ANPC Nazionale

Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

Archivi per il mese di “gennaio, 2013”

31 Gennaio 1944 – Aldo Capitini ed il liberal-socialismo di PINO FERRARINI

CAPITININello scrivere queste pagine sulla storia dell’antifascismo perugino, ci siamo riferiti in modo particolar:e a due articoli scritti da due personaggi che hanno vissuto in proprio questa esperienza antifascista: Walter Binni, perugino , professore ordinario di letteratura italiana nelle università di Genova, Firenze e Roma, grande amico e sostenitore di Aldo Capitini e Alberto Apponi, magistrato nato a Roma ma vissuto ad Assisi e Perugia. I due articoli sono apparsi, assieme ad altre testimonianze, nella rivista mensile “Cittadino e Provincia” in un numero  speciale dedicato all’Antifascismo e Resistenza nella Provincia di Perugia.

Già con il ritorno di Capitini a Perugia nel 1933 si può parlare di una fiammella che si accendeva nel grigio di una città completamente dominata  e addormentata dai fascisti che avevano raggiunto ormai anche il pieno  consenso.

Partiamo con una definizione del personaggio fatta dal suo amico Binni: “Formidabile educatore, persuaso e persuasore”. In poco tempo riuscì a polarizzare l’attenzione  e l’interesse di un gruppo di giovani, di intellettuali e studenti sui principi in cui lui fortemente credeva che possiamo così riassumere : “ non violenza, religiosità aperta e non necessariamente cattolica, netta avversione alla dittatura fascista e ampia apertura a istanze di libertà e socialismo”.

I primi a condividere la sua esperienza furono, oltre Binni e Apponi, Averardo Montesperelli, Francesco Siciliani, Giorgio Graziosi, Franco Maestrini, Mario Frezza, Francesco Francescaglia,  Bruno Enei e altri ancora.

Si riunivano nei posti più disparati, compresa la “cella” della Torre Campanaria del Palazzo Comunale di Perugia, dove Capitini aveva vissuto la sua infanzia. Là  discutevano,confrontavano le loro idee e leggevano articoli o libri, all’epoca proibiti, che il Montesperelli e il libraio Simonelli, riuscivano a portare a Perugia. Questi incontri si arricchivano poi con numerosi contatti con personaggi antifascisti perugini o con viaggi in altre città italiane dove esistevano movimenti clandestini antifascisti: era  tutto un circolare di idee e di esperienze avverse alla cultura fascista.

Al primitivo nucleo si avvicinavano nuovi elementi come gli avvocati repubblicani Alfredo Abatini, Monteneri e Cuccurullo , il liberale  Fausto Andreani e anche il cattolico Carlo Vischia.

Importantissima fu l’adesione di personaggi più popolari come il repubblicano storico maestro Miliocchi, il libraio Luigi Catanelli, i comunisti Remo Roganti, Memo Rasimelli, Enea Todini, Tito

Comparozzi, Cesare Cardinali, Promo Ciabatti e i socialisti  Alfredo Cotani, Gino Spagnesi, Remo Mori,Tommaso Ciarfuglia e don Angelo Migni Ragni, parroco di Montebello, ex modernista ed orientato a sinistra.

La guerra di Spagna segnò un punto di partenza decisivo per gli antifascisti perugini, perché ravvivò il desiderio di una azione più organizzata e così, nello studio dell’avvocato Abatini, venne fondato un Comitato clandestino antifascista, sicuramente uno dei primi costituiti in Italia.

Iniziò così un’attività clandestina sia come diffusione di idee antifasciste e sia come collegamento fra i vari gruppi antifascisti esistenti e fu anche lì che presero forma le vecchie tendenze partitiche.

E sempre fra la fine dell’anno ’36 e inizio ’37, che fu fondato a Perugia un nuovo Movimento che nasceva proprio dall’esperienza del Capitini, il Movimento Liberal-socialista che caratterizzò l’antifascismo perugino per l’originalità del suo pensiero. Capitini, per spiegare l’ambiguità della formula, volle così definire: “ massima libertà sul piano giuridico e culturale e massimo socialismo sul piano economico”.

Il Movimento fu poi ripreso e ampliato a livello nazionale da Guido Calogero, Ugo La Malfa, Piero Calamandrei, Norberto Bobbio e finì per diventare la premessa  per la nascita del Partito d’Azione. L’originalità dell’idea era la volontà di costituire un Movimento socialista:  “Tanto socialmente, quanto politicamente e giuridicamente concretato in forme di democrazia diretta, “dal basso” e  quindi sempre aperta alla libera circolazione di idee, mai chiuso in rigide strutture burocratiche ed autoritarie “ Così lo definisce Walter Binni.

Intensa divenne l’attività di questo Movimento che si sparse a macchia di leopardo in tutta Italia, grazie ai tanti contatti e viaggi che gli adepti facevano continuamente in tutto il paese, creando  così una folta rete di centri e di gruppi fra loro collegati in cui Perugia rimaneva sempre il punto di riferimento. Perugia fu così frequentata da molte personalità della cultura  e dell’antifascismo come La Malfa , De Rossi, Bobbio, Di Ruggero , Piero Calamandrei, Gianni Pintor, Lombardo Radice  e tanti altri.

