23-24 Marzo 1944 – La battaglia di Chigiano e la fucilazione di Don Enrico Pocognoni
23-24 Marzo 1944 – La battaglia di Chigiano e la fucilazione di Don Enrico Pocognoni

Nella fotografia è rappresentato Don Enrico Pogognoni. I personaggi alla sua destra (a sinistra di chi guarda la fotografia) sono i capi della Resistenza di Matelica. Il terzo personaggio alla sinistra di Don Enrico è Tommaso Mari, uno dei capi della Resistenza di Cerreto d’Esi, che aveva contatti con Don Enrico, che viene nominato come l’italo-americano. Effettivamente essendo stato in America conosceva l’inglese e teneva i contatti attraverso la radio di Baldelli con il comando alleato. Il quarto personaggio è Dalmato Seneghini, uno dei capi della Resistenza militare del San Vicino, segretario del Comitato di Liberazione Nazionale di Cerreto d’Esi, in contatto con il Comandante Agostino della Sezione Porcarella della Brigata Garibaldi.
Max Salvadori (La Resistenza nell’Anconetano e nel Piceno, Roma, Opere Nuove, 1962.) ci dà un quadro della geografia politica del San Vicino.
“In questo territorio le formazioni Partigiane si erano polarizzate a nord intorno alla banda creata originariamente da Batà, a sud intorno a quella organizzata da Depangher. La località più importante era la Porcarella, presidiata da Pirotti (comandante Agostino n.d.r.)….dove era stato preparato un campo per ricevere i lanci Alleati.
Pirotti e Depanger erano in febbraio i comandanti dei due gruppi, che costituiranno la seconda delle due zone in cui sarà articolata la 5° brigata Garibaldi.
Verso Pirotti gravitavano in generale Partigiani cosi detti apolitici (ricordiamo che apoliticità significava assenza di faziosità, non significava indifferenza e neutralismo verso questioni politiche dato che per essere Partigiano occorreva essere antifascista) ; ad est del San Vicino Pirotti era collegato con bande del cingolano. Verso Depangher gravitavano Partigiani comunisti o filo comunisti; ad ovest del San Vicino era collegato con bande nei comuni di Matelica ed Esanatoglia in cui si trovavano parecchi Jugoslavi.”
Il monte San Vicino è ripido ad est ed a nord, dove nello spazio di quattro o cinque chilometri precipita ripidamente nella Gola della Rossa, ad Albacina ed a Cerreto. Invece degrada in uno spazio molto più ampio, a Sud verso Matelica e san Severino, ad est verso Cingoli e Treia. La cinta più alta di località è composta da Frontale (ad est verso Apiro), Elcito a sud-est verso Chigiano e Sanseverino, Canfaito a sud verso Valdiola, Braccano e poi Matelica. In queste direzioni si apre una vasto spazio collinare, ricco e, a quei tempi, molto popolato. In questa zona avevano trovato rifugio gruppi di prigionieri
stranieri fuggiti dai campi di concentramento e poi formazioni partigiane agguerrite e valorose.
Era la zona di “Mario”, nome del gruppo comandato da Mario Depangher, già prigioniero jugoslavo. Così mi ha parlato di lui il comandante Agostino:
“Depangher era un bravo e forte combattente. Nella sua azione di lotta, ha privilegiato le azioni di disturbo contro i fascisti di Matelica e di San Severino, non considerando le azioni di sabotaggio sufficientemente eclatanti . ”
“Questo atteggiamento era completamente diverso da quello da me seguito dopo l’incontro con i maggiorenti di Cerreto d’Esi….nel quale stabilimmo di evitare, per quanto possibile rappresaglie e di dare maggior peso agli atti di sabotaggio lontani dal paese.”
“Lo stillicidio di azioni del “Mario”, in aggiunta al sabotaggio da me effettuato al ponte di Chigiano sul Musone (torrente di quella località ndr) per proteggere l’area Elcito, San Pietro, Frontale da una eventuale sorpresa nemica con mezzi pesanti provenienti da Macerata, indussero probabilmente il comando nazifascista di Macerata ad intervenire con un rastrellamento pesante per eliminare i partigiani dall’area Valdiola, Braccano, Monte Canfaito, Chigiano.”.
