ANPC Nazionale

Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

Archivi per il mese di “aprile, 2020”

Conferimento targa ad honorem a Radiomondo

“Il 25 aprile 2020, 75esimo anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, festa della Democrazia e della Libertà, l’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani conferirà la targa ad honorem a Radiomondo di Rieti.

La motivazione recita: “Per aver contribuito a diffondere nei quaranta anni di attività a servizio dell’informazione libera e democratica, i valori e i principi contenuti nella Costituzione Italiana nata dalla Resistenza e dalla Lotta di Liberazione”.

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I Partigiani cristiani, con questo atto, vogliono ringraziare i mezzi d’informazione che in tutti i momenti drammatici e in tutte le emergenze, con il loro servizio restituiscono speranza.

Conferendo questo riconoscimento da Rieti, Centro d’Italia, l’ANPC intende anche ricordare il ruolo simbolico di Radio Londra nel periodo resistenziale. Nel Nord e nel Mezzogiorno, nel Centro e nelle Isole, non vi è un centro abitato nel quale la voce di libertà di Radio Londra non sia stata ascoltata.

La Festa della Liberazione rappresenta la vittoria della ragione sulla barbarie e sulla dittatura.

Una vittoria che, in questa epoca di emergenza planetaria, deve essere rinnovata ogni giorno da tutti i mezzi d’informazione, per contribuire ad una nuova rinascita dell’Italia e dell’Europa.”

Pino Strinati – Consigliere Nazionale ANPC

(Pubblicato su: https://www.rietinvetrina.it/lassociazione-nazionale-partigiani-cristiani-conferisce-targa-ad-honorem-a-radiomondo/)

22 Aprile 1928: la nascita delle Aquile Randagie

Aquile randagieLa storia

La legge n. 5 art. 3 (9 gennaio 1927) dell’Opera Nazionale Balilla (ONB) decreta lo scioglimento dei Reparti Scout nei centri inferiori a 20.000 abitanti ed obbliga ad apporre, ai restanti, le iniziali ONB sulle proprie insegne. Il 9 aprile 1928 il Consiglio dei Ministri modifica la legge ONB che col decreto n. 696, firmato dal capo del Governo Mussolini e dal Re, dichiara soppresso lo Scoutismo. Nell’ultima udienza all’ASCI in Arcivescovado, tra le lacrime, alla presenza del Card. Tosi, sono simbolicamente deposte sull’altare e consegnate “le fiamme” dei Reparti milanesi. Ma se è soppresso lo Scoutismo, alcuni Capi sono decisi a serbare fede alla “Promessa” e alla “Legge”; Giulio Cesare Uccellini Capo del MI II, che prenderà il nome di Kelly durante la resistenza, e Andrea Ghetti Scout del MI XI, detto Baden, che definisce così la clandestinità delle Aquile Randagie. Il movimento Scoutistico clandestino nella mentalità di Kelly aveva un duplice scopo: mantenere l’idea di personalità, di libertà, di autonomia, di fraternità e preparare i quadri per il momento della ricostruzione; avere una forza propria di resistenza ideologica per impedire ai giovani di accettare una sola visuale della vita, della storia, della politica. Il valore di questo sta nel fatto che furono dei ragazzi a dire NO al fascismo, quando tutti si piegavano nonostante le denunce con interrogatori alle sedi fasciste e alla Questura, ma il nostro NO rimaneva intatto”. Ha così origine il primo gruppo cattolico antifascista. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 le Aquile Randagie, insieme ad altri, diedero vita all’OSCAR (Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati) che si impegnò in un’opera di salvataggio di perseguitati e ricercati di diversa nazione, razza, religione. Grazie al loro aiuto infatti più di 2000 persone, riusciranno a superare il confine Italiano e raggiungere la Svizzera. Alla fine della guerra, le Aquile Randagie proteggeranno tedeschi e italiani artefici di violenze, ricercati dai partigiani, chiedendo per loro una giusta pena con un giusto processo. Nel 2019 è uscito un film che ne racconta la storia, diretto da Gianni Aureli.

