seguì le fece trasportare al cimitero della sua parrocchia dove provvide alla tumulazione provvisoria.
Un’altra fucilazione si ebbe il pomeriggio di quella stessa domenica al vicino passo di Santa Franca. Il giovane Eugenio Silva di Tiramani, ventenne, imbattutosi nel bosco in una pattuglia, venne fucilato sul posto. Inutilmente aveva alzato le mani in segno di resa.
Non vi era l’alternativa della cattura e della prigionia? Quei quattro giovani facevano parte dei partigiani che fino a quel giorno avevano rilasciato senza offesa e senza danno tutti i militi, pur catturati in combattimenti, che si erano insediati nella loro montagna per braccarli e perseguitarli. Poche ore prima ne avevano rimandati alle loro case diciassette. Chiedevano solo di essere lasciati in pace, di non essere costretti a servire ancora un padrone che non riconoscevano legittimo, un regime che tante sventure aveva portato alla patria.
“Sono ribelli, sono fuorilegge!” era la trasparente scusa dietro cui i nemici di Berlino e di Salò tentavano di giustificare le loro tristi azioni di quei giorni e lavare la loro coscienza. Era la giustificazione del più forte.
Erano ribelli: sì, ma anche uomini con una loro legge: legge d’onore, per la quale erano morti. Vennero pensieri di vendetta a quella notizia, ma tornò subito la riflessione ed il senso della propria coscienza e della propria dignità; continuammo ad essere i cavalieri della montagna che seppero trattare i loro nemici da creature umane. (così ricordava nel suo libro quegli avvenimenti il comandante Prati)
Dal sacrificio di questi ragazzi, ma anche dei tanti civili, dall’impegno dei sacerdoti e della popolazione intera, così come ancora recentemente dimostrato dall’avvio dei processi di Beatificazione di don Beotti e del prof. Berti, si può affermare che dal crogiolo della Lotta di Liberazione, dalla guerra partigiana e dall’impegno Resistenziale, la nostra Costituzione porti l’impronta di uno spirito universale.
Ne consegue chiaramente che ogni eventuale sostanziale revisionismo della stessa deve assolutamente corrispondere a comprovate necessità istituzionali e deve interpretare un’esigenza sentita dalla stragrande maggioranza degli italiani in modo che sia evidente il rispetto dello storico e quasi sacrale valore della nostra Costituzione.
Valori che dobbiamo perpetrare e rivivere in nome di questi nostri eroi che ci hanno permesso di vivere in una società ricca e prospera, è in nome e nel ricordo loro che dobbiamo rivivere anche questo 2 giugno alla ricerca dei valori e degli ideali.
E il compito è affidato personalmente ad ognuno di noi, nessuno escluso; sull’esempio di chi, in passato, si è battuto per il bene ed il progresso dell’intera comunità con uno slancio ed uno spirito sempre rivolto al bene comune, dobbiamo anche noi, ognuno di noi, nel momento della difficoltà, della crisi, della messa in discussione delle certezze che ci hanno accompagnato in questi anni, dobbiamo ritornare a comprendere la necessità dell’impegno personale quale molla fondamentale per la crescita sociale.
Sforzandoci di tornare a rivivere un impegno diretto, sociale e politico, che possa rappresentare il viatico alla ripartenza, al recupero del dialogo sociale per una comunità che ritorni a ragionare e lottare insieme, con speranza e fiducia alla ricerca del bene comune.
Nuove e pericolose nubi minacciano infatti la nostra democrazia e la nostra società.
La democrazia, elemento indispensabile per la costruzione di una società veramente libera e giusta basata sul rispetto della persona umana, è un bene sempre a rischio, che abbisogna di continua linfa ed energie, altrimenti rischia di afflosciarsi e, pian piano, venire meno.
La ricerca di nuove forme e modalità Istituzionali, che, puntando sulla semplificazione e sul populismo, avvelenano le menti e gli animi abbisognano di un opinione pubblica attenta e consapevole in grado di giudicare, oltre la facile propaganda mediatica, il limite che si può raggiungere, ma non oltrepassare .
Come ad esempio il dibattito che si è aperto sul “vincolo di mandato”; il principio, cioè, secondo il quale il parlamentare (ma vale per qualsiasi eletto i ogni forma e genere di istituzione)) deve obbedire al proprio gruppo, al proprio partito, al proprio schieramento.
Teoria che, sempre di più, sta trovando proseliti e seguaci nell’intera opinione pubblica superficialmente disattenta ma, soprattutto, stanca dei continui “battibecchi” e dell’inconcludenza della classe politica.
A tal proposito, l’articolo 67 della nostra Costituzione Repubblicana cita testualmente: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Con ciò stabilendo senza indugi che i parlamentari eletti sono liberi di esercitare le loro funzioni senza essere obbligati a votare come dice loro il partito con cui sono stati eletti.