L’uccisione di Don Enrico Pocognoni e la strage di Braccano
Abbiamo una ricostruzione di Paolo Simonetti ( La Resistenza a Matelica. Ed.Geronimo). Secondo questa ricostruzione tedeschi e fascisti in forze sono già a Matelica il giorno 17 Marzo, avendo come primo obbiettivo la “liquidazione del resto della banda dell’Eremita” che era posizionata verso Esanatoglia. Ma la banda si è spostata verso il San Vicino. Viene sorpreso soltanto il Commissario Politico Rastelli, che sfugge alla cattura. Muore combattendo il partigiano russo Wassili Niestrarol e dopo la cattura viene ucciso il partigiano ferito Terenzio Terenzi.
Il 23 ha inizio l’azione che ha come obbiettivo la distruzione delle bande del San Vicino.”Una colonna marciò direttamente su Braccano, una seconda attraverso Campamante….,una terza scese da Vinano…, una quarta si diresse su Roti per l’Acqua dell’Olmo, ed una quinta proveniente da Gagliole”. Braccano, ritenuto un caposaldo viene investito da tutte le direzioni, con una manovra di ampio respiro, con truppe autotrasportate scortate da blindati. Ma i partigiani sono più in alto e la furia degli assalitori si indirizza su vittime civili..
Furono colti di sorpresa ed uccisi due partigiani e colti di sorpresa e catturati altri cinque.
Don Enrico Pocognoni con altri giovani, al rumore degli spari lascia Braccano per riparare a nord verso Vinano. Si imbatte nella terza colonna che scendeva da Vinano
“Fu fatto tornare indietro, percosso con i mitra e condotto alla fontana dove erano gli altri prigionieri. Qui gli tolsero le scarpe e, a piedi nudi, costretto a restar fermo sopra il rigagnolo……A Braccano si cercava soprattutto una persona: il parroco. Il sacerdote si raccolse in preghiera…(gli fu strappata la corona del rosario) fra lo scherno, gli sputi, gli schiaffi e le percosse….Costretto a correre per un campo, fu raggiunto da una raffica di mitra che lo abbatté al suolo. Aveva 32 anni. Il Comando Tedesco proibì i funerali. La salma per ben due giorni rimase abbandonata nel campo.(P. Simonetti op.cit.).
Furono fucilati anche quattro componenti della pattuglia sorpresa e catturata: Temistocle Sabbatini, Ivano Marinucci, il somalo Thur Nur e Demade Lucernoni. Francesco Porcarelli si salvò.
Compiuta la spedizione punitiva su Braccano, le forze nemiche si dirigono su Roti dove i partigiani si disimpegnano ritirandosi su Monte Canfaito, inaccessibile agli automezzi. Nello scontro viene ucciso Raghè Mohamed, un altro partigiano somalo. La colonna investe Valdiola sulla strada che conduce, attraverso Castel San Pietro a Frontale e a Poggio San Vicino nel cuore della ridotta partigiana.
Il comandante Mario, scoperto ormai sul lato di Roti, si rifugia sul retrostante Monte Canfaito, un contrafforte del San Vicino.La colonna Tedesca ricongiunta alle forze provenienti da San Severino investe Chigiano che avrebbe dovuto essere indifesa e qui trova una sorpresa. Riprendiamo la testimonianza del comandante Agostino:
“Dal loro comportamentone scaturisce che non conoscevano nel dettaglio la reale consistenza …del gruppo detto”Porcarella” (248 uomini).”
Per una fortunata combinazione il gruppo che normalmente, per ragioni logistiche era acquartierato in distaccamenti presso diverse località si sta riunendo a Frontale, dove si è trasferito anche il Comando per preparare una spedizione contro Serra San Quirico (verso nord) “dove i fascisti avevano compiuto una azione di disturbo”
“All’arrivo della notizia (per mezzo di staffetta) l’azione su Serra S.Quirico fu sospesa e viene deciso di rinviare rinforzi al gruppo “Mario”. Inviai subito, con autocarro”Lancia Ro”, che poteva trasportare 25 uomini, un primo contingente, riservandomi di inviarne altri non appena il camion fosse tornato con informazioni più precise sulla situazione sul terreno.