 

Riportiamo qui un pezzetto de “la Preghiera del Ribelle” che Don Giovanni Barbareschi, presbitero Aquila Randagia, che ha portato fino alla fine dei suoi giorni la sua testimonianza,  recitava alla fine di tantissimi suoi interventi e interviste:

“Dio che sei verità e libertà, facci
liberi e intensi: alita nel nostro proposito,
tendi la nostra volontà. Quanto più s’addensa e
incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti.
Ascolta la preghiera di noi ribelli per amore”.

25 APRILE. CHE SIA SIMBOLO DI UNITA’, ANCHE IN TEMPI DI EMERGENZA

Il 75.mo Anniversario della Liberazione, il 25 aprile 2020, verrà celebrato in una situazione – nazionale e mondiale – del tutto particolare, che potrà indurre molti a riscoprirne il senso e i significati profondi.

Non in piazza né per le strade, ma forse più uniti, nonostante la provocazione e il tentativo di mistificazione di chi vuole rompere la quarantena per contestare il significato di quella che è una Festa nazionale (istituita con una legge dello Stato nel 1949) essenzialmente dedicata all’unità.

Quest’anno verrà celebrata in casa, e le Associazioni che da sempre la promuovono e sostengono hanno proposto di esporre il tricolore alle finestre e – alle 15 del 25 aprile – di intonare tutti il canto dei Partigiani assieme all’Inno nazionale, entrambi simboli di identità nazionale e di libertà.

Chi mette in discussione o dileggia il senso di questa Festa – tra le date costitutive dell’identità e della memoria nazionali – nega la vicenda storica del nostro Paese e dell’Europa. La libertà democratica appartiene a tutti – uomini e donne – ed è stata conquistata col dono della vita anche per coloro che la negano. L’auspicio è che attraverso l’informazione e i social sempre più persone – e soprattutto i più giovani – conoscano e comprendano questa storia e quella del continente bruciato da ideologie farneticanti e tragiche.
Il pericolo maggiore è quello della superficialità e dell’oblio. Siamo chiamati a ricordare che è Festa davvero ricordare 75 anni di pace, della libertà e della dignità riconquistate dopo vent’anni di dittatura fasciata, con le leggi razziali, con la sciagura della guerra a fianco dei nazisti.

Coloro che vorrebbe sostituire la denominazione della festa intitolandola a chi ha perso la vita per il Coronavirus, dimenticano anche che molte di più sono state le vittime di una disastrosa guerra.
Riconoscere il valore del 25 Aprile come parte dell’identità storica del paese significa, proprio in queste settimane così difficili e sofferte, ricordare a tutti che – pur nelle legittime diversità di idee, sensibilità, culture – siamo e restiamo Popolo.

Il 25 aprile del 1945 è la data di nascita di una nazione che ha saputo scegliere da che parte stare, confermata quando si è presentato l’appuntamento del 18 aprile 1948 e che si è riflessa negli sforzi e nei progetti per un’Europa unita. Ha fornito la classe dirigente che ha preparato e votato la Costituzione, che all’art. 32 sancisce “la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

La protezione che gli Italiani hanno potuto avere in questa terribile contingenza deriva dal Sistema Sanitario Nazionale, che ha il fondamento nella Costituzione ed è universale, uguale, equo.

Coloro che si commuovono per il valore dei nostri professionisti sanitari e si scandalizzano per le eventuali lacunosità nei servizi non sono stati tanto attivi nel difendere il Sistema sanitario quando subiva tagli nel budget, nei servizi e nel personale, solo perché considerato costoso.

Il 25 aprile è festa anche per loro, perché 75 anni fa si è conclusa una vicenda che dalle divisioni ha voluto costruire una comunità democratica, fondata sulla libertà conquistata da pochi, ma per tutti.

Per la sera del 25 aprile l’ANPC – memore della propria identità, che portò tanti uomini e donne a partecipare alla Resistenza in nome della ispirazione cristiana – propone anche l’iniziativa “La luce della Speranza”: al calar della sera accendiamo una candela e poniamola sul davanzale della finestra per ricordare tutti coloro che sono morti per la Libertà. Sarà anche un segno di speranza nel futuro e uno stimolo per discernere e affrontare i tanti cambiamenti a cui sarà sottoposta la vita di tutti.

