ANPC Nazionale

Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

Archivi per il mese di “aprile, 2023”

Il 25 Aprile 2023 dell’Anpc di Bergamo

Marina Pighizzini ci racconta così le iniziative per il 25 Aprile: “L’ANPC di Bergamo ha presenziato: a Torre Boldone il 22/4 con una piccola  cerimonia; presenti  gli Alpini (a ricordo di Giovanni Grassi, reduce di Cefalonia) gli alunni della scuola media con gli insegnanti, il Sindaco ed il Vicesindaco (anche se di orientamento politico avverso) tanta gente che aveva addobbato le finestre con il tricolore lungo tutto il percorso del corteo. Il 24/4 eravamo presenti Cimitero di Bergamo  alla  S. Messa a ricordo dei  partigiani che hanno fatto la storia dell’A.N.P.C. di Bergamo.

 Il  25/4  Grande partecipazione corteo con un’isola attrezzata nel corteo per i disabili che hanno potuto essere presenti ma protetti dalla ressa e con un’andatura idonea al loro stato meritoriamente l’iniziativa era organizzata e curata da giovani. Abbiamo reso omaggio alla Torre dei  Caduti, alla targa in memoria delle donne Partigiane, e al monumento al Partigiano .una folta come non si vedeva da anni, ha apprezzato i discorsi che si sono succeduti: a conclusione l’ex ministro Rosi Bindi ha ribadito che “il XXV Aprile è la festa della libertà perchè è prima festa della Liberazione “-“argine ad ogni deriva è la Costituzione. La nostra Resistenza aveva un valore costituente in sè, la Costituzione era già nella testa di chi combattè per liberarsi dall’oppressore, per darci un futuro”. 

La grande affluenza alla cerimonia di Brescia con il nostro nuovo socio ci fa sperare in un riappropriarsi degli italiani dei valori  fondamentali del vivere civile”. 

Presentazione libro “Partigiani Cristiani nella Resistenza. La storia ritrovata (1943-1945)” di Alberto Leoni e Stefano Contini

Il 27 aprile 2023 alle ore 17,00 presso la Biblioteca Sandro Onofri di Roma X Municipio, è stato presentato il libro di Alberto Leoni e Stefano Contini: “Partigiani Cristiani nella Resistenza. La storia ritrovata (1943-1945)”.

Presenti l’autore Stefano Contini e Bruno Maggi, direttore della Biblioteca “Sandro Onofri”, ha moderato l’On. Silvia Costa, vicepresidente nazionale dell’Anpc.

“Stefano Contini e Alberto Leoni hanno riportato alla luce centoquarantacinque volti di resistenti disarmati e di partigiani combattenti, credenti in Cristo che, «ribelli per amore», si sono giocati la vita contrastando il nazifascismo. Ed essi, per quanto numerosi, sono solo una rappresentanza del mondo cattolico che rifiutò l’idea fascista di un cattolicesimo senza Cristo, rivendicando la bellezza di un cristianesimo «senza scorta armata», combattendo con giustizia, financo con misericordia verso il nemico, nemici delle ideologie e spesso assassinati dagli ex alleati partigiani. Un’opera importante che riporta alla luce la commovente, straordinaria testimonianza di questi martiri che, ancora oggi, solo che la si ascolti, ci insegnano con che cuore si possano affrontare sfide epocali quali sono quelle che ci aspettano” (tratto dalla nota editoriale).

Dopo un saluto del direttore della Biblioteca, alcune  figure di patrioti sono state ricordate da Stefano Contini e dall’on. Silvia Costa durante la presentazione: Aldo Gastaldi “Bisagno”, il primo partigiano d’Italia, comandante della Divisione garibaldina “Cichero” in Liguria; Paola Del Din, partigiana friulana, prima paracadutista d’Italia e il fratello  Renato “Anselmo” Del Din, caduto in combattimento, entrambi nella Brigata Osoppo; Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, comandante del Fronte militare clandestino a Roma, trucidato alle Fosse ardeatine; Teresio Olivelli, ufficiale durante la campagna di Russia, partigiano nelle Fiamme Verdi, ucciso nel lager di Hersbruck, autore della notissima Preghiera del Ribelle, proclamato beato nel 2018; Antonio Lauritzen “Paolo il Danese”, già monaco benedettino, comandante della 3a divisione “Julia”; Pietro Ferreira “Pedro” , comandante della 7a divisione alpina di Giustizia e libertà, fucilato a Torino il 23 gennaio 1945. 

Sono state ricordati anche la straordinaria esperienza delle “Aquile randagie” e dell’O.S.C.A.R. (Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati) e il sacrificio dei numerosi sacerdoti trucidati dai nazifascisti tra cui don Pietro Pappagallo e don Giuseppe Morosini.

Durante la presentazione di Stefano Contini, ha creato particolare emozione l’ascolto delle registrazioni audio di alcune lettere dei condannati a morte, lette da giovani attori.

L’iniziativa è stata patrocinata da Anpc, Aici, Centro XXV Aprile in “Patto di alleanza e mutuo Riconoscimento con Associazione Italiana Combattenti Interalleati.

