ANPC Nazionale

Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

Le radici della nostra Repubblica. Triangoli di memoria – Montecitorio, Sala della Regina

Galleria fotografica dell’evento del 30 Maggio 2013

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, con la Vice Presidente della Associazione Nazionale Partigiani Cristiani (ANPC), Carla Roncati

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, con la Vice Presidente della Associazione Nazionale Partigiani Cristiani (ANPC), Carla Roncati

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, durante l'iniziativa "Le radici della nostra Repubblica. Trangoli di memoria"

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, durante l’iniziativa “Le radici della nostra Repubblica. Trangoli di memoria”

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, durante l'iniziativa "Le radici della nostra Repubblica. Trangoli di memoria"

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, durante l’iniziativa “Le radici della nostra Repubblica. Trangoli di memoria”

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, saluta insieme a tutte le relatrici dell'iniziativa "Triangoli di Memoria", Mirella Stanzione, Membro del Comitato d'onore dell'Associazione Nazionale ex Deportati (ANED)

La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, saluta insieme a tutte le relatrici dell’iniziativa “Triangoli di Memoria”, Mirella Stanzione, Membro del Comitato d’onore dell’Associazione Nazionale ex Deportati (ANED)

Discorso della Presidente della Camera Laura Boldrini.

“Buongiorno e benvenute a tutte e a tutti. Un benvenuto agli insegnanti e alle insegnanti, che considero un presidio di democrazia e di legalità, essenziali anche nella funzione fondamentale di trasmettere la memoria.

Ringrazio le organizzatrici di questa iniziativa per il suo alto valore storico e civico. Ringrazio quindi Nella Condorelli e Rosa Villecco Calipari. Il mio saluto particolare è rivolto a Mirella Stanzione, a Vera Salomon Michelin, a Carla Roncati, a Marisa Ombra e Giovanna Massariello. Sono grata a tutte le persone che danno vita a questa giornata.

Il ruolo delle donne nella Seconda guerra mondiale e nella Resistenza italiana è oggetto da vari anni di un rinnovato approfondimento della ricerca storiografica e delle testimonianze.

Le risultanze di questo importante lavoro portano a superare alcuni assunti – talora anche stereotipati – del patriota uomo, del partigiano coraggioso e indomito e del sacrificio virile. Senza nulla togliere alle formazioni partigiane, composte da uomini giovani e qualche volta giovanissimi, al loro ardore e alla loro abnegazione civile, oggi sappiamo che l’esperienza delle donne nel biennio 1943-1945 durante l’occupazione tedesca d’Italia fu un passaggio storico che merita un’analisi e un posto tutto proprio.

Le donne patirono la violenza dell’occupazione e gli stenti della guerra con il medesimo coraggio e la stessa determinata resistenza.

Uno degli aspetti, più drammatici e significativi al contempo, dell’esperienza delle donne nella Seconda Guerra mondiale è quella della deportazione. Deportare: un verbo terribile. Significa strappare a forza, sradicare. Il campo di concentramento di Ravensbrück Fürstenberg-Havel’ nella Germania orientale, appare un caso emblematico.

E’ noto che dai campi di concentramento di transito in Italia (come, per esempio, Fossoli di Carpi, vicino Modena) le persone deportate venivano convogliate in Germania. Al campo di Ravensbrück furono internate circa 45 000 donne, di cui circa 800 italiane. Era entrato in funzione nella primavera del 1939 ed era riservato alle donne, in grande maggioranza prigioniere politiche provenienti da tutti i paesi invasi e occupati dalle truppe tedesche: Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Francia oltre che Italia.

Nei campi di concentramento le donne morirono per sfinimento, fame, per paura, per malattie e persino per esperimenti medici (l’eugenetica). A Ravensbrück morirono anche di freddo, per via del clima rigido di quell’angolo d’Europa.

Le donne deportate che sopravvissero raccontarono poi la loro prigionia: storie di spossatezza, di deperimento, di esposizione ai parassiti e alle malattie. Per le più giovani, anche storie di violenza e di abuso. Il lager segna per tutte l’«esperienza del limite», giacché non esiste un ordine simbolico nel quale inserire la perdita del carattere della propria umanità, spenta e azzerata irrimediabilmente.

Chi sperimenta il lager apprende ben presto di essere vittima di una precisa e spietata logica del terrore. Il Terzo Reich eleva, tra il 1940 e il 1945, la politica del massacro contro i civili a suo credo. Una strategia che si accompagna a molte tipologie di violenza diffusa come rastrellamenti, uccisioni indiscriminate di singoli prigionieri o di partigiani, di renitenti alla leva o di disertori.

Permettetemi prima di chiudere un’amara nota personale: l’esperienza drammatica della Seconda guerra mondiale non ha impedito che simili atrocità si ripetessero. Troppo spesso siamo portati a pensare che la pace che viviamo noi in questa parte del mondo sia di tutti. E invece no. Ci sono decine di conflitti ancora in corso, e le tecniche di annientamento che vengono usate sono quelle che vennero messe a punto allora. Nella mia precedente esperienza di lavoro all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ho visto in varie parti del mondo migliaia di persone in fuga da persecuzioni, violenze e sopraffazioni. I civili utilizzati come obiettivo militare, la guerra non più tra eserciti ma contro persone inermi. Lo stupro come arma di guerra, ieri in Bosnia e oggi ancora in Congo. Sull’altra sponda dell’Adriatico, negli Anni Novanta, c’erano i campi di concentramento per le donne stuprate. Cosa si fa in questi casi? Me lo sono chiesta spesso, nella mia attività degli anni scorsi. Se la diplomazia fallisce, si deve intervenire militarmente? A volte ho pensato di sì. Ma poi ho visto che l’intervento militare non sempre è stato risolutivo e che, anzi, spesso peggiorava la situazione.

Oggi quindi è importante ricordare, ricostruire con cura, fissare nella memoria le testimonianze, riflettere. Riflettere, ragazzi. Ci sono decine di pagine facebook che inneggiano a quegli orrori. Dobbiamo riflettere, per riconoscenza a chi ha dato la vita per la nostra democrazia; per il nostro presente e come promessa per le future generazioni, affinché questa memoria sia di antidoto al ripetersi di questi e di altri orrori.
Buon lavoro e grazie.

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