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Aspettando il 25 Aprile: le parole della Presidente Mariapia Garavaglia

Carissimi amici, il 25 aprile 2020 rimarrà nella nostra storia per una straordinarietà che accomuna il nostro con tutti i Paesi del mondo nell’affrontare un nemico sconosciuto, che ci ha aggrediti in maniera imprevista e impetuosa. Ricordiamo la data significativa della nostra storia democratica inserendola nella attuale esperienza di sofferenza e incertezza, che affrontiamo come popolo e come singoli. Siamo gli eredi di due generazioni che hanno affrontato e superato le difficoltà della guerra, l’austerità della ricostruzione, e anche di epidemie, fortunatamente non severe come quella causata coronavirus, Covid 19.

A noi tocca preservare le conquiste democratiche, i diritti civili e politici tra i quali la nostra Costituzione, conquistata dalla Resistenza, annovera il diritto alla tutela della salute, al rispetto della dignità di tutti, considerando il valore della vita, fondamento di ogni diritto. Per dare continuità alla storia della nostra Repubblica, a 75 anni dalla vittoria della lotta di Liberazione, dobbiamo sentirci impegnati a promuovere una grande mobilitazione di popolo per conservare la pace di cui abbiamo goduto finora. Ci attende una affascinante sfida per costruire una grande casa comune, la Federazione degli Stati Uniti d’Europa, per evitare che insorgenti nazionalismi sovranisti creino divisioni innaturali, culturalmente, e pericolosi per lo sviluppo economico, non conflittuale fra gli Stati della UE.

La recente drammatica esperienza di emergenza sanitaria ha reso evidente la interdipendenza sociale, la insuperabile connessione fra tutte le economie e i rapporti imprescindibili degli scambi commerciali.

L’isolamento di ciascuno Stato indebolisce tutti  a fronte di scambi economici e sociali, in una competizione globale, planetaria, che esige di poter contare su confronti con forze che si muovono a livello planetario. La UE ha il miglior welfare del mondo; è la  prima potenza esportatrice nel mondo; produce un Pil che è circa un quinto di quello del pianeta.

Si aggiunga la sua concezione umanistica delle relazioni interne ed internazionali per poter essere la casa comune di 450 milioni di cittadini.

Le attuali sofferenze che accomunano tutti i popoli europei rende vitale completare la marcia per realizzare una vera Unione. Il destino di ciascuno coincide con quello degli altri e il destino di ogni democrazia dipende dal comune destino delle democrazie. Sia accolto l’appello accorato del Presidente Mattarella che chiede di agire, augurando “che tutti comprendano appieno, prima che sia troppo tardi, la gravità della minaccia per l’Europa”.

I movimenti europeisti incalzino i governanti, a cominciare dai Capi di Stato dei Paesi fondatori. De Gasperi, Adenauer e Schumann “hanno sognato un sogno” che scongiurasse per sempre le guerre. Vissero divisi da frontiere che incendiarono  la guerra e vollero superarle per sempre.

La Storia possa ricordare il 25 aprile 2020 come la data del risveglio dal “sonno della ragione” per preparare “mondi nuovi”.

Mariapia Garavaglia

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Ricordo di Cesare Trebeschi e Gino Boldini

trebeschiA Brescia in questi giorni di primavera, nel giorno del Venerdì Santo è morto Cesare Trebeschi, che non potrà vedere il risveglio né della natura né degli uomini che, passati questi giorni di male diffuso, dovranno impegnarsi per riedificare questo mondo che si ispirava ad un modello disumano. Cesare Trebeschi è stato avvocato e, poi, sindaco della città che ha dedicato il impegno civile anche per far conoscere la figura e il patimento del padre Andrea, un cristiano pensante che aveva rifiutato di assoggettarsi al regime fascista il quale aveva condiviso con il nazismo una croce che non era quella del Cristo.
In uno scritto si legge: ”(…) Noi non vogliamo arrenderci alla forza, alla prepotenza, all’inganno”.
boldiniPenso sia doveroso ricordare anche una figura dolce e mite, che ha lasciato questa terra, era Gino Boldini che era entrato giovanissimo nella 24. Brigata Garibaldi in alta Val Saviore ed assistette impotente, date le soverchianti forze avversarie barbaramente armate ed assetate di odio, alla strage di civili ed al successivo incendio del paese di Cevo. (Diversi mesi fa il Presidente Mattarella a Roma l’aveva decorato con la Medaglia al Valore della Resistenza)
Gaetano Agnini
Nota: Brescia, 10 aprile 2020 –  Brescia piange Cesare Trebeschi, 94 anni, per dieci anni sindaco di Brescia, dal 1975 al 1985. Cesare Trebeschi, che era nato a Cellatica il 25 agosto del 1925, era figlio di Andrea, deportato a Dachau e Mathausen e morto in prigionia a Gusen. Ha perso la moglie Clementina Calzari e il cugino Alberto nella strage di Piazza Loggia. È stato amico personale di Papa Paolo VI. Oltre che stimato politico e intellettuale Trebeschi è stato un noto e attivo avvocato. A lui si attribuisce la prima pianificazione urbanistica della città di Brescia. È morto alla clinica San Camillo.