27 aprile 1945: veniva fucilato Leonhard Dallasega

Veniva fucilato per essersi rifiutato di sparare al parroco di Giazza. Qui la sua storia in un articolo di Cornelio Galas

“NON AMMAZZO UN INNOCENTE”

Si chiamava Leonhard Dallasega, era un soldato tedesco. E fu ucciso dai propri commilitoni per essersi rifiutato di fucilare un prete. Ne abbiamo già parlato in una delle puntate sulla “Resistenza in Trentino”. Val la pena però, crediamo, approfondire meglio questo tragico episodio accaduto verso la fine della guerra, nel 1945, ad Ala, in Trentino. Nelle ultime giornate dell’aprile 1945, a Giazza Veronese nell’alta Valle d’Illasi, c’era, ad ogni ora, gente sulla piazza che osservava il passaggio di reparti tedeschi in fuga verso i valichi alpini. Con l’appoggio di massicce incursioni aeree che frantumavano sotto una valanga di ferro e di fuoco ogni resistenza le colonne corazzate americane e inglesi, superato il Po, dilagavano ora in Lombardia. È il momento del crollo definitivo del fronte tedesco, e chi può, fugge verso il Nord.

Il 27 aprile, di buon mattino, è in marcia verso Giazza una compagnia germanica di circa cento uomini formata, in prevalenza, di paracadutisti e carristi e da alcuni elementi delle SS. È bene armata e vuole raggiungere Passo Pertica per scendere ad Ala, in Val d’Adige. Una formazione partigiana, nascosta nella zona, intende fermarla alle porte di Giazza e disarmarla.

Avvertito che in questo modo un grave pericolo incombe sul paese, il parroco di Giazza, don Domenico Mercante, accompagnato da un brigadiere della milizia forestale, si fa incontro ai due gruppi, per convincere i partigiani a non provocare i tedeschi in ritirata e per invitare i tedeschi a non fare del male alla pacifica popolazione.

In testa alla compagnia vi sono due ufficiali che ascoltano i due “parlamentari” senza tuttavia dare alcun peso alle loro spiegazioni. A conoscenza che nella zona operano partigiani, obbligano i due a mettersi in cammino davanti ai soldati per farsi scudo con loro contro un improvviso attacco nemico. In particolare tengono d’occhio don Mercante, ostaggio prezioso che può assicurare loro via libera.

All’altezza del cimitero di Giazza un comandante partigiano, Beniamino Nordera, balza sulla strada e ordina agli ufficiali di fermarsi e consegnare le armi, minacciando, in caso contrario, di far intervenire i compagni nascosti nel bosco. Per tutta risposta la raffica di un mitra lo stende a terra.

Dalla foresta si risponde con una nutrita sparatoria che non fa vittime ma che allarma ancora di più gli ufficiali. Adesso ritengono che don Mercante sia un capo partigiano o un loro stretto collaboratore e perciò lo trattengono, promettendogli di lasciarlo andare appena saranno al sicuro oltre il Passo Pertica, nella Valle di Ronchi.

Mentre il brigadiere ed altri due ostaggi riescono a svignarsela durante una successiva sparatoria, don Mercante, tenuto continuamente sotto controllo e minacciato, è obbligato ad accompagnare i paracadutisti per ore ed ore giungendo con loro, sfinito, fino ad Ala: sono circa le cinque pomeridiane del 27 aprile 1945.

La compagnia si ferma nel rione di San Martino, al bivio di Ceré, dove parte la strada per Pilcante. Il capitano, ottenuta l’autorizzazione dal comando locale delle SS di fare quello che voleva con l’ostaggio, decide di fucilarlo lì, al bivio, sul cratere scavato da una delle tante bombe d’aereo cadute nei frequenti bombardamenti americani che dal novembre ’44 all’aprile del ’45 avevano martellato la stazione ferroviaria e i ponti di Ala.

Quando si forma il plotone d’esecuzione, un caporalmaggiore delle SS riceve l’ordine di farne parte; ma egli si rifiuta ed ha parole di difesa per il parroco don Mercante. “Qui si fucila un innocente, — afferma — questo è un assassinio!“. Il capitano gli chiede se parla così perché è un cattolico e, ricevuta risposta affermativa, gli ripete seccamente l’ordine. Il caporale rinnova il suo rifiuto. Un testimone presente lo sente dire: “Sì, sono cattolico, ho moglie e quattro figli, ma preferisco morire piuttosto che fucilare un sacerdote“.

Viene punito a norma della legge marziale di guerra che non tollera un atto di disubbidienza al comando di un ufficiale. Assiste alla fucilazione del parroco; poi è la sua volta: degradato, privato dei documenti personali, con le mani appoggiate dietro la nuca, ritto sul cumulo di terra sconvolta dalle bombe, lo si sente ancora ripetere: “ma ho quattro bambini“, quando la raffica del mitra lo abbatte nelle piccola fossa del cratere, accanto al corpo senza vita di don Domenico Mercante.

