I rurali e la razza
Lino Businco, Lidio Cipriani, Arturo Donaggio, Leone Franzi, Guido Landra, Nicola Pende, Marcello Ricci, Franco Savorgnan, Sabato Visco, Edoardo Zavattari. Chi sono? Pochissimi risponderebbero alla domanda. Sono i nomi di dieci, si fa per dire, studiosi che sottoscrissero nel luglio 1938 il Manifesto della razza, conosciuto anche come Manifesto degli scienziati razzisti , fondamento “scientifico” delle leggi razziali del 1938.
A questo manifesto aderirono con solerzia e spesso senza una particolare giustificazione 329 fra docenti universitari, magistrati, medici, militari giornalisti ed esponenti del clero; famoso padre Gemelli che aveva una sua particolare teoria a sostegno e giustificazione del razzismo. Quello del mondo cattolico è uno dei temi ancora da chiarire, con coraggio e verità. “La coscienza del legame tra la Chiesa e gli ebrei è oggi per noi cattolici un fatto di popolo. Ma negli anni trenta in pochi capirono, mentre sopravvivevano vecchi pregiudizi”. Lo ha dichiarato il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della CEI, la Conferenza Episcoale Italiana, a chiusura di un interessante convegno tenutosi alla Dante Alighieri il 19 novembre: “Chiesa, fascismo ed ebrei, la svolta del 1938”. Fra i 329 compaiono due nomi che colpiscono, Amintore Fanfani e il prof Gaetano Azzariti, secondo presidente nel 1957 della Corte Costituzionale! Ottanta anni fa. Una data che quest’anno è stata ricordata con un’attenzione particolare, perché in giro si respira aria mefitica. Il 28 ottobre, data della cosiddetta “marcia su Roma”, un manipolo di nostalgici ha sfilato a Predappio davanti alla tomba di Mussolini, indossando magliette con scritte antiebraiche come, al di là di ogni ritegno, una vigorosa “massaia rurale” pesarese: “Auschwitzland”. Quel campo di sterminio dove furono inviate quasi tutte le ottomila vittime ebree italiane. Ma come è stato possibile che una grandissima parte del popolo italiano abbia accettato e condiviso le leggi razziali? Eppure è successo e nemmeno lentamente. Un contributo determinante, su un terreno fertile in verità, è stata la comunicazione, a tutti livelli e in tutte le forme. Nessuna categoria sociale è stata dimenticata, analfabeti compresi. Nel ’38 l’Italia fascista al culmine della sua esaltazione, Impero dal 1936, con un orgoglio nazionale che aveva conquistato tutti, pendeva dalle labbra del Duce. Ma c’era ancora qualcuno tiepido: i “rurali”, come venivano allora chiamati chi lavorava la terra, al contrario dei “padroni”, fascisti della prima ora. Come arrivare ai “rurali”, con una altissima percentuale di analfabetismo e certo non lettori accaniti della stampa di regime. La radio! Nel 1933 nasce l’Ente Radio Rurale che aveva come finalità l’indottrinamento ideologico con la diffusione della radiofonia nelle campagne e nelle “scuole rurali”. Fu costruito un apparecchio speciale, Radiorurale, che diversamente da Radiobalilla, al posto dei fasci aveva incrociati due rametti d’alloro. Ma il progetto Radiorurale naufragò non sul piano politico….ma tecnico! In gran parte delle campagne non arrivava l’energia elettrica! Si corse ai ripari. Mettere altoparlanti nelle piazze dei piccoli paesi, vicino alle chiese e la domenica mattina, quando i “rurali” credenti uscivano dalla Messa e i “socialisti” al caffè o all’osteria, indottrinarli. Una eredità di “palinsesto” ancora oggi rispettata con Linea verde! Come spiegare ai “rurali” il razzismo? Ci pensa la Confederazione Fascista dei Lavoratori dell’agricoltura, con una pubblicazione di 68 pagine dell’anno XVI con numerose fotografie, dal titolo chiaro e squillante: I rurali e la razza. In prima pagina: “Siete voi, rurali, che rappresentate la razza nel suo significato più profondo ed immutabile. Voi non fate i matrimoni misti … Mussolini”! Poi in seconda, sempre Mussolini: “ La terra e la razza sono inscindibili e attraverso la terra si fa la storia della razza e la razza domina e feconda la terra … “. In 68 pagine si sintetizza tutto il credo razzista e si esalta il valore dei “Fedeli della Terra” “che per tante generazioni, che talvolta hanno sfiorato il millennio, si sono mantenuti nello stesso podere…”. E si continua: “Il contadino è sempre stato il “continuatore della stirpe” mentre la città è il punto “debole e vulnerabile”. Quindi cari mezzadri fate figli e rimanete a lavorare la terra per il bene della stirpe! Naturalmente foto di una famiglia mezzadrile emiliana di quarantaquattro persone di cui 26 bambini. Le didascalie sono spesso sconcertanti. Una fra tutte. I fascisti non ignoravano la devozione di una parte notevole dei “rurali”, quindi foto di una croce di ferro lavorato, numerose allora nelle strade di campagna, con un ragazzo in preghiera. Testo: “Ecco la fede che proviene dai secoli e dalle generazioni, la fede in Dio, latino e cattolicissimo, gloria e conforto delle nostre genti italiane” ! Anche un libercolo così ha completato quella strada che porta alla Shoah e che inizia in Italia con la pubblicazione nel 1921 de ” I Protocolli” dei “ savi anziani” di Sion. Angelo Sferrazza
da (www.infodem.it)