Condotto il mio distaccamento sulla collina di Castellano potei avere una visione più chiara della situazione ed informai il Comando a Frontale che il “ Mario” era sulla montagna di Colfaito, i nazisti a Valdiola e.. ( la loro colonna motorizzata) bloccata sul ponte (di Chigiano ) fatto da me saltare nei giorno precedenti. Il comando fece scendere da Poggio San Romualdo e da Elcito altri due miei distaccamenti (Danilo) che attaccarono e con altri distaccamenti di Cingoli ( venuti dalla strada ad est che minacciava alla spalle il ponte) portatisi al di là del Musone attaccammo alle spalle i nazifascisti con la mitragliatrice.”
(La mitragliatrice Breda è proprio quella recuperata nell’azione militare di Albacina.)
Anche questa testimonianza è molto scarna ed il comandante, in puro stile militare non ama soffermarsi sui particolari. Ma io penso di dover dire che i tedeschi (ed i fascisti che li accompagnavano) si trovarono in una brutta trappola. I loro automezzi, di cui alcuni blindati, erano bloccati al ponte. Alcuni reparti appiedati passarono il Musone sotto il ponte. Di fronte avevano delle formazioni appostate e forti e non piccole pattuglie disperse Alle spalle altre formazioni, arrivate da una strada laterale. minacciavano l’accerchiamento ed una mitragliatrice pesante batteva la strada senza ripari. I tedeschi tenevano saldamente in mano Valdiola e si erano portati anche dentro Chigiano, ma su di loro incombevano i gruppi che si erano sganciati e si erano asserragliati sul Monte Colfaito sovrastante.. Non restò loro che ritirarsi dopo aver subito forti perdite.
Non siamo in grado di quantificare le perdite del nemico, perché nella ritirata si portarono via feriti e caduti. Nello scontro caddero prigionieri cinque uomini della formazione Porcarella. Furono seviziati, uccisi e buttati giù dal ponte…
(Quando chiesi di loro al Comandante Agostino, egli si alzò e si allontanò. Il vecchio soldato, dopo 60 anni, si commuoveva ancora per i suoi ragazzi e non voleva che io lo vedessi piangere).
I tedeschi ebbero l’impressione che il San Vicino fosse inviolabile e da questo momento, forse sopravvalutarono le formazioni che lo difendevano. Nella storia è giustamente ricordato l’eccidio di Braccano ma forse è stata trascurata l’importanza della vittoria di Chigiano. (Ancora questo anno 2004 nella celebrazione fatta del terribile episodio a cura dell’ANPI e pubblicata da L’Azione si afferma: “.. i luoghi di montagna che stati teatro degli aspri combattimenti tra i partigiani dei gruppi “Roti” e “Mario” e le truppe nazifasciste”. Enon viene neppure nominato il decisivo intervento del gruppo ”Porcarella”.)
Pasqualino Marinelli con mitraglia contro mille
La battaglia di Chigiano è entrata nella tradizione popolare.
Silvano Poeta, nato il 6 Aprile 1945, quando tutte queste cose erano già avvenute, a Poggio San Romualdo (il nome più usato oggi che tenta di sostituire il vecchio “La Porcarella”) nel cuore profondo del San Vicino, raccoglie con straordinaria poesia le opere ed i giorni della tradizione popolare della sua montagna facendo rivivere un dialetto meticcio che ha alcune dolcezze fabrianesi, molte concessioni al volgare delle valli maceratesi, che sanno già di profumi abruzzesi ed alcune durezze “umru” del tardolatino cerretese. Il dialetto stesso è una reliquia di quando la montagna era un rifugio ed un punto di incontro.
Le piccole grandi storie della nostra piccola svizzera casalinga sono raccolte in tre piccoli volumi (“Cuntienti quando s’era ..poeracci” del 1989, “E’ arriati i Porcarielli sotto ‘e scarpe porta i fierri” del 1990 e “Marinè, tiri tu o tiro io!?”del 1993).
E’ molto interessante scoprire come il ricordo di questi avvenimenti è stato tramandato nella tradizione popolare, con grande pietà, severa indipendenza e talvolta con ingenuo e cinico realismo.