Molto importante per favorire questi incontri fu anche la costituzione  dell’Istituto di Studi Filosofici, fondato e presieduto da Averardo Montesperelli. Questo Istituto nacque  il 7 dicembre 1940 come  sottosezione dipendente dalla Sezione fiorentina ed aveva lo scopo di promuovere studi e ricerche filosofiche mediante conversazioni, conferenze e altre iniziative ed era aperto agli insegnanti di filosofia delle scuole  della Provincia, ma anche ai cultori di studi filosofici. Nel Comitato organizzativo si ritrovava la maggior parte dei frequentatori dei corso di Capitini da don  Angelo Migni a Giuseppe Granata, Ottavio Prosciutti, Bruno Enei e Ciabatti. Lo stesso Capitini era nel Consiglio di Presidenza con Granata e  Mencaroni. Erano loro a scegliere gli argomenti e i relatori. Anche questi incontri avvenivano nei posti più disparati a cominciare dalle stessa case di Montesperelli e Apponi, al laboratorio di Cantarelli o nel deposito di legnami di Todini e perfino nella già citata celletta del campanile del Municipio.

Con queste duplici attività il gruppo di antifascisti si allargava sempre più , soprattutto per l’adesione che davano i giovani comunisti come Ilvano Rasimelli, Ciabatti,  Piera Brini, Lanfranco Mencaroni, Massimo Mori, Erminio Covarelli, Pio Baldelli, Ferdinando Roisi Cappellani.  Moltisimi di questi giovani si ritrovarono poi nelle formazioni partigiane della Resistenza Umbra. e  Ciabatti, come il giovane Mario Grecchi, ci lasciò la vita.

Il centro Studi di Montesperelli che dipendeva dal Ministero dell’Educazione Nazionale, aveva a Perugia un pericoloso avversario, creato dal fascismo proprio per controllare le iniziative culturali perugine, cioè L’Istituto di Cultura Fascista. Quando i fascisti si accorsero che l’Istituto di Filosofia invitava  a tenere le relazioni, troppi personaggi chiaramente antifascisti, come Bobbio, Di Ruggero, Calogero ed altri, cominciò a tenerlo sotto osservazione e il Centro di Cultura Fascista tentò di incorporarlo nelle sue attività, ma Montesperelli fu bravo a difendere l’indipendenza dell’Istituto sostenendo che i due Istituti dipendevano da due  diversi ministeri. Tuttavia, anche se riuscì a liberarsi delle attenzioni dell’Istituto di Cultura Fascista,non riuscì a liberarsi delle  grandi ondate di arresti che i fascisti fecero nel ’42 con le quali misero in prigione per ben due volte Capitini, Granata, Prosciutti e tanti altri giovani: così il 2 maggio del 1943, l’Istituto di Montesperelli tenne la sua ultima conferenza.

Intanto i partiti avevano preso il sopravvento sui Movimenti e il gruppo legato a Capitini  e Montesperelli si disperse: Quelli di tendenza comunista passarono al PCI, altri come Apponi preferirono iscriversi al Partito d’Azione e altri ancora, come Binni e Montesperelli scelsero il rinato Partito socialista.  Capitini preferì non aderire a nessun partito e rimase con i suoi Centri di Orientamento Sociale ( COS)  ispirati al suo liberal-socialismo.

Battaglia contro l’astensionismo

I Partigiani Cristiani, riunitisi in Congresso a San Donato Milanese il 23-24 Ottobre 2012, hanno deciso di intraprendere una battaglia contro l’astensionismo. Il XVI Congresso ha approvato all’unanimità un appello a tutte le Associazioni democratiche, con particolare riferimento alle Associazioni cattoliche, per combattere l’astensionismo e l’antipolitica. Non si può rinunciare ad un diritto la cui conquista è costata la vita a migliaia di giovani: l’astensionismo è da considerare come una fuga. Andare a votare non è solo l’esercizio di un diritto, ma è anche un impegno per la difesa dei valori della Resistenza, che sono alla base della nostra Repubblica e della nostra Costituzione.

(CON UNA VIVA PREGHIERA DI DIFFUSIONE NEL MESE DI FEBBRAIO)

Discorso ai giovani di Cerreto d’Esi di Bartolo Ciccardini

In occasione dell’evento di sabato 26 gennaio alle ore 10.30 con le due terze della scuola secondaria
“Melchiorri” di Cerreto, Luca Maria Cristini presenterà il suo libro “Mosè Di Segni
medico partigiano. Memorie di un protagonista della Guerra di Liberazione (1943-1944)”. bartolo Ciccardini ha scritto il seguente messaggio ai giovani di Cerreto d’Esi

Carissimi giovani e ragazzi di Cerreto d’Esi,

voi avrete spesso sentito parlare della nostra Costituzione e avrete anche sentito dire che la nostra Costituzione è fondata sulla Resistenza, vale a dire sulla lotta degli italiani per riconquistare la libertà e la dignità. Il concetto fondamentale della dittatura, di tutte le dittature, è che lo Stato viene prima della persona umana e che per far trionfare lo Stato si possa reprimere ed offendere la persona umana.

Questo concetto portò a numerosi errori, alla guerra, alla distruzione stessa del nostro Paese che venne duramente assoggettato da un’occupazione straniera che riteneva di poter condannare a morte chiunque le resistesse.