Le due salme vengono abbandonate lì, sommariamente coperte da alcune palate di terra. In seguito, alcuni contadini, informati dell’accaduto, pongono dei sassi a forma di croce su quel tumulo. Il 3 maggio, dopo la partenza delle truppe germaniche da Ala, le due salme vengono esumate dalla pietà locale e trasportate nella cella mortuaria dell’Ospedale Civile.

Da Giazza arrivano un paio di uomini a prendere la salma del loro parroco e, portando a spalle la bara appesa ad un palo, ripercorrono faticosamente la strada per Val di Ronchi fino a Passo Pertica e poi fino alla chiesa del paese, accolti dai mesti rintocchi a morto delle campane e dalla costernazione e dal pianto di tutta la popolazione. Il corpo dello sconosciuto soldato viene sepolto dapprima nel cimitero vecchio di Ala e poi nel nuovo, al cippo N. 5, ben distinto dalle tombe di altri otto caduti tedeschi. Il cappellano dell’Ospedale di Ala, fratello Stefano Girardi e il custode del cimitero, Giovanni Mabboni, dichiararono per iscritto di non aver trovato nelle tasche del soldato alcun documento di identità se non un rosario di grani neri, un astuccio di vetro con la fotografia di una donna e, sotto la camicia, una crocetta di legno e metallo bianco con catenina, oggetti che preferirono lasciare addosso al caduto. Fu seppellito con grande partecipazione di popolo e la sua tomba ebbe continuamente fiori da mani sconosciute, fino al 15 settembre 1956, quando i suoi resti, chiusi nel sacco catramato N. 567, furono trasportati da una Commissione germanica al cimitero tedesco di Merano e seppelliti sotto il cippo N. 1018. Tra le ossa c’era ancora un pezzo di duro panno grigio con la sigla metallica ad angolo corrispondente al grado di caporalmaggiore.

Nel 1959, il 16 agosto, a Passo Pertica, il Vescovo di Verona, Monsignor Giuseppe Carraro, benedice un pilastro marmoreo dedicato alla memoria di don Mercante e a quella dell’ignoto soldato germanico. Sono presenti personalità italiane e tedesche.

L’avvocato Nerino Benedetti, presidente del Comitato per le Onoranze, tiene il discorso commemorativo che conclude con queste parole: “L’esile figura del sacerdote di Cristo, che per amore portato alle anime a lui affidate ha incontrato la morte, e l’immagine del fiero soldato tedesco, che senza batter ciglio e a testa alta ha affrontato il mitra spianato contro di sé per un supremo dovere di coscienza e di umana fratellanza, sono oggi unite nel nostro ricordo commosso, nella nostra gratitudine, nel nostro impegno solenne di essere meritevoli del loro sacrificio e del loro esempio… Vestivano la diversa divisa di due eserciti tanto fra loro dissimili, ma i loro cuori battevano i palpiti di una medesima fede. A loro sia gloria eterna!“.

Per anni il nuovo parroco di Giazza, don Erminio Furlani, tentò, con paziente ricerca, di scoprire il nome dello sconosciuto soldato. Alla sua identificazione arrivò mons. Luigi Fraccari di S. Ambrogio di Valpolicella, al quale era stata passata la pratica. Mons. Fraccari, un generoso e coraggioso sacerdote veronese, aveva raggiunto Berlino nel 1944 come cappellano dei lavoratori italiani emigrati in Germania e si era interessato subito alle migliaia di nostri internati per rispondere alle famiglie che si rivolgevano a lui chiedendo notizie dei loro cari.

Si era adoperato oltre ogni rischio per venirne a capo; seppe perfino dare un nome alle tombe di 537 soldati italiani rimasti vittime dei lager nazisti. Pregato d’aiuto dal parroco di Giazza, fece ricerche in primo luogo presso il Ministero della Guerra, presso la Croce Rossa Tedesca e la Lega Popolare per la cura delle tombe dei caduti in guerra.

Non approdò a molto, ma per esclusione, restringendo lo spazio della ricerca, sentì di trovarsi sulla pista giusta. Quando rientrò a Verona nel 1979 mise insieme pezzo per pezzo, come in un mosaico, i dati raccolti, ogni richiesta e ogni testimonianza.

Entrò in relazione con un giornalista di Norimberga, Theo Reuber Ciani, che sul fatto di Ala aveva scritto tre servizi per la rivista “Gong” e posto ai lettori tedeschi la domanda: “Wer ist der Held von Gazza?” (“Chi era l’eroe di Giazza“) e poi, ancora, con un regista bavarese, Mario Reinhard, che stava girando un film sulla vicenda. Ciò che all’inizio era semplice supposizione, divenne alla fine certezza: lo sconosciuto soldato tedesco non era più tale, aveva finalmente un volto e un nome.

Si chiamava Leonhard Dallasega: era nato a Proves, nell’alta Valle di Non, Decanato di Cles, il 15 ottobre 1913, al Maso “Clasett”, in una modesta famiglia contadina, formata dai genitori e da altre due sorelle. Chiamato a prestare servizio militare nell’esercito italiano nel giugno 1933, fece parte dapprima del VII Reggimento Alpini, poi dell’XI, con il quale si imbarcò a Livorno, il 6 gennaio 1936, alla volta dell’Eritrea per la guerra contro l’Abissinia.