Addio alla Staffetta Partigiana Giuseppina Marcora

Avevamo fatto gli auguri pochi giorni fa perché aveva traguardato il secolo che aveva conosciuto bene anche nelle tragedie. Giuseppina, nome di battaglia Pinetta, ieri ci ha lasciato. Sorella di ‘Albertino’ Giovanni Marcora è stata coraggiosa, valorosa staffetta.
Se ne è andata in giorni in cui non possiamo celebrare pubblicamente la festa della nostra democrazia e a maggior ragione esprimiamo in cordoglio riconoscente perché ha partecipato attivamente a costruirla per noi.
Per le grandi azioni a cui diede il suo contributo, Giuseppina Marcora ha ricevuto molti attestati di riconoscenza: tra gli altri, il Certificato di Patriota rilasciato a nome delle Nazioni Unite dal Maresciallo Alexander, comandante delle truppe alleate di tutto il Mediterraneo; il certificato dell’OSS (Office Strategic Service) del Governo degli Stati Uniti per la collaborazione data alla vittoria alleata (riferendosi al supporto alla missione Chrysler); quello del Presidente della Repubblica per il riconoscimento della qualifica di Partigiano, come appartenente al Raggruppamento di Dio. E, infine, dall’Esercito Italiano che le ha concesso il congedo militare. Mancata a pochi giorni dalla celebrazione del 25 aprile, è stata “una cittadina che ha contribuito con il proprio coraggio, il proprio impegno, la propria vita alla costruzione della nostra Nazione libera e democratica” ha commentato il sindaco di Inveruno Sara Bettinelli.

Rimarrà per sempre un esempio per tutti noi. Ci stringiamo attorno alla famiglia esprimendo le nostre affettuose condoglianze.

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Ne parlano anche su: https://milano.repubblica.it/cronaca/2020/04/14/news/partigiana_morta_giuseppina_marcora_milano-254001304/

In ricordo di Francesco Daveri

Francesco Daveri, capo del CLN piacentino, membro di primo piano del CLNAI, morì di stenti in un sottocampo di Mauthausen nella notte tra il 12 e il 13 aprile 1945.
Mario Spezia ci ha mandato un suo ricordo, che pubblichiamo qui di seguito.