Coloro che si opposero sia con la lotta armata, sia col dare il rifugio ai perseguitati, sia col mantenere alta la dignità della vita umana, inaugurarono un patto nuovo fra gli italiani. Le forze politiche democratiche uscite da questo crogiuolo si trovarono d’accordo nell’affermare nella nostra Costituzione che la persona umana e la sua dignità vengono prima dello Stato. E la nostra Costituzione con i suoi principi fu approvata quasi all’unanimità.

Per questo diciamo che la Costituzione è basata sulla Resistenza.

Io ho raccontato in un piccolo libro l’atteggiamento forte, coraggioso e dignitoso dei cerretesi in questo difficile periodo. Lo storico Pietro Scoppola, ha scritto: “Vi è nella esperienza di questo paese (Cerreto d’Esi) una conferma di una tesi che mi è particolarmente cara: il rifiuto della violenza e l’accentuarsi della volontà di pace non sono sentimenti “grigi” e non saranno di fatto irrilevanti per un’opera di ricostruzione della convivenza civile. (…) Un messaggio che è sostanzialmente alternativo a quello fascista come elemento di salvaguardia di valori fondamentali, di convivenza e di rispetto della persona umana”.

A questo proposito voglio citarvi le ultime righe del mio racconto: “Una comunità intera che volontariamente rifiuta di obbedire ad un’occupazione ingiusta, che sostiene una “sua” formazione armata che la mette in condizioni di operare imprese militari notevoli e che nel frattempo organizza la sua sopravvivenza, che cerca di mantenere le caratteristiche di una società civile, in un momento in cui non esiste più un’autorità costituita ha il diritto di chiamarsi Repubblica. La piccola, straordinaria, modesta Repubblica libera di Cerreto d’Esi”.

Bartolo Ciccardini

Enrico Mattei: il discorso di Trieste del 25 Aprile 1955

“Consentitemi, amici, che io precisi quale fu la posizione dei cattolici nella Guerra di liberazione, e questo per rettificare alcune inesattezze che la storiografia, grande  e piccola, continua ad avvallare a nostro svantaggio. Come primo ho detto, le bande partigiane furono originariamente piuttosto dei gruppi di sbandati che delle regolari formazioni militari. Ma il loro moltiplicarsi, con l’accorre degli elementi patriottici e dei tecnici organizzatori, ne fece, ben presto, un vero esercito di ribelli, al servizio di una rivoluzione nazionale, quale Mazzini aveva sognato.

I primi agitatori politici giunsero ovviamente dal già organizzato Partito Comunista, il quale si rendeva conto della necessità di una disciplina, sia formale, sia interiore. È doveroso prendere atto che in quel tragico frangente sposarono interamente la causa della Liberazione. Mettendosi alla testa di quelle che essi chiamarono “formazioni garibaldine”, non cercavano (come altre volte più tardi) di mimetizzare intenzioni nascoste, ma additavano agli uomini il valore dell’eroe dei due mondi, ponendo l’accento sulla forza animatrice del coraggio, dell’amore di Patria. Dal canto loro, le gloriose formazioni di “giustizia e Libertà”, poi, sovrapponevano agli stessi sentimenti una teoria dello Stato, elaborata nei silenzi delle prigioni e nella tristezza degli esilii dagli intellettuali che ne erano a capo.

I cattolici, e questo bisogna affermare alto e forte, erano in maggioranza fra gli uni e gli altri. E benché sia stato ripetuto dagli storiografi di sinistra che noi eravamo al più presenti con generici sentimenti di patriottismo, è doveroso ricordare che con noi il clero non fu secondo nel levare alta la fiaccola della riscossa. Né i cristiani avevano bisogno di sovrapporre teorie più o meno politiche a quelle radicate nel cuore delle masse,  se è vero, come è vero, che l’idea cristiana è un’idea di libertà.

Che non fossero sentimenti remoti, insufficienti per l’azione, si vide chiaro col progredire della lotta. Le bande che si vennero raggruppando sotto le insegne cristiane crebbero a dismisura sopravanzando numericamente quelle di altra ispirazione, e gareggiando in entità con le brigate garibaldine.

Nel piano organizzato, ovviamente, si dovette tener debito conto della nostra presenza. Il comando dei volontari della Libertà non ebbe affatto la struttura che troppo spesso si è continuato a ricordare, con evidente esaltazione di determinate ideologie politiche.

Al vertice del comando era il Generale Cadorna, ma sotto di lui operavano non due, bensì cinque vicecomandanti, uno dei quali appunto si trovava a capo delle imponenti forze cattoliche, che hanno scritto pagine memorabili, in nulla, certo, inferiori a quelle delle altre formazioni. (…)

 

Ma la presenza qui, in gruppi numerosi, di coloro che appartennero alle gloriose formazioni dell’Osoppo, mi consenta di fare, per tutti i nostri martire ed eroi, un nome: “De Gregori”; mi consenta di ripetere le commosse parole con le quali un giovane cappellano evocava l’eccidio di Porzus: “Ora, o Signore, tu ci dirai chi li uccise. Perché tu sai meglio di noi che non fu il nemico ad uccidere; e solo il nemico, per le tristi leggi della guerra avrebbe avuto questo diritto. Chi li uccise, dunque, o Signore?”.

