Aquile Randagie – credere disobbedire resistere. Una intervista di Silvio Mengotto ad Alex Cendron
Pubblichiamo l’intervista che Silvio Mengotto ha fatto all’attore, Alex Cendron che a fine settembre tenne lo spettacolo sulle Aquile Randagie a Milano, nel quartiere Gorla.
Aquile Randagie – credere disobbedire resistere
Il solstizio d’inverno è la notte più buia e lunga dell’anno, un lungo tramonto dove pare che il buio abbia vinto per sempre. Una antica leggenda narra che fu proprio in questa notte che il santo cavaliere sconfisse il drago, ed è in una notte come questa che è ambientata la storia narrata in Aquile Randagie – credere disobbedire resistere –, una storia vera, scritta e interpretata in un magistrale monologo dall’attore Alex Cendron. Lo spettacolo sta registrando un vasto successo popolare nei teatri e negli oratori d’Italia. Ne parliamo con l’autore e attore Alex Cendron.
Alex Cendron, ex capo scout, oggi è attore a tempo pieno. La passione giovanile per il teatro si è trasformata in professione. “Mi piace farlo – dice Alex Cendron – senza confini di mezzo, dal teatro al cinema, passando per la televisione. Ho una vita un po’ bohemienne, monacale, un po’ da illuso, ma sono tendenzialmente felice”.
Raggiunta l’autonomia ha iniziato a collaborare con diversi teatri stabili. Ha interpretato testi di P.P. Pasolini, Giovanni Testori e Cechov. Recitato con Lucrezia Lante della Rovere e duellato nella Locandiera con Amanda Sandrelli. Candidato finalista, come miglior attore e protagonista, nel 2019 al Premio Maschera del Teatro italiano per l’interpretazione di don Lorenzo Milani.
Nel suo curriculum professionale troviamo la collaborazione per la produzione televisiva RAI e una manciata di film dove ha recitato con Claudio Bisio, Diego Abatantuono, Enrico Brignano, Neri Marcorè, Alessandro Gasman e Ambra Angiolini. In passato ha spesso pagato l’affitto lavorando in spot pubblicitari. “Sono stato capo scout – continua Cendron – da qui la connessione con le Aquile Randagie. Da molti anni studio drammaturgia. Prima della pandemia ho iniziato a scrivere Credere disobbedire resistere, il primo progetto importante. Qualche anno fa ho affrontato uno degli spettacoli più belli della mia vita nel ruolo di don Milani in occasione del cinquantenario della sua morte. Sicuramente lo spettacolo mi ha aiutato ad entrare nell’ottica e prendere il toro per le corna e scrivere, portare in scena Aquile Randagie”
D. Come nello scoutismo anche don Milani lavorava sui ragazzi. Non lo trova interessante questa comunanza? “Certo. Ci sono similitudini interessanti. Anche con Baden, sacerdote e protagonista delle Aquile Randagie ci sono similitudini che troviamo anche nella forma di rapporto con i giovani di fede. Una similitudine anche tra i personaggi carismatici ma anche burberi. Don Milani era molto simpatico ma parecchio burbero, spigoloso, come lo era Baden”
D. Come è nato lo spettacolo di una storia vera e sconosciuta? “Ho conosciuto questa storia attraverso un libro uscito in ambito scout sulle Aquile Randagie, mi affascinò moltissimo tanto che decisi di fare il secondo tempo di formazione – chi fa il capo scout deve fare due tappe formative – a Colico, località che sapevo essere collegata alla storia delle Aquile Randagie. In quella settimana formativa ho conosciuto la loro storia. Sono stato in val Codera, altro luogo importante per le Aquile Randagie. All’epoca ero ancora studente in accademia come attore. Una delle mie fascinazioni attoriali era il monologo Vajont di Paolini. Quando conobbi la storia delle Aquile Randagie pensai che quella storia potesse diventare il mio Vajont. Una storia da raccontare perché fa parte anche della mia storia scout”
D. Come riuscì a raccogliere la documentazione storica? “All’epoca covavo questo desiderio raccogliendo informazioni, libri, tutto ciò che poteva essermi utile. L’incontro e l’amicizia con Federica Frattini fu decisivo. Federica, donna scout, all’epoca era bibliotecaria e presidente dell’ente Baden di Milano che conosceva la storia e il fratello di Baden. Ho cercato anche l’appoggio di chi la storia ne aveva le fonti di prima mano. Una storia lunga 17 anni, inizia nel 1928 e termina nel 1945. Il parto del monologo è stato lungo e laborioso. Un anno prima del Covid ho iniziato la stesura. Facendo spesso le tourne’ teatrali, non potevo portarmi i libri e la documentazione necessaria. Ho rimediato comprandomi uno scanner che mi ha permesso di avere, in pochissimo spazio, tutti i libri e la documentazione necessaria. Durante il lungo lockdown, chiuso in camera mia a Milano ho scritto il testo. Ho debuttato a Milano nel dicembre 2021”.