08701c296d1dff39d9d34437f1c6028cFrancesco Daveri (Nome di battaglia Emilio) nasce a Piacenza il 1° gennaio 1903. Frequenta il Seminario vescovile di Piacenza fino al ginnasio. Terminato il Liceo, entra nell’ottobre del 1919 nel Collegio Alberoni, conclusi gli studi s’iscrive alla Facoltà di giurisprudenza nell’Università di Parma, mantenendosi col proprio lavoro. Nel 1921 abbandona la carriera ecclesiastica ed entra a far parte della Gioventù cattolica e della Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI). Nell’ottobre del 1922 diventa membro del Consiglio della Federazione diocesana, di cui è nominato Segretario per la propaganda nel 1924 e Segretario per le missioni nel 1926. Laureatosi a pieni voti nel 1926, dopo un biennio di pratica legale, apre uno studio in Piacenza insieme all’Avv. Giuseppe Arata. Dal 1927 al 1929 è nel gruppo dirigente della FUCI, poi, dal 1930, la sua adesione alle federazioni e ai circoli cattolici si intiepidisce, in concomitanza con il progressivo accendersi della sua militanza antifascista. Accanto all’impegno nell’Azione Cattolica, nei primi anni 30 Daveri comincia ad allacciare rapporti e relazioni con molti antagonisti del regime. L’entrata in guerra sollecitata il costituirsi di un primo gruppo clandestino nel quale opera Daveri dal giugno 1940 in duplice forma; culturale e politica. L’incontro dei singoli esponenti avviene alla mensa del povero allestita alla domenica a Palazzo Fogliani. Sotto i piatti portati ai commensali passano le comunicazioni, le segnalazioni alle formazioni partigiane. Il sistema dura fino alla Liberazione, a pochi passi dalla Prefettura repubblichina. Nel dicembre del 1942 la sua famiglia è sfollata a Bobbio (PC), ma decide di rimanere a Piacenza: qui infatti può svolgere al meglio sia la professione di avvocato che l’attività di oppositore al fascismo. Il 26 luglio 1943 il Daveri esplode dopo essersi dovuto contenere così a lungo ed in Bettola brucia l’effige del Duce dopo di averla tolta dalla cornice e di aver ad evidente scopo di vilipendio, gettati i frammenti ancora brucianti dal balcone della pretura sotto il quale si trovavano diverse persone e assistevano giubilanti e ghignanti. Interviene presso il prefetto De Bonis per far scarcerare coloro che avevano manifestato tra le vie del capoluogo per la caduta di Mussolini. Il 1º settembre lo stesso De Bonis lo nomina Membro della Giunta provinciale amministrativa. Dopo l’8 settembre è tra i fondatori del CNL di Piacenza, che si costituisce e riunisce periodicamente nel suo studio. Attivo su diversi fronti, grazie alle sue conoscenze all’Arsenale militare ed in varie caserme piacentine gestisce ed organizza il rifornimento di armi per le prime bande partigiane dislocate in Val Nure ed in Val Trebbia. Il Commissario Prefettizio del Comune, dott. Giovanni Pistola si era proposto con energia di ristabilire l’ordine dopo il “delittuoso colpo di Stato” in quanto “il pazzesco gesto aveva sovvertito l’ordine, la disciplina, la dignità di tutti i rapporti della vita pubblica”. Ma sopratutto occorreva “la ripresa degli amichevoli rapporti con le locali Autorità Militari Germaniche, stante che, ben a ragione, il valoroso e forte popolo tedesco doveva essere considerato non come nemico, ma come amico ed alleato” . Il Ministero della Cultura Fascista pensava in seguito a deformare la coscienza pubblica con imposizioni, alla stampa cittadina. Il Daveri ora viene attentamente sorvegliato. Il Tribunale Straordinario il 30 gennaio 1944 spicca il mandato di cattura, per il fatto di Bettola. Avvisato in tempo, si nasconde in Città, assumendo completamente l’imputazione, soltanto addolorato perchè alcuni “avevano vilmente mentito per acquistarsi dei meriti presso i fascisti” e “scrisse una serie d’interessanti appunti riguardanti l’istruttoria eseguita e il processo che si doveva svolgere”. Il processo si chiude in contumacia il 4 marzo 1944 con cinque anni di reclusione insieme all’amico e compagno Raffaele Cantù. Daveri indirizza un’aspra lettera al Prefetto Fossa minacciandogli la rappresaglia delle forze partigiane, lettera diffusa in città. Per dieci giorni dal nascondiglio diffonde messaggi ed istruzioni ad amici della Resistenza. Il 15 marzo 1944 si avvia verso Milano sotto il nome di Lorenzo Bianchi, ma sui monti del comasco, diretto a