Ammalatosi di tifo, rientrò il 17 giugno a Napoli con un trasporto di malati e feriti e passò un periodo di degenza all’Ospedale di Caserta, per raggiungere poi, guarito e congedato, la famiglia di Proves. Il Dallasega era un giovane per bene, capace, molto affezionato alla famiglia, buon suonatore di chitarra e ben visto in paese.

Non aveva frequentato che la IV elementare ma era sveglio e volonteroso. Lavorava di buona lena nell’azienda paterna che offriva lo stretto necessario per campare. Dopo il servizio militare, quando il governo germanico offrì lavoro nei settori dell’industria e dell’agricoltura, Leonhard si unì ai numerosi operai che partirono dall’Alto Adige e dal Trentino; trovò occupazione in Baviera in una fabbrica di tabacchi.

Nel 1939 optò anche lui con i familiari per il Terzo Reich, non sappiamo se convinto assertore dei diritti della minoranza tedesca nel Tirolo del Sud contro l’oppressione fascista, oppure se travolto, come i più, dalla sfrenata e minacciosa propaganda nazista. In quell’epoca accettò volentieri il posto di contabile presso la Cassa Rurale di Proves che gli permetteva di restare a casa con una discreta posizione economica.

Nel 1941 si sposò con Maria Herbst, originaria di Nuova Ponente, ed ebbe la gioia di vedere, nel 1942, la famiglia arricchita dalla nascita di una bambina, Elisabetta (Lisl), e, l’anno dopo, di un maschietto, Ewald. Quando nel gennaio 1945 nascono i due gemelli, Helmuth e Othmar, che moriranno dopo due mesi di broncopolmonite, papà Leonhard è, da due anni, soldato dell’esercito germanico.

Dopo il 13 settembre 1943 l’Italia del Nord restò terra d’occupazione sotto il pesante tallone nazista e il Trentino, con l’Alto Adige e il Bellunese, divenne «Zona di Operazione delle Prealpi» (Alpenvorland), praticamente annessa alla Germania.

Il 25 ottobre Leonhard, di lingua materna tedesca, fu richiamato alle armi ed obbligato ad immatricolarsi nelle SS. Dopo tre mesi di addestramento a Münsingen in Germania, la sua compagnia fu inviata in Italia alle dipendenze del Generale Wolff e comandata a Caldiero di Verona.

Qui il Dallasega, per la buona conoscenza che aveva della lingua italiana, ottenne l’incarico di portalettere e di capocuoco, mansioni per le quali ebbe a disposizione una bicicletta. Fu presto promosso al grado di “Obergefreiter der Waffen SS” cioè di caporalmaggiore.

Quando il fronte tedesco crollò, la sua compagnia si ritirò parte verso il Lago di Garda e parte verso Vicenza, per non cadere prigioniera delle truppe corazzate americane che stavano per giungere a Verona. Lui scelse la montagna, meno bersagliata dai bombardamenti alleati ed arrivò così sul fare della sera, del 26 aprile 1945, alle porte di Giazza.

Pernottò in un casolare: pare intendesse al mattino del 27 barattare la bicicletta con abiti civili, quando fu raggiunto dalla compagnia dei paracadutisti che fecero poi prigioniero don Mercante. Forse si unì a loro visto il pericolo di essere bloccato dai partigiani della montagna o forse, più probabilmente, fu sospettato di diserzione e obbligato a proseguire il cammino con la compagnia.

Intanto a Proves, con la fine della guerra, cominciarono a rientrare alle loro famiglie i reduci dalle più disparate regioni d’Europa. Mancava Leonhard e nessuno sapeva dare spiegazioni. La sposa Maria si interessò subito presso i conoscenti, chiese informazioni presso i compagni del marito a Caldaro, a Bolzano e Merano. Raccolse ogni volta espressioni vaghe, brevi descrizioni dei pericoli incontrati dalle truppe tedesche in fuga, oggetto di feroci mitragliamenti da parte degli aerei alleati e di frequenti imboscate tese dai gruppi partigiani.

La donna tornava a casa col cuore rotto, profondamente amareggiata, perché si era convinta che più d’uno sapeva ma non voleva parlare. Anche l’anziano padre Angelo si mosse alla ricerca del figlio, andò a Caldiero di Verona da dove era partita l’ultima lettera destinata alla famiglia con data 22 aprile 1945; trovò gente che si ricordava benissimo del biondo portalettere tedesco che ogni domenica andava alla Messa in parrocchia e faceva la Comunione.

Gli dissero che era molto buono, che dava frequentemente ai ragazzi affamati del paese una fetta di pane spalmata di margarina o di marmellata. Molti lo avevano osservato con un sentimento di rispettosa ammirazione quando, sul tardo della sera, passeggiava con il rosario in mano nell’orto della macelleria requisita.