Alla gloria dei vivi, alla memoria dei morti, pieghiamo il capo ed inchiniamo le bandiere”.

Enrico Mattei

Relazione ai Partigiani Cristiani del Presidente Bianchi al Consiglio Nazionale del 15 Gennaio 2013

Una ripartenza democratica

Dopo il Congresso

Il senso e la decisione del nostro XVI Congresso svoltosi a San Donato Milanese il 23 e 24 ottobre dello scorso anno sono senza dubbio racchiusi nella mozione finale, approvata all’unanimità. Con essa facciamo appello a tutte le associazioni democratiche – con particolare riferimento alle associazioni cattoliche – per intraprendere un’azione comune intesa a combattere l’astensionismo e l’antipolitica. Due atteggiamenti diffusi che consideriamo una fuga ed un tradimento di fronte alla necessità di impegnarsi per la difesa e la ricostruzione dei valori della Resistenza che sono alla base della nostra Repubblica e della nostra Costituzione. Una decisione starei per dire da manuale: la tradizione della Lotta di Liberazione si sporge oltre la memoria per diventare stimolo alla partecipazione democratica. Non sembri perciò troppo lieve e scanzonato il linguaggio, quasi sportivo, con il quale ho pensato di definire il risultato della nostra assise, nella città voluta da Enrico  Mattei, come una ripartenza democratica.

La transizione infinita nella quale siamo da troppo tempo immersi non solo pone infatti domande per le quali non abbiamo ancora risposte, ma dice soprattutto che il Paese non può fare a meno di una adeguata cultura politica, in entrambi i campi del vigente bipolarismo. E anche oltre il bipolarismo. Troppo a lungo infatti le sorti di una necessaria governabilità e di una auspicabile partecipazione sono state affidate ai meccanismi elettorali ed istituzionali. Importanti senza dubbio, ma non in grado di ridisegnare in quanto tali e da soli le forze in campo. Il nostro Paese infatti è l’unico che, a far data dalla caduta del muro di Berlino dell’Ottantanove, ha azzerato il sistema dei precedenti partiti di massa.

Sono state le diverse tornate elettorali a dettare i tempi e perfino le agende. Una democrazia sincopata di scadenza in scadenza, con una costitutiva incapacità di pensarsi oltre i singoli traguardi. E’  in tal modo che i partiti si sono progressivamente trasformati in taxi o pullman caricati di liste elettorali e disponibili alla rottamazione una volta raggiunto il traguardo con una vittoria o anche con una sconfitta.

Non solo la politica, ma anche l’azione legislativa, quella varata dai parlamenti nazionali e regionali, non se ne è potuta riparare e progressivamente i tempi brevi del decreto-legge di iniziativa governativa hanno sostituito quelli dell’iter naturale delle leggi. Insomma, siamo in presenza di un fenomeno generalizzato e di una condizione che Raffaele Simone così descrive: “Taluni di questi fenomeni, che oggi dominano la scena mondiale e toccano da vicino la nostra vita individuale, non sono stati neppure percepiti, a causa di una sorta di tirannia del breve termine”. Ecco dunque chi detta il dovere dell’ora e determina la velocità dei tempi: il Breve Termine, che costringe tutti a vivere di corsa pensando a raffiche. (E chi evita di pensare rischia di arrivare prima, anche se al traguardo sbagliato.)

Eppure la percezione e l’augurio sono che quella che il Paese sta attraversando sia un’autentica svolta in grado di consentire l’uscita da quella “Repubblica indistinta” (Edmondo Berselli) che è succeduta alla Prima Repubblica crollata sotto le macerie di Tangentopoli. Per quasi un ventennio abbiamo vissuto l’egemonia e i riti della videocracy dominante, implementata da Silvio Berlusconi e dalla sua portentosa macchina mediatica, fino a indurre in se stesso e negli italiani una sorta di seconda natura. Insieme a un estetismo generalmente volgare e commercializzato e a un giovanilismo facilmente orientato verso le fortune della destra politica, si evidenzia un profondo processo di de-istituzionalizzazione e de-costituzionalizzazione del Paese. E non poco ha contribuito allo scopo quella confusione tra divismo e leadership che Francesco Alberoni si incaricava di chiarire in un testo degli anni Sessanta dal titolo L’élite senza potere. Una dittatura dell’immagine occupata da una  torma di dilettanti, laddove almeno i politici della cosiddetta Prima Repubblica quando sbagliavano (e accadeva non di rado) però – ho in mente Paolo Conte – “sbagliavano da professionisti”.

Detto in fretta e alla plebea: dopo aver fatto naufragio con la politica “corta”, dovremmo provare a salvarci pensando una politica “lunga”.

