Commemorazione annuale del martire della Resistenza, don Giuseppe Borea
L’ Associazione Nazionale Partigiani Cristiani di Piacenza, insieme all’Anpi, ha ricordato, come da tradizione, la memoria di don Giuseppe Borea, in due distinti momenti. Oltre alla chiesa di Obolo di Gropparello, don Borea è stato ricordato nel cimitero di Piacenza. È stato il consigliere comunale Salvatore Scafuto (iscritto ANPC) in rappresentanza del Comune di Piacenza, a tracciare un ritratto della figura di don Borea, durante la commemorazione nel capoluogo.
Era il 9 febbraio 1945 quando, un giovane sacerdote, venne prelevato e condotto nel recinto del cimitero urbano. Il plotone di esecuzione della Repubblica sociale puntò il mitra contro di lui. Il sacerdote strinse al petto il crocifisso e divenne martire, benedicendo i suoi carnefici. Era il parroco di Obolo, frazione di Gropparello, e da oltre un anno anche cappellano della Divisione partigiana Valdarda.
«Oggi – ha preso la parola Scafuto – rendiamo omaggio alla memoria di don Giuseppe Borea, testimone di fede e carità cristiana sino agli ultimi istanti della sua vita, venne ordinato sacerdote nel 1936 e l’anno seguente, a soli 27 anni, il vescovo Menzani gli affidò la parrocchia di Obolo, frazione di Gropparello, dove si sarebbe speso con entusiasmo e dedizione non solo per portare conforto e porsi come guida spirituale per gli abitanti, ma anche per migliorarne la qualità di vita. La costanza e la determinazione con cui cercò sempre la via del dialogo – senza arretrare di fronte alle minacce di ritorsione delle gerarchie fasciste, che mal tolleravano il suo impegno sociale – gli permisero di portare avanti progetti di fondamentale importanza per la sua gente: dall’attivazione della linea elettrica al percorso educativo in oratorio per i più giovani, cui trasmise i valori e gli insegnamenti dell’Azione Cattolica. Questo giovane sacerdote di montagna, così presente e attento ai bisogni della sua comunità, di cui condivise anche le difficoltà e gli stenti, ebbe sempre a cuore gli ultimi e i sofferenti. Fu con questa attitudine, che già nell’ottobre del 1942 aveva chiesto di essere arruolato al fronte come cappellano militare, nell’intento di essere vicino ai soldati nelle trincee e sui campi di battaglia, ovunque vi fosse l’urgenza di assistere e ridare speranza a chi andava incontro alla morte. Il permesso, dalla Diocesi, non sarebbe mai arrivato, ma quando – dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43 – la guerra giunse in modo drammatico e devastante anche tra le nostre colline, don Giuseppe non esitò: sorretto dal suo coraggio e dalla sua forza gentile, nel giugno del 1944 diventò cappellano della 38° Brigata della Divisione Val d’Arda, comandata da Giuseppe Prati. In quei lunghi, durissimi mesi, don Borea continuò ad essere – ancor più di prima – un punto di riferimento non solo per i suoi parrocchiani, ma per tutti coloro che avrebbero incrociato il suo cammino, bussando alla porta, sempre aperta, della sua canonica. Egli fu al fianco di partigiani, militari, prigionieri, condannati all’esecuzione, senza mai fare distinzioni di parte: ciò che contava era l’umanità delle persone che avevano bisogno di aiuto, di sostegno o, semplicemente, di una parola di fede, di un gesto d’amore, di quella pietà che nel conflitto era venuta a mancare. Furono le sue mani a chiudere gli occhi alle vittime dell’eccidio del Passo dei Guselli, le sue mani strette in quelle dei genitori, figli e fratelli cui doveva portare la tragica notizia di una morte, le sue mani a ricomporre e restituire dignità ai poveri resti di tanti partigiani uccisi, celebrandone le esequie. Come Nuccia Casula, giovane studentessa originaria di Varese, uccisa sul nostro territorio durante un rastrellamento, di cui don Giuseppe raccolse la salma rimasta per qualche giorno sotto una fitta coltre di neve, per darle sepoltura nel piccolo cimitero