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Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

Donne e bambini ucraini ospiti in Casa della carità

Intervista a Don Virginio Colmegna di Silvio Mengotto pubblicata su: https://azionecattolicamilano.it/donne-e-bambini-ucraini-ospiti-in-casa-della-carita-intervista-a-don-virginio-colmegna/

Il numero stimato dei profughi in fuga accolti nei paesi dell’Europa sfiora i quattro milioni, altri due milioni sono calcolati tra gli sfollati interni. In queste cifre mastodontiche, mai sperimentate dall’ultimo dopo guerra, la presenza dei bambini con le loro mamme è altissima. I bambini ucraini presenti nel nostro Paese hanno trovato maestre e compagni pronti ad accoglierli nelle classi tra i loro banchi. Le stime del Viminale dicono che sono 55.000 le persone ucraine giunte nel nostro Paese. Di questi, 28.500 sono donne, 4700 uomini e 23.000 i minori di cui 400 non accompagnati. In questo gigantesco esodo le donne e i bambini devono essere protetti anche dai trafficanti di persone.

Sono 40 i profughi ucraini ospitati dal progetto di accoglienza realizzato dalla Casa della carità con CeAS – Centro Ambrosiano di Solidarietà, in accordo con la Prefettura di Milano. Diciotto donne, un uomo e ventuno i minori accolti in uno spazio messo a disposizione dal Consorzio Molino San Gregorio. Provengono da diverse città dell’Ucraina: Kiev, Kharkov e Ivano-Frankivs’k. Sono tutte donne sole con i loro figli, in un paio di casi c’è la nonna con un nipote.

Questa ospitalità “rientra nella normalità – dice don Virginio Colmegna – dell’accoglienza che per noi è un dato costitutivo dell’associazione e della realtà della Casa della carità. In questo momento l’accoglienza non è semplicemente solo un atto assistenziale, ma un’operazione spirituale, culturale. Se vuole con una grossa rilevanza anche politica, come sempre diciamo. In questa accoglienza non c’è stato neanche bisogno di ragionare. Con tutta evidenza è una priorità che innesca una generosità, uno sguardo di dramma come quello che stiamo vivendo, un modo di lasciarci interrogare profondamente da questa assurdità e follia, per usare le parole di papa Francesco. Quindi l’accoglienza appartiene a questo cammino. E’ una ospitalità che deve generare pace”.

Chi avete ospitato? 

“Sono arrivate donne con bambini, domani ne arriveranno ancora altri. La disponibilità è quella di interrogarci, come abbiamo fatto con gli afghani, con tutti, ma soprattutto in questo evento che ci interroga profondamente. Ci stiamo interrogando molto sul significato della pace, sulla concretezza dei volti, degli aiuti da dare come ci richiama papa Francesco e la coscienza. C’è una crisi di civiltà drammatica. Rispondere con generosità significa anche rifiutare la violenza. Stiamo ripensando fortemente cosa significa essere non violenti e un Vangelo di pace in questo contesto. Abbiamo vissuto un cammino nel quartiere con la veglia di preghiera su indicazione di papa Francesco, ma non sono soltanto parole e affermazioni. Nonostante siano emerse tutte le difficoltà è stato bello vedere alcuni interpreti linguistici, nostri ospiti, immersi in una circolarità importante e significativa”.

Tra i profughi, compresi gli ospiti di Casa della carità, la metà sono bambini con forti traumi. Non crede sia necessario organizzare uno stile di accoglienza che sappia essere all’altezza di questa sfida mai conosciuta in Europa? 

“Certamente è una accoglienza che va fatta con competenza. Non basta la buona azione. C’è una scelta importante da farsi interrogandoci su questo. C’è un lungo lavoro di accoglienza da sviluppare nella consapevolezza che questi bambini portano i loro traumi. Del resto il nostro cammino di accoglienza ha sempre ospitato persone con i loro traumi. Oggi siamo di fronte ad un’esperienza eccezionale! Siamo traumatizzati noi quando guardiamo la violenza dei bombardamenti. C’è uno sciupio di civiltà, una crisi di civiltà drammatica. Credo che vedere soprattutto i bimbi con le loro mamme, con un linguaggio di difesa, sia una realtà che ci interroghi molto. Non possiamo solo accoglierli facendo solo una doverosa buona azione di accoglienza. Penso che i minori, spesso soli, che hanno visto e vissuto traumi dovrebbero tornare in termini di pace. Ci sono bimbi che vivono di paura, di orrore. Occorre ricostruire un tessuto di serenità. C’è un lungo lavoro che non può essere improvvisato. E’ una scelta di condivisione e di pace”.

La nostra Costituzione, unica al mondo, “ripudia” la guerra. Non crede che l’articolo 11 sia da approfondire e proporre a livello internazionale? 

“Da proporre assolutamente! Non si fa la pace con la guerra. La guerra non produce pace. Ci rendiamo conto delle difficoltà di un aggredito, una vittima certamente, di fronte all’aggressore, ma non dobbiamo favorire linguaggi di guerra o di una sua legittimazione. Anche gli armamenti vanno richiamati fortemente con un rifiuto profondo. Non dobbiamo mai perdere di vista questo orizzonte. La Costituzione italiana è stato un prodotto straordinario di verità dove la guerra viene ripudiata. Non è un moralismo da mettere da parte o una frase scontata. Ci interroga anche in questo periodo così difficile. Viviamo un momento preoccupante, accanto alle macerie che vediamo, la distruzione e altro, ci sono macerie culturali e cuori sanguinanti. Dobbiamo recuperare il bisogno di pace”.

In che modo?  

“Oltre a partecipare alla Carovana della pace, stiamo organizzando una serie di incontri, di riflessioni, anche su posizioni e reazioni diverse che vengono confrontate su questa radicalità che noi abbiamo. La pace non è un bene che si può contrattare, è una formazione di sentimenti profondi. Siamo molto preoccupati che l’uso delle armi possa essere l’unica strada proponibile in contrapposizione alla diplomazia di pace. Guerra e armamenti esprimono un linguaggio di inimicizia. Abbiamo bisogno di purificare il linguaggio. Certo il momento è difficile. Soprattutto dobbiamo, l’indicazione di papa Francesco è molto forte, renderci conto che da questo dramma si esce abolendo culturalmente, come linguaggio e stile, la legittimità della guerra”.

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