Le osservazioni svolte finora riguardano le modalità del consenso (una loro parte) e si sa che il consenso è ingrediente ineliminabile della democrazia rappresentativa. Esse però rimandano alla  seconda trasformazione in atto, variamente e interessatamente interpretata e perfino esorcizzata: quella che avviene nei luoghi della democrazia. Anche qui, come in tutti i settori dell’agire umano, il campo di Dio e quello di Satana sono lo stesso, nel senso che politica e antipolitica si contendono il medesimo spazio. Nella quotidianità, nell’organizzazione, nelle istituzioni. A separarle un confine poroso e transitabile nei due sensi: circostanza che dovrebbe chiarire come l’antipolitica non sia destinata a restare tale per immutabile natura, e la politica possa volgersi nel suo contrario, al punto che talvolta l’antipolitica si annida nel cuore della politica medesima,  quella che si ostenta come doc ed ortodossa, proprio là dove si scagliano gli anatemi contro le nuove insorgenze dell’antipolitica. Soprattutto nella fase in cui il mutare del governo  coincide con il mutamento del paradigma della politica nazionale, e non soltanto.

Se infatti sono riconoscibili e circoscritte le aree dove le nuove insorgenze dell’antipolitica si manifestano – movimenti, antagonismi, luoghi mediatici, satira, corpi antichi e nuovi del civile e delle istituzioni, corporazioni – più difficile è cogliere i caratteri dell’antipolitica dentro gli organismi deputati del politico. Tuttavia essi possono essere individuati seguendo una lucida indicazione di Hannah Arendt, là dove addita nel carrierismo (le resistenze castali sbeffeggiate da Rizzo e  Stella) i rinascenti mimetismi dell’antipolitica. Scriveva infatti la Arendt nel 1963 che  il guaio è che “la politica è diventata una professione e una carriera, e che quindi l’élite viene scelta in base a norme  e criteri che sono in se stessi profondamente impolitici”.

Insomma, bisogna preliminarmente distinguere. Altro è gridare all’antipolitica e altro rilevare la generalizzata avversione ai partiti. Antipolitica e antipartitica non coincidono; anzi, la disaffezione verso “questi” partiti può aprire nuovi percorsi di ricerca politica. Percorsi imprevedibili e discutibili, dal momento che non si ha notizia di democrazie che funzionino senza partiti.

Non siamo evidentemente in grado di elencare le nuove categorie dell’antipolitica, ma additare sconfinamenti e metamorfosi, in negativo e in positivo (dall’antipolitica alla politica), significa dare un contributo a delimitare il campo ed attrezzarsi per un futuro che senza la competenza della politica non sarebbe neppure possibile progettare.

Ho già osservato che il confine tra politica e antipolitica è indefinito e continuamente transitabile nei due sensi. Miope e destinata alla sconfitta è la politica che reagisce all’antipolitica prima con fastidio e poi con l’esorcismo. L’antipolitica infatti non è condannata a restare perennemente tale. Resta anzi in attesa di chi sappia interpretarla per darle forma politica. E’ la lezione del sempiterno Hegel: sempre la politica nasce da quel che politico non è. E se tu non interpreti quella che definisci antipolitica troverai ben presto chi la interpreti contro di te. La sindrome difensiva è perciò sicuramente perdente. Ci vuole il coraggio del discernimento, di chi si mette “in mezzo” con il gusto prima di vivere e condividere la condizione e le aspirazioni della gente comune e “indignata”, per poi eventualmente governarla. Leggere gli uomini oltre che i libri. Continua a leggere…

Mosè Di Segni medico partigiano. Memorie di un protagonista della Guerra di Liberazione (1943-1944)”.

Anna Foa per “L’Osservatore Romano

Il manoscritto che viene alla luce — nel libro Mosè Di Segni medico partigiano. Memorie di un protagonista della Guerra di Liberazione (1943-1944), a cura di Luca Maria Cristini (San Severino Marche, Edizioni della Riserva naturale regionale del Monte San Vicino e del Monte Canfaito, 2011 ) — accompagnato dai contributi di studiosi e famigliari, dopo essere rimasto sepolto per decenni negli archivi di famiglia, è il diario di dieci mesi di guerra partigiana condotta dal Battaglione Mario, appartenente alle Brigate Garibaldi, nella zona di San Severino Marche. Il suo autore, Mosè Di Segni, è un medico ebreo romano, rifugiatosi con la famiglia a Serripola, una frazione di San Severino Marche, in una casa del farmacista del posto, Giulio Strampelli, e subito arruolatosi nella brigata partigiana che operava nella zona, una brigata garibaldina guidata da Mario Depangher.

Il testo è quindi un documento importante non solo per ricostruire le vicende di quel frammento di guerra partigiana, ma anche per ricostruire la storia della partecipazione ebraica alla Resistenza, una storia ancora poco conosciuta e che solo recentemente comincia a diventare oggetto di ricerche e riflessioni da parte degli storici. Mosè Di Segni aveva all’epoca due figli bambini, Frida ed Elio. Un terzo nascerà dopo la guerra, Riccardo, l’attuale rabbino capo di Roma. Ai tre figli di Mosè, Elio, che fa il cardiologo in Israele, Frida, scrittrice, e appunto Riccardo, il Comune di San Severino Marche ha voluto recentemente conferire la cittadinanza onoraria.

Perché la storia di Mosè Di Segni, che ha trovato protezione e salvezza a San Severino ma ha anche dato in cambio la sua preziosa opera di medico e quella di combattente per la libertà, è in realtà quella di un intenso scambio reciproco fra i rifugiati ebrei e gli abitanti di Serripola.