Ma anche lui con tutti gli altri era partito il 26 aprile e il 28 erano arrivati gli Americani. Il vecchio genitore tornò al paese natale convinto che non avrebbe più visto il figlio, anche se nel cuore non sapeva rinunciare alla speranza d’un suo ritorno.

Nel 1946 la sposa Maria, insistendo nelle ricerche, ottenne una lettera da un sottufficiale austriaco di Linz, sul Danubio, che le comunicava brutalmente che suo marito Leonhard era stato fucilato in quel di Trento, perché durante la ritirata aveva abbandonato la sua unità. Fu l’ultima notizia, poi più nulla.

Nel 1952 Maria Dallasega si risposò con Angelo Kerschbamer, un bravo contadino, proprietario di un piccolo maso nella parte sud di Proves ed ebbe da lui quattro figli, tre maschi e una femmina.

In un numero del quotidiano “Dolomiten” del 20 agosto 1959, Maria lesse dell’inaugurazione del monumento a Passo Pertica in onore di don Mercante e dello sconosciuto tedesco. Ebbe immediatamente la sensazione che quel soldato potesse essere il suo defunto primo marito, perché lo riteneva capace di un gesto simile, ma non poté reperire alcuna prova. In seguito, nel 1965, la sua famiglia si trasferì a Sopramonte di Trento, a lavorare a mezzadria in un grosso podere del professor dott. Enrico Nardelli, rinomato chirurgo di Cles. E a Sopramonte verrà molti anni dopo, precisamente il 15 giugno 1985, mons. Luigi Fraccari a comunicare il giorno e l’ora della morte di Leonhard Dallasega.

(pubblicato su: “NON AMMAZZO UN INNOCENTE” | TELEVIGNOLE dove potrete trovare anche tutte le fotografie).

Intervista alla Presidente Garavaglia su Avvenire

L’intervista alla Presidente Mariapia Garavaglia su Avvenire di Diego Motta del 27 aprile 2023 intitolata: “Resistenza Cattolica, una storia da riscoprire”.

Spettacolo Aquile Randagie a Milano

“Io, ex capo scout, porto in scena le Aquile Randagie”

Una antica leggenda narra che nella notte più lunga dell’anno il santo cavaliere sconfisse il drago, ed è in una notte come questa che è ambientata la storia scritta e interpretata in un magistrale monologo dall’attore Alex Cendron. 

Mercoledì 19 aprile 2023, nell’Auditorium “Stefano Cerri” di Milano l’Anpc (Associazione Nazionale Partigiani Cristiani), Municipio 3 e Comune di Milano hanno promosso lo spettacolo Aquile Randagie, Credere disobbedire resistere, monologo di e con Alex Cendron, musiche di Paolo Coletta, regia di Massimiliano Cicidati. Tra le cento persone in platea anche giovani scout in divisa. Una presenza che conferma l’interesse e il vasto successo popolare dello spettacolo registrato nei teatri e negli oratori d’Italia.

La storia Il 9 aprile 1928 Mussolini firma un decreto che dichiara la soppressione totale dello Scautismo in Italia. A Milano, una manciata di giovani scout decide di disobbedire ad una legge che sente ingiusta e inizia un lungo periodo di attività clandestina, una vera e propria resistenza giovanile. L’avventura, non priva di rischi e lunga 17 anni, porterà il gruppo a mantenere accesa la fiamma dello scautismo in Italia fino alla Liberazione e li farà diventare giovani uomini di pace: dopo l’8 settembre 1943 diventeranno promotori di un gruppo di soccorso per i ricercati ebrei, prigionieri politici e renitenti alla leva, che sotto il nome di OSCAR, salverà migliaia di persone dal drago del Nazifascismo. Una storia vera, una storia semplice e coinvolgente, una storia di ragazzi che quando tutto sembrava perduto hanno deciso di non abbassare la testa di fronte al drago e ai suoi artigli.

Le Aquile Randagie L’autore e interprete Alex Cendron è un ex capo scout: la sua passione giovanile per il teatro si è trasformata in professione. “Mi piace farlo senza confini di mezzo, dal teatro al cinema, passando per la televisione. Ho una vita un po’ bohemienne, monacale, un po’ da illuso, ma sono tendenzialmente felice”. Raggiunta l’autonomia ha iniziato a collaborare con diversi teatri stabili interpretando testi di Pasolini, Testori e Cechov e nel 2019 è stato candidato come miglior attore protagonista al Premio Maschera del Teatro italiano, per la sua interpretazione di don Lorenzo Milani nel cinquantenario della morte.  “Uno degli spettacoli più belli della mia vita – racconta -. Mi ha aiutato a entrare nell’ottica per portare in scena Aquile Randagie. Sono stato capo scout, da qui la connessione con questa storia. Da molti anni studio drammaturgia, così, prima della pandemia ho iniziato a scrivere Credere disobbedire resistere”.