D. Lo spettacolo registra una vasta popolarità in tutta Italia. Viene richiesto anche nelle scuole e negli oratori. Qual è la reazione del pubblico che ha riscontrato? “Molto positiva e ne sono felicissimo. Lo è in qualsiasi ambito, sia in quello teatrale, sia nel debutto della Cooperativa Teatro dove in platea c’erano molti scout, sino all’ambito scout puro, piuttosto che in un ambito cattolico o ANPI. Questo mi da piacere, sia come attore, sia come autore. Sin dall’inizio ho pensato di scrivere uno spettacolo che potesse essere multistrato, ma principalmente fruibile da tutti, compresi quelli che nulla sanno di scoutismo, di questa storia, anzi c’è maggior attrattiva. Le persone che mi dicono di non amare molto gli scout, dopo lo spettacolo si ricredono, cosa che mi fa ulteriormente piacere”
D. I colleghi che ne pensano dello spettacolo? “In ambito teatrale, essendo un mondo piuttosto lontano da quello cattolico, si guarda agli scout con scetticismo. Spesso fraintendono l’essenza e la intendono in senso militarista. Anche da molti colleghi a cui ho fatto leggere il testo e che hanno visto lo spettacolo ho avuto questo riscontro positivo e ne sono felice”
D. Non crede sia uno spettacolo fruibile per i giovani, i ragazzi? “Ho fatto anche delle scolastiche e penso di farne ancora. Personalmente mi fa piacere perché sono stato capo scout. Credo sia innegabile il gusto dell’educatore, cioè poter essere significativi per delle persone ancora in formazione è uno dei piaceri che da l’essere capo scout. Da la sensazione di fare un intervento efficace verso qualcuno. Anche se non è un intervento formativo, preciso, può diventare lo stimolo per sbocciare. Lo scoutismo durante lo spettacolo avrebbe questo come obiettivo, non quello di plasmare gli individui, bensì di aiutare le persone su ciò che potrebbero essere al meglio. Ho fatto anche una scolastica strana”
D. In che senso? “Una insegnate scout, che ha visto lo spettacolo al debutto, contatta la produzione, fissa la replica e vado a farla a Sesto Dan Giovanni. Sono felicissimo di essere in questa scuola. Convinto che fossero dei liceali, mi vedo arrivare bambini di seconda e terza elementare, seduti sulle poltrone con le gambe a penzoloni perché non toccavano terra. Sono preoccupatissimo. Si mette male. In realtà è stato un pubblico molto attento. Sono certo che il lavoro fatto dall’insegnante ha aiutato moltissimo. Anche se erano troppo piccoli, il capire di più è anche frutto di un lavoro. L’idea di scrivere una storia che possa essere emotivamente coinvolgente, per me lo è stato, credo che sia giusto. Sostengo, e credo, che una qualunque storia è sempre raccontata dal punto di vista di qualcuno. L’illusione di avere una storia oggettiva è difficile. Spesso parlando dell’oggettività, o la tensione all’oggettività, diventa un allontanarsi dall’emotività perché bisogna parteggiare per qualcuno, anche se è solo una persona, un ragazzino, piuttosto che un bambino. Devi parteggiare per quella persona se vuoi che possa emozionarti. Ho scritto il testo pensando a questo”
1° Ottobre ’22 Silvio Mengotto
Durata dello spettacolo 100’ senza intervallo
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