Mosè Di Segni, nato a Roma nel 1903 e morto precocemente nel 1969, era una figura certo non banale. Durante i suoi studi di medicina a Roma, per mantenersi lavorò come cronista giudiziario per «Il Giornale d’Italia». Frequentò da giovane a Roma il circolo sionista Avodà, creato da Enzo Sereni. A Firenze, dove si specializzò in pediatria, frequentò i gruppi sionisti fiorentini, fondati dal rabbino Margulies all’insegna della rinascita di un ebraismo integrale. Qui conobbe colei che sarebbe divenuta sua moglie, e che vi studiava farmacia, Pina Dascali Roth, figlia del rabbino capo ashkenazita di Russe, in Bulgaria, un centro importante della cultura ebraica orientale, città di nascita di Elias Canetti.

Mosè Di Segni fu anche molto legato a David Prato, rabbino capo di Roma dal 1936 al 1938, poi cacciato come sionista e antifascista. Sionista e antifascista egli stesso, era quindi visto con sospetto dal regime, tanto che fu messo sotto sorveglianza dalla polizia segreta fascista. Nel 1936, da coscritto e non da volontario, fu inviato in Spagna come medico militare, ma nel 1938 in seguito alle leggi razziste fu radiato dall’esercito, oltre ad essere licenziato dall’Ospedale Spallanzani dove prestava la sua opera. Consigliere della Comunità romana, fu nel settembre 1943 fra quanti si adoperarono a convincere la Comunità della necessità di spingere gli ebrei romani a nascondersi.

Alla fine di settembre, avvisato da un amico che il suo nome era nella lista degli ostaggi destinati alla deportazione, si rifugiò con la famiglia a Serripola. Erano partiti precipitosamente, senza nulla, tanto che sua moglie tornò il 15 ottobre a Roma a prendere qualcosa dalla loro casa. «Capì — scrive il figlio Elio nel volume — il pericolo incombente», e non si fermò quindi a dormire a casa in quella notte tra il 15 e il 16 ottobre in cui si sarebbe svolta la razzia nazista.

A Serripola, il capofamiglia entrò subito nella colonna partigiana appena formata a svolgervi la sua attività di medico ma anche, in alcune emergenze, di combattente (e per una di queste occasioni sarà insignito nel 1948 di medaglia d’argento al valor militare). Una scelta anomala, direi, da parte di un uomo già maturo, con una famiglia da proteggere in una situazione di grande precarietà e rischio.

A Serripola, la famiglia Di Segni fu protetta e aiutata. Una rete di complicità consentì loro di sfuggire ai rastrellamenti fascisti e nazisti, nascondendosi ora dall’uno ora dall’altro quando il pericolo si faceva imminente. Fin dall’inizio, la loro accoglienza era stata facilitata dall’opera del parroco del luogo, che dal pulpito aveva esortato i fedeli ad accogliere questi rifugiati senza far domande, senza chieder loro perché non frequentavano la chiesa. A sua volta, Di Segni si impegnò intensamente a curare, oltre ai partigiani, anche gli abitanti di Serripola, che lo ripagarono di affetto e riconoscenza, sentimenti di cui resta tuttora memoria. Lo ricorda l’attuale arcivescovo di Ancona e Osimo, Edoardo Menichelli, allora uno dei bambini con cui i piccoli Di Segni giocavano.

Leggendo il memoriale scritto da Mosè Di Segni, si resta colpiti dalla sua forte identificazione con la Patria italiana, per cui il battaglione combatte. È un diario di guerra, in cui non c’è nulla che possa far comprendere che a scriverlo era un perseguitato razziale, un ebreo. Nulla nemmeno sulle motivazioni che lo hanno spinto a entrare nella Resistenza armata, quasi si trattasse di una scelta naturale, inevitabile. Sionista, perseguitato come ebreo, Di Segni non ha alcun dubbio sul fatto di essere sempre e comunque un italiano che si batte per liberare la sua patria, l’Italia, dall’occupazione nazista. Ed è anche questo un tassello significativo di questa storia della partecipazione ebraica alla Resistenza, ancora in gran parte da scrivere.Invito_Giorno della memoria_2013

VERBALE del Consiglio Nazionale ANPC del 15 Gennaio 2013

Il Segretario Nazionale, On. Bartolo Ciccardini, introduce la riunione ricordando i risultati e le direttive del XVI° Congresso del 24 Ottobre 2012. Invia un saluto ed un ringraziamento, rispondendo alla sua lettera di augurio e di partecipazione,  al Presidente Onorario dell’Associazione, Bernardo Traversaro, che è succeduto a Gerardo Agostini nella Presidenza dell’ANMIG. Invia a lui le congratulazioni di tutta l’Associazione per la sua elezione a Presidente della Confederazione delle Associazioni Partigiane e Militari e lo ringrazia per la ospitalità concessa al nostro Consiglio Nazionale.

Ricorda le tre decisioni prese nel Congresso: la campagna antiastensione, la partecipazione all’ “Anno dossettiano” (centenario della nascita di Giuseppe Dossetti, partigiano cristiano) ed il programma del 70° Anniversario della rinascita dell’Esercito Italiano nella Guerra di Liberazione (Battaglia di Monte Lungo dell’8 dicembre 1943). Ricorda infine Suor Teresina, la prima partigiana cristiana, che cadde per difendere la dignità delle spoglie dei giovani granatieri morti nella battaglia della Montagnola del 10 Settembre 1943, inizio della “ribellione cristiana per amore”. (“La Preghiera del ribelle” di Teresio Olivelli).