Mendrisio viene catturato dalle guardie di frontiera. Lorenzo mostra al milite la fotografia dei suoi cinque bambini scongiurando d’essere liberato. Il carceriere si commuove, le stesse guardie confinarie l’aiutano nell’espatrio; Lorenzo giunge a Chiasso il 16 marzo 1944 è visitato, inoltrato a Bellinzona il 20, prendeva stanza alla Casa d’Italia in Lugano ritrovando Don Bruschi, Clerici, Malavasi, Lanfranchi. Dopo qualche giorno si trasferisce al Campo rifugiati di Balerna, ma poco dopo ritorna a Lugano. Richiama da Piacenza la sua collaboratrice fidata Bruna Tizzoni e a Mendrisio, accordandosi col vice Console inglese Cirillo De Garston, agente dell’Intelligence Service, organizza un servizio informativo per il piacentino e il nord-Emilia. Dapprima la Tizzoni porta le informazioni da Piacenza con undici espatrii e rientri clandestini. Ma sorvegliata si stabilisce a Milano aiutata dal maggiore Adolfo Longo, uno dei sette che costituiscono il Servizio Informazioni Militare in Piacenza; l’otto settembre 1943, riceve i dati dal piacentino, compila i rapporti consegnati al Daveri in Svizzera.Nello stesso mese Ferruccio Parri in persona gli affida l’incarico di gestire gli scambi di denaro, armi e approvvigionamenti tra Emilia-Romagna, Piemonte e Lombardia. Il 4 agosto è nominato anche Ispettore militare per il Nord Emilia. Emilio è ricercato ovunque nonostante la sua intraprendente abilità. Il 18 novembre veniva catturato e tradotto nel carcere di S. Vittore. Per un principio di congelamento al piede viene ricoverato in infermeria insieme al professor Brambilla del Comitato Militare Lombardo del C.L.N. che lo descrive “come uomo di virtù superiori, morali e intellettuali. Di squisita sensibilità e di bontà angelica che aveva chiaro anche il senso politico”. A nulla servono i tentativi ripetuti, disperati, per liberarlo interessando anche il Consolato inglese da Lugano. Il 17 gennaio 1945 Daveri viene deportato a Bolzano. Il 4 febbraio 1945, è incluso nell’ultimo convoglio di deportati italiani nei campi nazisti. Dopo un viaggio orrendo, stipati in cento per ogni vagone piombato, il convoglio giunge a Mauthausen il 7 febbraio in un rigidissimo clima. Incominciano le spogliazioni, le sevizie sino all’applicazione della piastrina n. 126.054 sigillata al polso sinistro.Verso il 13-14 febbraio viene assegnato al campo Gusen II distante circa 4 km. da Mauthausen, destinato ai nuovi venuti in luride baracche segnate dal n. 21 al 24. Nel Gusen I, II, e III, circa 10.000-20.000 detenuti, sono sacrificati in cave di pietra ed imprese facenti parte dell’industria bellica. “La sveglia avveniva alle ore 5,15, l’inizio e la fine del lavoro dipendevano dalla lunghezza delle giornate, dallo spuntare del giorno fino al calar della notte. I detenuti venivano noleggiati dalle imprese belliche con una durata media di nove mesi di vita per i più robusti”. L’ufficio centrale di amministrazione economica registrava diligentemente anche “Ricavi dall’utilizzo razionale dei cadaveri: oro ricavato dai denti, vestiario, oggetti di valore, danaro”. Tra le spese pone i costi di cremazione dei cadaveri ed eventuali utilizzi ricavati dall’utilizzo delle ossa e delle ceneri. Daveri lavora nella cava di S. Giorgio, denutrito, estenuato dalla fatica, percosso, resistendo così per due mesi di martirio. Sfinito viene ricoverato all’infermeria dalla quale ne usciva il 30 marzo febbricitante. Lo prende una disperata volontà di vivere almeno sino alla liberazione che sente assai vicina, vuole almeno vedere una sola volta i suoi figli, e si sforza di riprendere il duro lavoro, non resiste e viene bastonato. “Non vede quasi più: riconosce i compagni dalle voci. Il mattino dopo, il mattino dell’11 aprile 1945 o forse del 12 (comunque fra il 10 e il 12) il suo compagno di baracca, Franzoni, verso le 7, sa dal meridionale Bonucci che Lorenzo Bianchi è morto durante la notte e il suo corpo si trova nel mucchio dei cadaveri che, gettati dalle finestre, sono a fianco della baracca dell’infermeria. Franzoni si avvicina furtivamente e vede che in terra, vicino ad altri morti, c’è un povero corpo ignudo, scheletrito, la bocca aperta, l’occhio sinistro sbarrato e l’occhio destro come tumefatto da un’ultima percossa. Ha segnato sul petto a matita copiativa, il n. 126.269 la matrìcola di Lorenzo Bianchi”.