di Obolo. Ma quella figura esile e altruista, capace di non tirarsi mai indietro laddove poteva farsi strumento di pace, faceva paura più delle armi. Quando lo arrestarono, nel gennaio del 1945, dovette subire accuse infamanti e ingiuste, fu sottoposto a un processo iniquo in cui non vennero ammessi testimoni in sua difesa, nonostante fossero numerose le persone che avrebbero voluto spendersi per proclamarne l’innocenza. Solo dopo la Liberazione, i responsabili di quelle calunnie e della sua uccisione sarebbero stati condannati, la validità del processo inficiata, le gravissime falsità nei suoi confronti smentite completamente. Il suo sacrificio si iscrive nel solco del contributo determinante che il mondo cattolico diede alla Resistenza, annoverando oltre 2000 Caduti – di cui ben 1177 iscritti all’Azione Cattolica e alla Gioventù italiana del Movimento – e più di 2500 feriti gravi. Furono 730 i sacerdoti imprigionati o vittima di torture per non aver accettato la connivenza con ideologie violente e di sopraffazione, di cui 315 assassinati o mai più tornati dai campi di concentramento in cui vennero deportati. La fede e una solidarietà senza confini restarono sempre la loro bussola, ad ogni passo. Così fu per don Giuseppe, quando il 9 febbraio del 1945, di fronte al muro del cimitero urbano, ebbe davanti a sé il plotone d’esecuzione. Rifiutò la sedia, non volle essere bendato. “Muoio innocente – disse – perdono di cuore coloro che mi hanno fatto del male e anche voi che state per sparare”. La sua coerenza, la limpidezza d’animo, il suo straordinario esempio restano ancora oggi un faro luminoso di altissima levatura morale e civile. Commemorando oggi, alla presenza delle autorità politiche, civili, militari e religiose, nonché del nipote Giuseppe – che desidero ringraziare per la sua costante e infaticabile opera di tutela della memoria – l’Amministrazione comunale rende il tributo commosso e partecipe di Piacenza a uno dei suoi tanti figli caduti per la libertà, martire nel nome della pace, dell’amore e della carità cristiana. Ci uniamo Perché questa commemorazione il ricordo di questo grande uomo sia un’ulteriore tappa di consapevolezza e gratitudine nel ripercorrere il cammino della nostra storia».
“Piacenza non può dimenticare don Giuseppe Borea”. Così don Bruno Crotti, ex cappellano militare, ricorda il sacerdote di Obolo impegnato nella Resistenza fucilato al muro del cimitero cittadino dai nazifascisti il 9 febbraio 1945. Proprio nella chiesa del cimitero si è celebrata la messa in memoria di don Borea: a presiederla don Crotti, che ha benedetto poi la corona depositata davanti alla tomba del sacerdote, ucciso a neppure 35 anni.
“Il grado di una civiltà si misura anche da come sa conservare il ricordo dei suoi cittadini migliori – spiega don Crotti – Piacenza non può dimenticare don Giuseppe Borea”.
La cerimonia, fortemente voluta e organizzata, oltre che dalle associazioni partigiane, dal comitato presieduto dal nipote del sacerdote Giuseppe Borea, ha visto partecipare anche la presidente del consiglio comunale Paola Gazzolo, i consiglieri comunali di Piacenza, Salvatore Scafuto e Andrea Fossati, il presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani di Piacenza, Mario Spezia, Andrea Losi, presidente del Museo della Resistenza di Sperongia, Stefano Pronti in rappresentanza dell’ANPI provinciale di Piacenza.
Il giorno seguente nella frazione di Obolo in Comune di Gropparello (Pc), nella chiesa di cui fu parroco don Giuseppe Borea, si è tenuta una messa a suffragio, presieduta da mons. Gianni Ambrosio, Vescovo emerito di Piacenza-Bobbio assieme al parroco don Giovanni Rocca.
Alla celebrazione erano presenti i rappresentanti di ANPC e ANPI, i consiglieri comunali di Piacenza, Salvatore Scafuto e di Gropparello, Gloria Sartori, e Andrea Losi, presidente del Museo della Resistenza di Sperongia.
Mario Spezia
presidente provinciale