Prende la parola il Presidente, On. Giovanni Bianchi.  La bellissima relazione del Presidente parte dal significato della Resistenza Cristiana, introduce la definizione di Dossetti (figura sottovalutata, quasi ignorata nella storia, che va invece riscoperta e valorizzata): “Se fascismo significa priorità dello Stato sulla persona, antifascismo significa priorità della persona sullo Stato”. Questo concetto diventa il fondamento della Costituzione personalista, che mette d’accordo culture ed ideologie differenti nella Costituzione, patto fondante la nostra democrazia.

Parte dalla mozione dell’ultimo Congresso, che ha rappresentato una svolta nell’Associazione: la lotta contro l’antipolitica e contro l’astensionismo. Ripensare al modo di essere della nostra Associazione per presentarci in forma nuova al Paese, ossia come esempio di democrazia costituzionale.

Educazione costituzionale alla politica: riscoprire la cultura costituzionale. Tra i giovani si è diffuso il pensiero dell’inutilità della politica. Trovare nella Costituzione l’accordo tra le diversità. Due pilastri fondamentali: democrazia fondata sull’azione educatrice per sviluppare forme politiche colte. Sull’azione educatrice può e deve intervenire la nostra associazione. Tornare alla Costituzione con lo spirito della Resistenza: per tornare al bene comune, tornare alla base dei fondamenti che sono comuni a tutti gli italiani. Riscoprire questi valori sarà il compito dell’ “Anno dossettiano”.

Sturzo diceva: “La democrazia non è un guadagno fatto una volta per tutte”. Attualità di questa frase.

Interviene il Segretario nazionale, On. Bartolo Ciccardini. Parla dell’agenda delle cose pratiche da fare: rapporti con la Confederazione (ricordo di Gerardo Agostini e di Bruno Olini). Il tesseramento (formule da definire). L’anno del 70° dell’Esercito Italiano: celebrazioni da proporre al Comitato per i festeggiamenti. Antiastensionismo: lettera alle associazioni cattoliche. Offerta educativa. Prendere contatto con tutte le sedi Acli.

Si apre il dibattito. Intervengono:

  1. Danilo Poletto, Roma: proporre in termini pratici nei problemi del momento dei programmi e delle soluzioni. Critica alle associazioni cattoliche che non hanno fatto la dovuta opposizione ai sacrifici imposti ai più deboli;
  2. Serafino Zilio, Vicenza: celebrazioni dell’episodio della Resistenza sul Monte Grappa. Importanza della Resistenza cattolica nel Veneto e necessità di questo contributo storico nella formazione dei giovani.
  3. Sen. Maurizio Eufemi: collegamento con l’Ass. degli Ex-parlamentari. Necessario contributo alla organizzazione dei partigiani cristiani e partecipazione viva ai temi proposti. Sua esperienza personale nel ricordo del padre partigiano.
  4. Angelo Sferrazza: giornalista RAI e membro della Internazionale Cristiana. Parla della esperienza personale e familiare nella Resistenza. Propone e vuole collaborare per una riscoperta dei documenti audiovisivi dedicati alla Resistenza a disposizione del progetto educativo.
  5. Pino Strinati, Presidente Anpc Rieti: riferisce sull’attività di presentazione della memoria storica della Resistenza nella provincia di Rieti. Ricorda che Suor Teresina era di Amatrice e si propone di celebrarla in questo anno. Collaborazione con l’associazione Santa Barbara nel mondo. Dopo l’anno di Mattei faranno l’anno di Dossetti. Propone una soluzione sul problema dei rapporti con l’Anpi.
  6. Carlo Costantini, Presidente Anpc Frosinone: dopo il ricordo di Agostini e di Olini, parla del programma delle attività in corso. Chiede aiuto per portare a termine l’iniziativa del riconoscimento e della utilizzazione come parco della memoria del campo di concentramento “Le Fraschette” (di Alatri) dove, durante la seconda guerra mondiale,sono state internate,e sottoposte a dure restrizioni e sofferenze,migliaia di cittadine e
    cittadini,anche bambini,sloveni,croati,anglo-maltesi e di confinati politici italiani,provenienti da Ustica.
  7. Giorgio Paini, Vicepresidente Anpc di Parma: eleva la sua protesta per la costruzione di un mausoleo dedicato a Rodolfo Graziani, a spese della Regione, ignorando che Graziani fu un criminale di guerra prima e responsabile poi della sanguinosa repressione repubblichina. Evoca la strage del Monte Grappa con l’impiccagione finale di 17 giovani partigiani a cui partecipò Giorgio Albertazzi.
  8. Giovanni Guidaccioni, Roma: interviene precisando che Graziani si distinse anche per le repressioni disumane in Libia ed in Etiopia, ricordando la strage di più di mille sacerdoti cristiani copti in Etiopia. Si preoccupa per la infiltrazione di elementi della sinistra anarchica nelle manifestazioni dell’Anpi.
  9. Ottavio Battisti, Segretario Provinciale di Rieti: interviene precisando sul carattere democratico della grande maggioranza dei soci dell’Anpi, anche se si pone il problema nei futuri rapporti della caratteristica particolare del tesseramento dell’Anpi.
  10. Felice Tagliente, Presidente Anpc di Torino: parla dei programmi svolti a Torino anche in collaborazione con l’Anpi per il mantenimento della memoria. È molto interessante questa esperienza non solo come offerta pedagogica, ma anche per la riscoperta di memorie personali e familiari della Resistenza rimaste sconosciute. Consiglia di iniziare un programma, magari a premi nelle scuole per la riscoperta dei nonni partigiani.
  11. Sergio Giliotti, Vicepresidente nazionale e Presidente di Parma (nome di battaglia “Sparviero”): ringrazia la Signora Teresa Montaruli per la perfetta organizzazione della riunione e il Consigliere Nazionale Pasquale Orlando, vicepresidente delle Acli, per la predisposizione del “rancio di campo”. Parla della sua esperienza in prima linea e narra episodi della memoria del terribile inverno del ’44 sull’Appennino tosco emiliano.
  12. Carla Roncati, vicesegretaria nazionale con funzioni amministrative: si sofferma sulle note organizzative. Conclude ricordando uno stupendo episodio: la piccola sorella Wanda che all’età di soli otto anni, con grande coraggio, percorreva di nascosto, passando sotto i respingenti, il binario ferroviario dove sostavano i treni piombati per portare in Germania i deportati, per raccogliere bigliettini per avvertire le famiglie. Episodio toccante e pieno di significato.
  13. Anna Maria (Cristina) Olini, figlia dell’amatissimo Bruno Olini, grande partigiano, grande democratico, grande Segretario dell’Associazione, da poco tempo scomparso: accolta da un grande applauso di riconoscenza interviene, dopo essersi soffermata sui problemi in discussione, ricordando questo episodio: “Mio padre mi raccontava sempre che aveva dovuto puntare un fucile contro un suo uomo che voleva prendere un orologio ad un prigioniero fascista, che spiegava piangendo come quello fosse un ricordo di suo padre”. E questa era la testimonianza dello spirito vero dei partigiani cristiani. Grande commozione nell’animo di tutti per le parole di Cristina Olini.