Una storia vera ma poco conosciuta…  “Ho conosciuto questa storia attraverso un libro uscito in ambito scout sulle Aquile Randagie, mi affascinò moltissimo tanto che decisi di fare il secondo tempo di formazione – chi fa il capo scout deve fare due tappe formative – a Colico, località che sapevo essere collegata alla storia delle Aquile Randagie. In quella settimana formativa ho conosciuto la loro storia. Sono stato in val Codera, altro luogo importante per le Aquile Randagie. All’epoca ero ancora studente in accademia come attore. Una delle mie fascinazioni attoriali era il monologo Vajont di Paolini. Quando conobbi la storia delle Aquile Randagie pensai che quella storia potesse diventare il mio Vajont. Una storia da raccontare perché fa parte anche della mia storia scout”.

Uno spettacolo da proporre ai giovani…“Ho fatto anche delle scolastiche e penso di farne ancora. Personalmente mi fa piacere perché sono stato capo scout. Credo sia innegabile il gusto dell’educatore, cioè poter essere significativi per delle persone ancora in formazione è uno dei piaceri che da l’essere capo scout. Da la sensazione di fare un intervento efficace verso qualcuno. Anche se non è un intervento formativo, preciso, può diventare lo stimolo per sbocciare. Lo scoutismo durante lo spettacolo avrebbe questo come obiettivo, non quello di plasmare gli individui, bensì di aiutare le persone su ciò che potrebbero essere al meglio”.

27 aprile ’23                                                                    Silvio Mengotto

Celebrazione 78° anniversario Liberazione a Fiorenzuola d’Arda

Domenica 23 aprile scorso si è tenuta a Fiorenzuola d’Arda, secondo Comune per dimensioni della provincia piacentina, si è tenuta la celebrazione della ricorrenza del 78° anniversario della Liberazione.

Alla presenza delle autorità civili, religiose e militari e dei rappresentanti della associazioni, si sono svolti i discorsi ufficiali e per ANPC Piacenza ha preso la parola il vice presidente provinciale, Giuseppe Borea, nipote del sacerdote fucilato nel 1945 dai nazi fascisti.

Si pubblica l’articolo apparso sul quotidiano Libertà a ricordo della manifestazione.

    Mario Spezia
presidente provinciale

25 Aprile 2023 da Varese Ligure a Passo 100 Croci e Val Taro

Da Varese Ligure e Passo del 100 Croci una prima parte di testimonianza della Resistenza Cattolica combattuta sull Appennino Ligure Tosco Emiliano dalle Divisioni 100 Croci e Val Taro Hanno partecipato: ANPC Tigullio Avv Luigi Ceffalo, Armanino Umberto ANPC e Ass.Partigiani Cristiani 100 Croci e Val Taro, Sindaco Varese Ligure Lucchetti Gian Carlo, Sindaco Albareto Ricconi Davide, Sindaco Tornolo Lusardi Renzo, Comandante Carabinieri Varese Ligure, Comandate Carabinieri Forestali Varese Ligure, Associazione Nazionale Alpini Albareto l’ Alpino Sabini e commilitoni, Polizia Municipale Albareto, Mons Mario Perinetti Cappellano Divisione Cento Croci, Parroco di Varese Ligure Sacerdote Augusto Zolesi.

25 aprile 2023 a Reggio Emilia

Alle ore 11.15 Piazza Martiri del 7 Luglio: la celbrazione del 78° anniversario della Liberazione a Reggio Emilia. Dopo i saluti di Luca Vecchi, Sindaco di Reggio Emilia, Beppe Pagani Presidente ANPC in rappresentanza delle Associazioni Partigiane ha pronunciato l’orazione che pubblichiamo qui di seguito: “Signor sindaco,autorità, cittadine/i è con piacere che rivolgo a voi tutti un saluto a nome di tutte le associazioni partigiane della provincia di Reggio Emilia. 78 anni fa il pomeriggio del 24 aprile il partigiano Giorgio Morelli, primo partigiano ad entrare in città, sventolava il Tricolore per le vie di Reggio Emilia ed annunciava al popolo reggiano l’ora della liberazione. Quello steso Tricolore  fu issato intorno alle ore 16,20 sul balcone del Municipio da Morelli e altri tre partigiani delle Fiamme Verdi. “Ho Gridato con tutta la mia voce la prima parola di libertà: ed ho pianto perché l’ora che ho vissuto oggi è la sola che abbiamo atteso da tempo, con ansia infrenata, che è rimasta chiusa, soffocata, imprigionata in noi durante le ore delle nostre lotte clandestine”. Son queste le parole con cui Giorgio Morelli (il solitario) descriveva quel giorno sul foglio del CLN “Reggio Democratica”: Reggio Emilia era liberata, il giorno dopo il 25 aprile segnava per sempre  la fine della  guerra. Da allora il  25 aprile è la data in cui tutti i cittadini/e ricordano la Liberazione e quindi il contributo fondamentale che la Resistenza ha dato modificando la storia del ns paese con la sconfitta del Nazifascismo e la conseguente nascita della Repubblica Italiana. Da quella lotta di Liberazione nacque la nostra Carta Costituzionale che quest’anno celebra il 75° della sua promulgazione. Questa Carta Costituzionale che disegna una repubblica parlamentare, una e indivisibile costituisce il compimento dei sogni e delle speranze di tutti coloro che combatterono contro i Nazifascisti per la conquista della democrazia e la rinascita di libere istituzioni.