Nel secondo volumetto è riportata, in dialetto, la testimonianza di Pasquale Marinelli, il soldato mitragliere che con la sua Breda prese alle spalle la colonna nazi-fascista.(pg71, Pasqualino Marinelli, coa mitraglia contro mille). Ne riporto alcuni brani, tradotti in italiano.
“ I tedeschi facevano un rastrellamento….Però arrivati sul ponte si dovettero fermare (avevano pure le autoblinde) perché io e altri di Agostino l’avevamo minato e fatto saltare alcuni giorni prima. Lasciarono i camion lì, ma passavano sotto il ponte ed attraversavano.. Io quella mattina del 24 stavo a San Domenico quando arrivò l’ordine di partire tutti per Serra, dove si stavano radunando le Camicie Nere di Jesi.. A Frontale però ci dissero di tornare perché la mitragliatrice serviva in altri posti.. Ma ecco una voce ci chiama :”Corrate, corrate,, sta pe ammmazzà tutti a Chigià; a Agostino e ai sua, l’ha accerchiati.” Allora di corsa a Frontale. C’è un camion montiamo su e via. Caliamo ad Isola prima di vedere il nemico.
Ripariamo dietro la collina verso Cingoli e ci attacchiamo coi tedeschi–fascisti. (Ci attacchemo , in dialetto attaccarsi sta per accapigliarsi. ndr). Prima si erano attaccati quelli al comando di Agostino e ne erano morti 5. Dopo di noi altri quattro distaccamenti attaccarono in una altra parte, ma noi lo sapemmo giorni dopo. Se vulia fa sparti e luscì fu: se spartìi.”
“Eravamo una sessantina, i tedeschi ed i fascisti erano due battaglioni:. Eravamo distanti
3-400 metri dal ponte di Chigiano e lì c’erano i nemici. Avevo una mitragliatrice e sparavo solo io, per gli altri sarebbe stato inutile, i mitra non ci arrivavano.
Stavamo riparati nei colli che stanno verso Cingoli: di fronte a noi, al di la del ponte verso Vadiola, c’era un altro gruppo dei nostri.. (Qui la testimonianza è esatta dal punto di vista visivo, ma non dal punto di vista topografico. Il Marinelli vedeva il ponte di fronte, aveva traversato il Musone e lo colpiva stando appoggiato verso Cingoli. Aveva di fronte, al di là del ponte gli altri uomini di Agostino che attaccavano dalla strada che scendeva da Frontale. Aveva di fronte, ma al di qua del ponte, Valdiola che era saldamente in mano ai nazifascismi e più in alto, ma al di quà del ponte Chigiano contesa fra fascisti e partigiani.)
Quando le cartucce scarseggiarono, mi voltai : c’era solo uno di Serra. Andò a chiamare altri. Sparavo e sparavo. Mi voltai e vidi due ragazzi che non avevano più di 13-14 anni. Mi tiravano toppe di terra per farmi voltare. Ma chi li sentiva……Allora capii. Presi il cappotto che avevo a due passi.. Era sotto tiro dei nemici e si muoveva come una persona viva. Essi sparavano con tre mitragliatrici da 200 mm e tre mortai da 81. Presi il cappotto e ci avvolsi la mitraglia che scottava: Ordinai ai ragazzi di prendere il treppiedi e la cassetta delle munizioni. L’avevano mandati i nostri per venirmi a prendere. Mi andò bene perché i nemici si stavano ritirando: non sapevano che ero solo a sparare da quella collina.. Ritrovai il mio gruppo a Isola. Avevo diciannove anni. Mi parve che erano passati pochi minuti, quando restato solo, mi vennero a chiamare., invece dopo mi dissero che avevo sparato per tre ore.”.
Nel terzo volumetto di Silvano Poeta ci sono due episodi. Nel primo : un rifugiato ebreo viene catturato dai fascisti in una delle ultime case di Chigiano. Pasqualino vede un movimento ed alza il tiro dal ponte sul paese con una sventagliata che ferisce un milite fascista. Il drappello si ritira ed il rifugiato ebreo è salvo. Pasqualino e la persona salvata si incontrano, anni dopo, per caso e si conoscono. (Pasqualino mi salvò. Pg21).