Il Presidente Bianchi conclude riassumendo la discussione e preannunciando le istruzioni pratiche per svolgere il programma discusso ed approvato all’unanimità.

COMUNICATO STAMPA su Consiglio Nazionale ANPC del 15 Gennaio 2013

Il Consiglio Nazionale dell’Associazione Partigiani Cristiani ha preso importanti decisioni sul programma da svolgere nell’anno 2013. Dopo un ampio dibattito seguito alla relazione del Presidente, On. Giovanni Bianchi. I Partigiani Cristiani si impegneranno a fare una campagna contro l’astensione dal voto, chiedendo a tutte le associazioni cattoliche di partecipare a questa mobilitazione della coscienza civica.
Questa azione sarà proposta all’attenzione del Presidente della CEI, Cardinal Bagnasco.
Una lettera su questo programma è stata inviata al Presidente della Repubblica.
Nella sua relazione il Presidente, On. Giovanni Bianchi, ha spiegato lo stretto collegamento fra Resistenza e Costituzione. Ha citato la frase di Dossetti: “Se il fascismo significava priorità dello Stato sulla persona, la Resistenza significa priorità della persona sullo Stato”. Questo concetto è stato al centro della Costituzione con un accordo straordinario fra le culture cattolica, socialista e liberale, che ha permesso di approvare il testo quasi all’unanimità.
Per sottolineare questa caratteristica importante della Costituzione i Partigiani Cristiani celebreranno l’”Anno Dossettiano”, ricordando anche il Dossetti partigiano sull’Appennino tosco emiliano. I Partigiani Cristiani parteciperanno con le altre Associazioni militari e partigiane al ricordo della rinascita dell’Esercito Italiano dopo la dissoluzione dell’8 Settembre 1943 nella battaglia di Monte Lungo a Mignano (l’8 dicembre 1943), in Campania.
L’Associazione con un accordo stretto con le Acli costituirà dei Gruppi di Lavoro “Resistenza e Costituzione” per la preparazione dei giovani alla “buona” politica.

Consiglio Nazionale – 15 Gennaio 2013, Roma

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Partigiani Cristiani per il futuro

I Partigiani Cristiani non sono solo i custodi della memoria storica dei “ribelli per amore”. Ma vogliono essere anche coloro che trasmettono i valori della resistenza e della Costituzione ai giovani per edificare una Italia “buona”. Preoccupati per il futuro aprono la loro Associazione ai giovani perché diventino propugnatori della libertà.

Iscrivetevi all’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani.

Si riunisce domani, 15 Gennaio, alle ore 10:00 presso la sede ANMIG in Piazza Adriana, 3 in Roma, il Consiglio Nazionale “aperto”.

Quanti aspirano ad essere “partigiani cristiani” per la democrazia sono invitati a partecipare, a mandare la loro adesione, a manifestare il loro consenso.

Il Segretario Nazionale

Bartolo Ciccardini

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