Lo vogliamo ricordare ancora con vigore in questa giornata contro ogni tentativo maldestro di stravolgimento della verità storica e costituzionale rispondendo a coloro, che pur rivestendo responsabilità istituzionali vogliono stravolgere la Costituzione nata dalla Resistenza “Questa nostra Costituzione è  antifascista per i suoi contenuti, per i principi che sono l’opposto di ciò che è stato il fascismo”. Celebrare il 25 aprile significa innanzitutto rendere omaggio alla città di Reggio Emilia medaglia d’oro alla resistenza  e ricordare il sacrifico dei F.lli Cervi, di Don Pasquino Borghi, di Quarto Camurri, di Enrico Zambonini e di  un  lungo elenco di tanti martiri, uomini e donne, che in diversi modi accettarono il rischio, si sacrificarono per opporsi alla barbarie. La storia della nostra libertà, la possibilità che oggi ci è data di vivere in una democrazia, di vedere riconosciuti i diritti fondamentali per tutti, sono  il risultato dell’esito eroico del loro sacrificio.

Oggi celebriamo questo giorno e rinnoviamo il nostro impegno in difesa di quegli stessi valori di pace e libertà, per costruire una nuova società libera dalle povertà, dalle diseguaglianze, dalle guerre, da ogni tipo di fascismo. E’ di fronte al sacrificio di tanti che oggi ci troviamo qui anche per ringraziare quella generazione di resistenti – italiani ed europei, poiché la nostra Resistenza è stata parte vitale della Resistenza europea e ci rese già allora donne e uomini riscattati e con piena cittadinanza e dignità nell’Europa di oggi – di combattenti italiani e degli eserciti Alleati: a loro va la nostra incancellabile riconoscenza, nei loro confronti abbiamo un debito perenne. Quei giovani che si opposero alla dittatura, alla violenza nazifascista decisero di anteporre gli ideali di libertà e di difesa della comunità ai loro personali interessi. E’ su questo dono, è su questo debito, su questo MUNUS, che si fonda la nostra Communitas. Per questo oggi, in questo tempo difficile, siamo chiamati a RESISTERE alla cultura individualista, separatista, nazionalista che serpeggia da più tempo e riscoprire quel senso di appartenenza ad una unica comunità di destino, ad una fraternità di uomini e donne che si riconoscono nei comuni valori di libertà, uguaglianza, democrazia.

Non ci saranno libertà-democrazia-giustizia se non si riscoprirà questa tensione, un ethos comunitario, una fratellanza che ci accomuna tutti in una fraternità. Riscoprire il senso, la passione per la FRATERNITA’ in un tempo troppo segnato da egoismi politici, economici nazionali e sociali significa CREARE UN COLLEGAMENTO TRE LE GENERAZIONI, costruire permanentemente un patto generazionale, perché la memoria non si dissolva, affinché la Resistenza non sia solo una pagina di storia  o addirittura non venga stravolta da ricostruzioni false e faziose!

Per questo esprimiamo unitariamente, insieme al forum  nazionale di tutte le associazioni Antifasciste, la nostra preoccupazione per dichiarazioni, decisioni, comportamenti di alcuni rappresentanti delle istituzioni e della politica che, in vari casi, sono apparsi divisivi e del tutto inadeguati rispetto al ruolo esercitato.Queste dichiarazioni, questi tentativi di falsificare la storia, ancor più gravi quando messi in atto da rappresentanti dello stato, devono essere fortemente condannati, così come condanniamo il moltiplicarsi di episodi di violenza, di apologia di fascismo, rigurgiti antidemocratici di gruppi che si ispirano a quella ideologia.

La Resistenza ci parla ancora oggi e ci chiede dopo 78 anni di avere la forza di Resistere ad ogni forma di fascismo di ritorno, ad  ogni forma di violenza e discriminazione, alla diseguaglianza sociale determinata dalla grave situazione economica in cui versano numerose famiglie e persone a causa degli effetti perversi delle tante crisi che si sono sovrapposte ed intrecciate.  In questa imprevedibile e drammatica stagione che stiamo vivendo con il ritorno della guerra dentro ai confini Europei, la voce della Resistenza ci impone di resistere, di superare i confini temporali  e contrastare la cultura della guerra, affinché si ponga un limite alle barbarie, ad ogni forma di aggressione, all’odio, alle stragi contro i civili, alla violenza contro le donne che reclamano il pieno godimento dei diritti civili.

