ANPC Nazionale

Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

Commemorazione 67 martiri Fossoli

74° ANNIVERSARIO DELL’ECCIDIO DEI 67 MARTIRI DI FOSSOLI CARPI

(Erano presenti il sindaco di Fossoli, Alberto Bellelli, l’onorevole Pierluigi Castagnetti e il presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. In più molte altre delegazioni della Lombardia, Milano,  Monza, Lecco, Como ecc. con i Gonfaloni delle rispettive città).

 Poligono di Tiro di Cibeno – Fossoli di Carpi (MO)

Domenica 8 luglio 2018

Carla Bianchi Iacono*

Il luogo dove sorge il Campo di concentramento di Fossoli era stato scelto per la sua posizione geografica, non troppo a Nord e non troppo a Sud della penisola ma soprattutto per la vicinanza al nodo ferroviario della linea Verona-Brennero, che sarebbe diventato il percorso strategico per i successivi trasporti verso i campi di concentramento e di sterminio d’Oltralpe.

Nel Campo, recintato da un doppio ordine di reticolati divisi da un fossato, sorgevano le torrette di legno delle sentinelle, potenti riflettori illuminavano di notte il recinto, le baracche di mattoni erano allineate in doppia fila su un lato del rettangolo.

Dal febbraio del 44 il Campo si chiamerà Polizei und Durchgangslager, Campo di polizia e di transito per deportati politici e razziali, dipendente dal comando tedesco con sede a Verona

Don Venturelli, parroco di Fossoli, dal 1943 fino alla fine della guerra, per incarico del vescovo di Carpi Vigilio Federico Dalla Zuanna, si recava regolarmente all’interno del Campo, per provvedere sia agli obblighi che il suo stato sacerdotale gli imponeva, sia per soccorrere e alleviare in tutti i modi possibili gli internati ariani ed ebrei. L’aiuto e il soccorso erano concreti; il suo recapito serviva ai parenti dei prigionieri per inviare lettere, denaro, qualche volta i pacchi e in modo particolare per raccogliere notizie sugli arrivi e sulle partenze da trasmettere ai familiari che ne avevano fatto richiesta.

La sera dell’11 luglio 1944, dopo l’appello regolamentare, furono chiamati nominalmente e non per numero, come al solito, 71 internati politici, che furono avvisati di prepararsi per la partenza per la Germania, la mattina successiva.

Poiché la partenza era prevista per le prime ore dell’alba, prima cioè dell’apertura delle baracche, per quella notte avrebbero dormito in una baracca rimasta vuota: portassero lì i loro bagagli e i pagliericci.

Gli internati si preoccuparono: erano giunte al Campo SS di rinforzo, il numero dei chiamati era anomalo, c’era una strana aria in giro… Non sapevano che lo stesso giorno il Comando tedesco di Carpi aveva requisito l’area del Poligono di tiro, impedendovi l’accesso a chiunque; e pochi sapevano che nel pomeriggio era uscita dal Campo una squadra di ebrei, con pale e picconi, che non era tornata per l’appello.

Nel frattempo, al poligono di tiro a segno di Cibeno, gli ebrei avevano dovuto scavare una grande fossa nel prato dietro il muro dei bersagli: lo scavo era stato iniziato da alcuni uomini delle SS, che però avevano desistito per le difficoltà e la fatica del lavoro. Gli ebrei cercarono di tirare in lungo, per sabotare o ritardare, per quanto era possibile, quella che a loro sembrava un’imminente esecuzione di massa. Solo verso le dieci di sera, quando non c’era più luce, fu loro concesso di interrompere il lavoro, anche se la fossa non raggiungeva la profondità stabilita.

Furono riportati al Campo, ma non in baracca: dovettero dormire su un po’ di paglia buttata sul pavimento di un locale del settore vigilanza, dopo essere stati severamente ammoniti di non rivelare nulla a nessuno. Alle quattro del mattino successivo sessantanove condannati vennero fatti uscire dalla baracca, mancava Teresio Olivelli, che si era nascosto. I tedeschi preferirono non dare troppa importanza al fatto, certi com’erano che l’avrebbero ripreso, prima o poi. Il settantesimo, Renato Carenini, era stato avvertito direttamente dal Maresciallo Haage che non sarebbe dovuto partire con gli altri. Un primo gruppo di 20 fu fatto salire su un autocarro scoperto, con l’assicurazione che sarebbero andati fino al Brennero con quel mezzo anziché per ferrovia.

Giunti al poligono di tiro e scesi dall’automezzo, fu letta la sentenza della condanna a morte, motivata come rappresaglia per un attentato a Genova.

Ormai i tedeschi si accingevano a dare inizio all’esecuzione, a due a due li avevano fatti avanzare e inginocchiare fino all’orlo della fossa comune, poi, con un colpo alla nuca li avevano freddati. I corpi erano caduti direttamente nella fossa.