Nel secondo episodio viene narrata la morte di Giuseppe Poeta, garzone fucilato perché non dava informazioni sui partigiani (anzi, i fascisti ‘i vulia arrostì : fu i tedeschi a non volelli brucià!). (Ancora più interessanti le fotografie: una foto ha ripreso la panoramica della zona dal punto di vista di Pasquale, con il ponte, la strada ed il paese di Chigiano, ed in una altra foto ha ripreso la postazione della mitragliatrice dal punto di vista di chi si trovava nel paese. C’è inoltre una foto della lapide posta sul ponte di Chigiano con i nomi di ventidue caduti civili e partigiani, di cui due russi ed un etiope. Quando saremo abbastanza uniti da non fare più guerre civili, su quella lapide potremo scrivere con pietà anche i caduti della parte sbagliata).
Il mitragliere Pasquale Marinelli scrive al Generale Agostino Pirotti, il 13 Marzo 1994, per inviargli il volumetto: “Anche questo libro contiene una storia di quei tempi. Le faccio notare con un pizzico di orgoglio che le tre fotografie di Chigiano sono di mia figlia. I migliori saluti Pasqualino.” Dove l’orgoglio di un padre supera l’orgoglio di un patriota.
A Pasquale Marinelli fu concessa la Croce al merito di Guerra dell’Esercito Italiano ed il Certificato di Patriota in cartapecora, firmato dal generale Alexander e dal colonnello Corradi..
Un po’ di tattica e molta fortuna
La tattica partigiana non consente scontri in linea quando si è attaccati da formazioni consistenti ed armate di armi pesanti. In questo caso le forze partigiane si dissolvono e si trasferiscono in una altra zona per tornare a colpire di sorpresa. Invece questa volta è avvenuto uno scontro frontale duro, che ha occupato un fronte di dieci chilometri con le forze partigiane che hanno tenuto le posizioni ed hanno respinto una azione di forza e non un semplice rastrellamento.
Questo è avvenuto per diverse cause. Innanzi tutto la parte alta del San Vicino (Porcarella, oggi Poggio San Romualdo) era la sede del collegamento radio con gli alleati e, cosa importantissima, la sede del campo di lancio, da cui arrivavano armi e rifornimenti e quindi non poteva essere abbandonata.
La zona era presidiata dalla 5° Divisione Garibaldi con due gruppi, il gruppo Mario prevalentemente comunista (comandato da Mario Dupamgher, jugoslavo con molti ex prigionieri stranieri) ed il gruppo Agostino (comandato dal tenente Agostino Pirrotti).
Il primo gruppo assalito a Braccano si disperde sulle alture alle sue spalle. Il secondo gruppo interviene su diverse strade per impedire che venga smantellato il nucleo della resistenza partigiana. In realtà solo alla fine si avrà una esatta cognizione di quello che stava accadendo. Dal racconto dei protagonisti si evince piuttosto che Agostino accorse in aiuto di Mario respinto in alto, che chiese rinforzi, quando si rese conto della importanza delle forze nemiche e che , per fortuna, i rinforzi arrivarono da strade diverse creando forti difficoltà e perdite alla colonna nemica. La battaglia di Chigiano è una delle poche battaglie in linea della Resistenza ed è l’unica avvenuta in Centro Italia e deve considerarsi un avvenimento militare importante.
La postazione di una mitragliatrice al di là della prima linea di difesa, che prende alle spalle gli attaccanti e riesce a trasformare la difesa in contrattacco è una manovra classica chiamata difesa elastica in profondità. Fu studiata e esperimentata dal generale tedesco Ludendorff, assieme alla susseguente tattica di penetrazione in profondità, durante la prima guerra mondiale. In Italia fu esperimentata per la prima volta da un giovane colonnello, Rommel in una località che sarà in seguito chiamata Caporetto. Ma Pasqualino Marinelli non lo sapeva. (Per la verità non lo sapevano neppure Badoglio e Cadorna a Caporetto! Mi fa piacere pensare che in questa occasione, nel suo piccolo, il comandante Agostino abbia restituito ai tedeschi la lezione che Rommel ci dette a Caporetto!).
Bartolo Ciccardini
(Tratto da: “La Resistenza di una comunità. La Repubblica autonoma di Cerreto d’Esi”, Ed. Studium, Roma).
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