Resistere oggi significa essere a fianco del popolo ucraino, chiedere un immediato cessate il fuoco senza condizioni, significa chiedere che si fermi questa sanguinosa guerra che da oltre un anno sta devastando la popolazione ucraina a causa della aggressione russa; impegnarci per la PACE ovunque in Ucraina come nel tormentato Medio Oriente, in Sudan e in tante altre parti del mondo dove la cultura della guerra distrugge comunità, e uccide uomini, donne, bambini. Resistere significa inoltre vigilare contro ogni forma di discriminazione contro forme di antisemitismo che continuano a presentarsi, significa, inoltre lottare per l’affermazione dei diritti civili, per le donne che in Iran e in tante altre parti del mondo sono perseguitate solamente perché affermano l’elementare diritto alla libertà, significa contrastare la disumanità con cui le politiche migratorie affrontano la delicata e dolorosa condizione di migliaia di migranti che sono costretti a trovare la morte nel nostro mare in viaggi alla ricerca di condizioni di vita più umane.Per tutte queste situazioni e per tutte queste ragioni noi associazioni partigiane crediamo che i valori dell’Antifascismo e della Resistenza siano ancora oggi il faro per illuminare la nostra strada, il nostro impegno, e per orientare le istituzioni del nostro Paese.W la Resistenza! W la libertà ovunque questa è minacciata!W il 25 Aprile!”.

Il 25 Aprile 2023 alla Garbatella

La nostra Vicepresidnete Nazionale Cristina Olini è stata invitata a parlare alla Tavola Rotonda presso il Moby Dick Hub Culturale alla Garbatella assieme alle altre Associaizoni della Casa della Memoria sul tema: “Perché partigiani cristiani?”.

Pubblichiamo una parte del suo intervento: “La storia molte cose non le ha raccontate, forse per mancanza di approfondimenti, ma è un dovere ricordare che alla resistenza hanno partecipato in forma effettiva, ben oltre 80 mila partigiani di ispirazione cattolica. Come uomini di fede, i partigiani cristiani non hanno lottato per affermare se stessi, ma per servire gli uomini.  Si combatteva per l’instaurazione della democrazia, per l’affermazione di quei valori che troveranno poi concreta attuazione nella Costituzione repubblicana. 

I cattolici si fecero ribelli, ma ribelli per amore: è questa la   felice espressione, contenuta nella “Preghiera del ribelle” scritta dal beato Teresio Olivelli prima di imboccare la via del martirio.  “Lottiamo diceva, giorno per giorno perché sappiamo che la libertà non può essere elargita da altri. Non vi sono liberatori ma solo uomini che si liberano.  Lottiamo per una più vasta e fraterna solidarietà degli spiriti, anche quando le scadenze sembrano lontane”. La Preghiera del Ribelle è una delle più suggestive pagine che la Resistenza vanti.

Nel marzo del 1947, autorevoli esponenti della resistenza italiana, su iniziativa di Enrico Mattei, decisero di dar vita ad una propria ed autonoma associazione tra partigiani di ispirazione cristiana. Nasce l’Associazione Partigiani Cristiani.

Superata la fase iniziale sotto la guida e il prezioso sostegno di Enrico Mattei, seguirono alla presidenza Paolo Emilio Taviani, Gioacchino Malavasi, Mario Ferrari Aggradi, Franco Franchini, Giovanbattista Bianchi Albrici, Gerardo Agostini, Giovanni Bianchi, Giuseppe Matulli fino all’attuale Presidente Mariapia Garavaglia. Nel novembre 2006 l’associazione assunse la denominazione di Associazione Nazionale Partigiani Cristiani”.

25 aprile 2023. Con l’Ucraina a Piazza della Rotonda

L’Anpc era presente questa mattina con la nostra Vicepresidente Nazionale, Anna Maria Cristina Olini, la quale ha dichiarato: “Credo che l’omaggio più eloquente ai gloriosi caduti sia quello di meditare sulle ragioni che li spinsero a ribellarsi e a sacrificarsi. Ed è proprio ricordando le loro rinunce, le loro sofferenze, il loro olocausto che tutti dovremmo sentire il dovere di restare fedeli agli ideali di libertà di pace e di giustizia che sono stati a fondamento della lotta di liberazione. Oggi il pericolo incombente è che la nostra memoria, che è alla base dei valori della Costituzione si perda o venga falsata come è accaduto ultimamente da parte di alcuni rappresentanti istituzionali nelle loro dichiarazioni. Il dovere della memoria deve continuare a sensibilizzare i giovani. A loro è affidata la difesa delle istituzioni democratiche e la pratica della solidarietà che ci ha sempre contraddistinto. Solidarietà a chi fugge e a chi è costretto a difendersi.

Continua la guerra in Ucraina. Le immagini che ci giungono ci riportano alla seconda guerra mondiale e alla nostra lotta di liberazione. La resistenza degli Ucraini è anche la nostra, perchè stanno difendendo il principio comune della libertà. L’Ucraina non deve e non può arrendersi. La resa significherebbe la morte di un popolo e di una idea di democrazia e di libertà. Mirare alla pace è giustissimo ma ad una pace senza limitazioni e sottomissioni.

Per questo oggi l’ANPC è presente anche qui, oltre che a Porta San Paolo.
Il 25 aprile non deve dividere ma unire, è una festa, una festa di tutti senza però dimenticare chi ancora è costretto a difendersi e a resistere per il proprio paese e per l’Europa”.

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