L’articolo 67 fu proprio concepito, come osservano illustri costituzionalisti, per garantire la libertà di espressione ai membri del Parlamento: il legame tra l’eletto e gli elettori viene dunque concepito come “responsabilità politica”, non come un “mandato imperativo”, che è espressamente vietato.
A maggior ragione, se il venire meno del vincolo di mandato viene associato con l’attuale legge elettorale, chiaramente antidemocratica, ne consegue che il Parlamento sarebbe soggetto al volere, incontrastato ed incontrastabile, di pochi capi bastone che lo potrebbero usare a proprio uso e consumo sottraendolo alla volontà popolare (e libera) che il parlamentare deve interpretare.
Durante i lavori dell’Assemblea Costituente, tra il 1946 e il 1947, la questione del libero mandato venne discussa ampiamente. Uno dei relatori, il giurista Costantino Mortati, disse:
«Sottrarre il deputato alla rappresentanza di interessi particolari significa che esso non rappresenta il suo partito o la sua categoria, ma la Nazione nel suo insieme».
Questo, poi adottato a maggioranza, era il senso di quel principio tutelato nella Costituzione entrata in vigore nel 1948.
Il parlamentare, quindi, non può accettare alcuna istruzione o direttiva vincolante quando esercita le sue funzioni: può, al contrario, agire liberamente e non esiste alcun mezzo giuridico per costringerlo a rispettare eventuali accordi, né lo si può citare in giudizio a rispondere del suo comportamento e delle sue scelte. Lo ha stabilito anche una sentenza della Corte Costituzionale (n. 14 del 1964).
In questo principio, poco conosciuto, è racchiusa una delle basi della democrazia e la certezza del mantenimento della libertà che gli eroi che oggi ricordiamo hanno dovuto ottenere a costo della vita (a puro titolo di esempio ricordiamo che Il mandato imperativo – il contrario cioè del vincolo di mandato – è presente soltanto in quattro Paesi al mondo: Portogallo, Bangladesh, India e Panama).
Ritengo quindi che in occasione di questo 2 giugno 2013 non vi sia promessa più valida e più civilmente produttiva, e maggiore riconoscimento al sacrificio estremo dei ragazzi che oggi qui commemoriamo, di quella di dichiararci punti fermi nella difesa della Costituzione innanzi a tentativi di modifica che non rispettino i parametri essenziali della natura e dell’essere di questa nostra Repubblica.
Da qui il forte richiamo, che in continuazione ci viene dal Presidente Napolitano per cercare con determinazione di assumere dalla Costituzione la forza ed il senso di un impegno civile e solidale di tutti gli italiani anche contro le generalizzazioni e le drammatizzazioni tendenti a smontare, ritenendolo inutile e superato, parte del nostro sistema Istituzionale e politico.
Perciò è oggi importante ricordare un valore fondamentale che ci viene dalla Resistenza e che ha segnato profondamente la vita ed il destino di tanti giovani e cioè il concetto della “responsabilità personale”; concetto nuovo e, se vogliamo, rivoluzionario per quei tempi segnati da un regime che dell’annullamento della persona umana aveva fatto il proprio credo.
Ma valore importante e nuovo anche oggi all’interno di una società troppo individualista ed incolore.
“La Resistenza che continua deve preservarci dall’abitudine del comodo quotidiano, dell’indifferenza verso i problemi degli altri, come se non fossero anche i nostri.
Di questi sentimenti devono essere permeate le nostre azioni, dobbiamo essere ancora una volta con un solo spirito: quello del bene comune.
Ciò è vivere, non sognare.”
Così scriveva pochi anni fa, Felice Ziliani, comandante partigiano e per decenni
protagonista dell’ Associazione Partigiani Cristiani, un Ribelle per Amore che, purtroppo, anche Lui con la sua scomparsa ci ha lasciati più soli.
E’ con la freschezza di spirito e la giovinezza di pensiero di questo giovane, allora ultraottantenne, che lanciamo lo sguardo speranzoso al domani anche per rammentare, in un momento di sfiducia verso il sistema Istituzionale e politico e di disorientamento verso la grave crisi economica che rimette in discussione certezze e tranquillità che sembravano definitivamente acquisite, l’importanza ed il ruolo fondamentale ed insostituibile della Democrazia e della Libertà e soprattutto vogliamo e dobbiamo con ciò ricordare a tutti noi la necessità che per la difesa di questi principi e valori è necessario ed indispensabile, come lo è stato per la lotta di Liberazione, che ognuno di noi porti il proprio contributo e svolga al meglio la propria parte nell’interesse comune.
Viva la Patria, viva la Repubblica, viva l’Italia
Mario Spezia
Presidente Provinciale di Piacenza
Associazione Nazionale Partigiani Cristiani
Santuario di Santa Franca 2 giugno 2013
Clicca qui per vedere il volantino ufficilae della celebrazione del 2 Giugno 2013 : volantino ufficiale