Una mezz’ora dopo fu chiamato un secondo gruppo di 25 persone.

L’automezzo prese la via di Carpi, dirigendosi a sud-est, ma da qui, anziché verso la stazione, svoltò verso nord, sulla strada per Cibeno. Questa manovra mise in allarme uno dei condannati, Mario Fasoli, che comprese quanto li attendeva e decise di tenersi pronto a tentare il tutto per tutto, mentre i suoi compagni gli sembravano stranamente passivi e rassegnati.

Dopo la lettura della sentenza Mario Fasoli ed Eugenio Jemina, scambiatisi uno sguardo d’intesa e comprese le reciproche intenzioni, si ribellarono, aggredirono i tedeschi più vicini e diedero il via a una ribellione disperata, che coinvolse probabilmente la maggior parte dei condannati, e consentì a loro di allontanarsi dal luogo della strage, buttandosi attraverso uno spiraglio della recinzione, mentre i tedeschi erano impegnati a soffocare la resistenza degli altri.

Il terzo gruppo, di 24, fu fatto partire dal Campo ammanettato, per evitare il ripetersi di incidenti del genere.

Le mogli di due dei “partenti”, che erano a Carpi per tentare di incontrare i loro congiunti, evidentemente informate della loro partenza dall’efficiente sistema di comunicazioni clandestino del Campo, si trovarono sulla strada dell’automezzo, non sappiamo in occasione di quale trasporto. Notata l’anomalia del percorso, seguirono il camion in bicicletta fino al Poligono, quindi tornarono in città a chiedere al Vescovo di intervenire in qualche modo.

Monsignor dalla Zuanna giunse al Tiro a Segno in calesse col suo segretario, sembra durante o subito dopo l’esecuzione dell’ultimo gruppo. Tentò di intercedere, di ottenere almeno di benedire le salme. Fu minacciato e allontanato brutalmente.

Anche gli ebrei furono riportati al Poligono, e, dopo aver provveduto alla copertura della fossa, nella quale i tedeschi avevano sparso calce viva e sistemato il terreno con zolle erbose, in modo che non rimanesse traccia della fossa,  furono ricondotti al Campo.

Tutto si era svolto nelle prime ore del mattino del 12 luglio. Alle otto, al momento dell’appello di chi era rimasto al Campo, era tutto finito.

Al Campo, nonostante le precauzioni, occhi attenti avevano seguito tutte le fasi di partenza di uomini e bagagli, che a un certo punto erano stati caricati su un furgoncino e portati fuori dal Campo, ma avevano visto tornare i tedeschi, dopo il secondo gruppo, con vistose escoriazioni e le divise in disordine; avevano visto ammanettare o legare a due a due gli uomini dell’ultimo gruppo; avevano visto tornare i bagagli.

La motivazione addotta per la fucilazione come rappresaglia per l’attentato di Genova, avvenuto un mese prima e in una località lontana, era palesemente falsa. Ancora dopo settant’anni, e dopo decine di pubblicazioni che  studiano la strage di Fossoli  non si è venuto a capo di nulla; forse anche per questo motivo nella storia della Resistenza questa strage è stata rimossa dalla memoria collettiva.

La notizia della strage trapelò nonostante le precauzioni delle autorità tedesche; il giorno successivo don Giovanni Barbareschi, amico del gruppo di internati cattolici legati al giornale clandestino del “ribelle” ospite di don Venturelli, prendeva in consegna la lista con l’elenco dattiloscritto dei nomi dei fucilati e la consegnava alla Curia di Milano.

Poco meno di un mese dalla fine della guerra, per iniziativa del medico Angelo Bianchi Bosisio amico fraterno dell’ingegner  Carlo Bianchi. uno dei fucilati, partirono le ricerche. Identificata, con la collaborazione anche dei contadini della zona, l’ubicazione precisa della fossa, fu possibile procedere all’esumazione ufficiale dei caduti, alla presenza dei familiari che era stato possibile rintracciare e avvertire. Le bare vennero trasportate a Milano: da questa città e dal suo interland proveniva la maggior parte dei martiri di Fossoli.

Dopo il commosso saluto dei cittadini, che per due giorni avevano sfilato in Duomo per rendere loro omaggio, il 24 maggio 1945 il cardinal Schuster celebrò i funerali solenni, alla presenza delle massime autorità italiane e alleate, e con il coro e l’orchestra della Scala che eseguivano brani di Hendel e di Bach, mentre una immensa folla gremiva la cattedrale, la piazza e tutte le vie circostanti.

* Dei miei interventi sull’argomento ho scelto quello tenuto a Lecco nella sala Consiliare del Comune nel febbraio del 2015 da cui ho ricavato il pezzo presente.

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