L’atto di decesso porta la data del 13 aprile 1945 alle ore 6,50 e il numero di matricola 126.054. Dopo la liberazione gli è stata conferita la Medaglia d’argento al valor militare alla memoria, laMedaglia d’oro al valor e l’Attestato di benemerenza da parte del Comando Alleato.

Auguri Pasqua 2020

La Presidente Nazionale e il Direttivo Anpc porgono a tutti i migliori auguri di Pasqua con questa piccola preghiera: “Signore Iddio, fa che finiscano presto le sofferenze umane che tutto il mondo sta attraversando. Fa che tutti tornino alle loro case e così torni la pace in ogni famiglia e tutto torni allo stato normale”. Potrebbe sembrare una invocazione per l’oggi, invece è il testo trovato nelle tasche di Orlando Orlandi Posto che, a diciott’anni, venne ucciso alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Una preghiera semplice che ci può essere “utile” anche oggi. Buona Pasqua a tutti, con tanta fiducia per il futuro.

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Somma piange Guglielmo Giusti: ultimo partigiano della città

“È morto, nella sua casa a Somma Lombardo, Guglielmo Giusti, 95 anni. Era l’ultimo partigiano della città. Era nato nel 1924 e, come tutti, era cresciuto sotto il regime. «Di quel periodo ricordo però con fastidio il conformismo, il consenso carpito con la forza». Così inizia il suo memoriale, scritto a metà anni Settanta: ricordava la sua scelta, una tra le tante. Andò a combattere – come molti sommesi – nelle fila della Divisione Valtoce, d’impronta militare e moderata, comandata dall’ufficiale Alfredo Di Dio e legata a doppio filo (per gli arruolamenti e i rifornimenti) al gruppo cattolico-democratico di Busto Arsizio. Arrivato alla formazione il 26 giugno 1944 (insieme ai concittadini Angelo Elleno, Bruno Mattaini e Sereno Argenton, anche se non si conoscevano), visse la guerra partigiana estiva nella valle del Toce, lo scontro di Piedimulera in cui morì l’amico sommese Ugo Maspero, i “quaranta giorni di libertà” della Repubblica dell’Ossola, la drammatica ritirata in Svizzera. Internato in un campo elvetico, tentò la fuga, fu ripreso e poté tornare in Italia solo dopo la Liberazione.Nel dopoguerra era rimasto attivo nelle file dell’associazione Raggruppamento Divisioni Alfredo Di Dio, che fa parte della FIVL. «Ha contribuito anche a trasmettere la memoria degli altri partigiani sommesi, tra cui Ugo Maspero» dice Ermanno Bresciani, che aveva a sua volta raccolto le testimonianze di Giusti negli ultimi anni”.

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Grazie al partigiano Guglielmo Giusti, gli rendiamo omaggio con stima e riconoscenza.

Il suo memoriale si può leggere cliccando su questo link: http://www.museopartigiano.it/museo/sezione:documenti/cerca:/idmuseo:2006/

 

(Fonte: https://www.varesenews.it/2020/04/morto-guglielmo-giusti-ultimo-partigiano-somma/918249/)

 

L’ANPC ricorda le vittime dell’Eccidio delle Fosse Reatine avvenuto il 9 aprile 1944

L’ANPC ricorda la Pasqua di sangue avvenuta a Rieti, quartiere Quattro Strade, il 9 aprile 1944, dove furono massacrati dalle truppe tedesche 15 partigiani italiani.

Il ricordo di questi martiri è sempre vivo, poiché sono sempre vivi i principi di libertà e democrazia che furono alla base della lotta di liberazione e della nascita della costituzione italiana. Ricordiamoli nella preghiera, in questo periodo di emergenza da Coronavirus.

Pino Strinati – Presidente ANPC Rieti

(pubblicato su: https://www.rietinvetrina.it/lanpc-ricorda-le-vittime-delleccidio-delle-fosse-reatine-avvenuto-il-9-aprile-1944/).

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