Fuga dal voto. L’appello contro l’astensionismo del Presidente Giovanni Bianchi
Le recenti elezioni regionali siciliane hanno visto un calo della partecipazione al voto che si è tradotta in un astensionismo arrivato alla quota record del 52,6% degli aventi diritto.
Si tratta di un fenomeno ormai costante di disaffezione e sfiducia che già si era manifestato largamente nella scorsa primavera in occasione delle elezioni amministrative, e che potrebbe ulteriormente consolidarsi in occasione delle elezioni regionali straordinarie e delle elezioni politiche previste per il prossimo anno.
Naturalmente le cause di questa disaffezione sono note e comprensibili, a partire dai ripetuti scandali che hanno travagliato il sistema politico a tutti i livelli, denunciando uno scadimento morale, intellettuale ed umano del personale politico, parte del quale interpreta ormai correntemente l’attività politica come un’occasione di arricchimento, non tenendo in conto l’ammonimento della Costituzione ad esercitare le cariche pubbliche “con disciplina ed onore”.
Ma più nel profondo, al di là dei fenomeni di malcostume, sembra essere entrata in circolo una sorta di sfiducia radicale nelle possibilità che la politica e le istituzioni possano cambiare alcunché nelle esistenze private e pubbliche delle persone e delle loro famiglie. E che sempre più la politica istituzionale sia alla mercé di forze esterne, a partire da quelle finanziarie, che ne condizionano le possibilità di scelta.
In sostanza, si ritiene, anche se non in forma del tutto conscia, che la politica non serva a nulla: un gioco privo di senso che al più si ingegna a mascherare quelli che sono gli interessi reali che incidono nella carne delle persone senza che esse possano far nulla per sottrarvisi.
E tuttavia questa politica rimane importante perché molte delle scelte che sono alla base della vita quotidiana passano attraverso le leggi, i regolamenti, le deliberazioni dei diversi organismi istituzionali a tutti i livelli.
Noi siamo convinti che esista uno spazio di intervento della politica che si inserisce nel vuoto generato dalla crisi. Una crisi che non è figlia di nessuno, ma che nasce anche da una serie di decisioni di ordine politico e legislativo che hanno spianato la strada al finanzcapitalismo, lo hanno reso più forte e sicuro di sé e nello stesso tempo hanno indebolito a livello globale le ragioni del lavoro e della società civile e delle stesse istituzioni. Un processo di accumulazione che si è distaccato dalla materialità della produzione per entrare nella logica impalpabile delle transazioni transnazionali, che pongono gravi problemi in ordine alla trasparenza, lasciando aperto il campo alla presenza alle organizzazioni criminali negli assetti finanziari della nostra epoca.
Ovviamente la questione della creazione di nuovi posti di lavoro (divenuta centrale in tutta Europa) dipende dalla qualità del nuovo modello di sviluppo ma anche di cittadinanza, che devono essere orientati alla logica della redistribuzione attraverso meccanismi di fiscalità, indirizzo e controllo.
La maggiore volatilità dei redditi, principalmente degli operai ma in generale di tutti coloro che percepiscono redditi più bassi, trova conferma in molti studi. E questo fenomeno relativamente nuovo coinvolge ovunque soprattutto i giovani.
Un trend che sembra rientrare in una più generale tendenza di questi ultimi anni: trasferire molti rischi sociali, e principalmente quelli connessi alla sicurezza del reddito, dalla società ai singoli. Una tendenza che non ha soltanto implicazioni sul terreno dell’equità e che può introdurre elementi di inefficienza perché porta a rinunciare ai vantaggi di una strategia collettiva di riduzione dei rischi che hanno costituito una delle ragioni di fondo della nascita e dell’affermazione del Welfare State.
Sono queste circostanze che rendono i ceti sociali impoveriti o a rischio di impoverimento sempre più esposti a tentazioni populistiche, a rancori diffusi, a endemica insicurezza che agisce negativamente sulla dimensione politica, fragilizzando la democrazia ed i suoi istituti, suggerendo la fuga dalla partecipazione e dal voto.
In questo senso è importante ricordare ancora una volta che fin dal primo articolo della Costituzione la Repubblica nata dalla Resistenza afferma di essere fondata sul lavoro, fissando così il canone fondamentale di interpretazione di ogni atto legislativo e politico. Ciò significa prendersi carico fino in fondo dei disagi e delle minacce che oggi pesano sui lavoratori, in particolare i più anziani e i giovani che faticano ad inserirsi o vi entrano solo per la via di una flessibilità che equivale a precarietà. Si aggiunga il poco invidiabile primato italiano in materia di morti e invalidi sul lavoro che sta a significare quanto i principi fondamentali stabiliti dalla Costituzione siano in attesa di diventare parte integrante di un progetto politico per il domani.
Lo stesso per la previdenza, la sanità, l’assistenza e più in generale tutti quei diritti sociali che connotano una moderna democrazia e che rappresentano il risultato più maturo delle lotte del XX secolo, ivi inclusa l’attenzione alle persone che da Paesi lontani vengono a vivere e a lavorare nel nostro.
E proprio per questo la diserzione dalle urne elettorali è un lusso che non possiamo permetterci.
Appare chiaro e necessario reagire con un’iniziativa positiva, di alto valore etico e civile, assumendosi tutte le responsabilità di scelta. Non è soltanto un dovere etico, ma deve essere anche la richiesta politica di una soluzione morale. Come cristiani non possiamo fuggire, né possiamo assentarci. L’astensionismo è in fondo una richiesta di soccorso. A questa richiesta di soccorso dobbiamo rispondere con una precisa offerta politica per recuperare al voto ed alla responsabilità i cittadini. È per questo che l’Associazione dei Partigiani Cristiani ha promosso nel suo Congresso un’iniziativa rivolta a tutte le associazioni cattoliche per combattere l’astensionismo.
Giovanni Bianchi
Presidente ANPC