Cronaca del Convegno:“La partecipazione delle donne alla Resistenza”.
Il 27 Ottobre a Milano presso la Sala Brodolini della Sede Cisl “Milano Metropoli” ha avuto luogo il Convegno ANPC “La partecipazione delle donne alla Resistenza”. Non casuale la scelta della sede, quasi ad enfatizzare un aspetto della resistenza femminile che ebbe un punto cardine proprio nelle fabbriche, nei posti di lavoro dove le donne surrogavano la manodopera maschile resa indisponibile dagli eventi bellici.
Il Convegno fa parte del progetto “Resistenza 70” ed è stato promosso dall’ANPC in collaborazione con l’Istituto Sturzo nell’ambito delle iniziative sostenute dalla Presidenza del Consiglio.
Carla Bianchi Iacono, Consigliere Nazionale ANPC, ha introdotto e spiegato le motivazione della scelta del tema del Convegno.
I veri protagonisti sono stati i giovani del Liceo Scientifico Primo Levi, grazie al coinvolgimento operato da Benedetta Cosmi nell’ambito del progetto alternanza scuola lavoro: una partecipazione attiva di questi studenti con letture di ricerche, ma ancora di più con le loro interessanti domande. Domande poste da appartenenti ad una generazione che ha avuto la fortuna di non vivere i tempi drammatici della guerra, dei suoi orrori e della ribellione morale, ma che vuole conoscere la verità su quel periodo tragico della nostra storia.
Il presidente dell’ANPC Giovanni Bianchi ha aperto i lavori. Dopo un attimo di silenzio per solidarietà ai terremotati, è entrato nel vivo del Convegno declamando l’importanza delle donne nel periodo resistenziale e in quello immediatamente successivo con la partecipazione attiva negli scioperi.
Giuseppe Oliva, segretario UST della Cisl Milano Metropoli, nel portare i saluti del Presidente ha sottolineato il coinvolgimento di tutta la popolazione nella resistenza. Fu spesso “lotta senza fucile”, particolarmente nell’ottica dei Partigiani Cristiani sotto la pulsione di “pietas cristiana” e di amore verso la persona sofferente. Molti vedevano persino nel nemico sofferente solo un essere umano bisognoso di aiuto. Una Resistenza civile dunque volta a ribellarsi al male, per non essere complici e nemmeno accondiscendenti, senza paura di opporsi e di combatterlo.
E’ in questo quadro di rivalutazione della Resistenza civile che riscopre il valore dell’opera delle donne: rispetto all’anteguerra che relegava la donna al ruolo di madre, di lavoratrice domestica al servizio della famiglia ed il cui impegno sociale non poteva andare oltre le opere caritatevoli, appare oggi rivoluzionario il contributo fondamentale delle donne in quel periodo. Per il fascismo la donna era considerata come una macchina procreatrice e nulla di più. Erano tre i pregiudizi che il fascismo propagandava: le donne lavorano per il superfluo; le donne rubano il posto ai maschi; le donne sono fisicamente inadatte al lavoro.
Non era una condizione solo italiana, anche se la questione è stata al Convegno affrontata principalmente in ottica nazionale, da Luigi Ganapini dell’Università di Bologna con una relazione dal titolo “La condizione quotidiana nel ventennio e le scelte dopo l’8 settembre 1943”. Presenta un power-point interessantissimo con immagini che rendono visivamente lo spaccato di un’epoca. (Clicca qui: donne-fascismo).
Anche in questo il fascismo, oscillante tra progressismo e conservazione, fu “cerchiobottista”; niente suffragio universale politico, ma solo amministrativo, ritenuto per una ristretta categoria di donne confacente al loro vissuto domestico, quasi estensione nell’agorà locale di quei compiti peculiari in campo di economia domestica. Si trattò però, in pratica, di una vuota dichiarazione di principio e, successivamente, di una formulazione di legge superata dall’abolizione delle elezioni locali con un podestà nominato, in luogo di un sindaco eletto. Questa la storia dell’apertura femminista del fascismo. Ma le donne, che surrogavano i ruoli maschili nelle fabbriche senza abdicare a quelli pesanti per loro tradizionali, si trovarono così in prima linea a rivendicare diritti civili e sindacali, ancora prima del 25 Luglio 1943 e la destituzione di Mussolini, propiziata dallo stesso partito fascista che si illudeva di potere sopravvivere a se stesso scaricando tutte le colpe su un unico capo espiatorio, il “duce”, al quale il monarca aveva delegato ogni responsabilità civile e militare della conduzione.
Ma i valori cristiani sono anche valori naturali ed assoluti, per questo patrimonio comune dei “giusti” indipendentemente dalla filosofia di vita a cui ci si ispira. Caso emblematico al riguardo quello di Tina Anselmi, che è venuta a mancare proprio in questi giorni (https://anpcnazionale.com/2016/11/02/ricordare-tina-anselmiuna-donna-che-ha-fatto-litalia-libera-e-democratica) nata il 23 marzo 1927 da una famiglia cattolica con il padre di idee socialiste e per questo perseguitato dal regime, che il 26 settembre del 1944 fu costretta ad assistere insieme ad altri studenti, oltre che alla popolazione locale, all’impiccagione per rappresaglia di trentuno giovani, tra cui il fratello della sua compagna di banco, che avevano scelto la montagna in opposizione agli obblighi di regime. Non fu una scelta unanime da tutti condivisa, ma lei decise a seguito di quella traumatica esperienza di entrare nella Resistenza, arruolandosi con il nome fittizio di Gabriella come staffetta nella Brigata Partigiana “Cesare Battisti” per poi transitare nell’ambito del Comando Regionale Veneto del Corpo Volontari della Libertà. Nel dicembre dello stesso anno si iscrisse alla Democrazia Cristiana, partecipando attivamente alla vita del partito.
Furono le donne in quel periodo, come illustrato da Roberta Cairoli, Dottore di Ricerca all’Università di Milano, nella sua relazione dal titolo “Le molteplici forme della resistenza civile delle donne nel periodo 1943 – 1945”, a causa del contesto bellico che aveva loro imposto di sostituire gli uomini nei ruoli allora prettamente maschili, che si fecero carico di assumersi responsabilità civili sino ad allora a loro precluse ed a rendersi protagoniste di iniziative che non possono venire inquadrate nella semplice azione caritatevole di “pie dame”, come ritenuto da uno studente che ha posto una domanda in tal senso, si trattò di attività che sotto il profilo della dottrina militare potrebbero definirsi di tipo logistico, di supporto attivo con esposizione, alla stregua dei combattenti, a rischio e pericolo di pesanti ritorsioni, dal carcere, alla deportazione, sino alla pena di morte.
Aiutare a sfuggire alla caccia data loro chi, sottoposto ad obblighi di leva, non intendeva aderire alla Repubblica Sociale, e fattivamente rendergli possibile il sottrarsi alla cattura ed alla deportazione nei campi di internamento in Germania non era semplice esercizio di opere caritatevoli, ma comportava appunto una organizzazione logistica (logistica è un termine militare) di supporto strutturata ed organizzata, una attività illegale che esponeva a grave rischio personale ed a quello della distruzione o confisca dei propri beni; era quindi un vero e proprio impegno militare, anche se spesso non in armi, sia pure con la consapevolezza che questo potesse preludere all’evenienza di imbracciare un fucile e diventare resistente combattente in armi, con tutte le conseguenze del caso, anche quelle interiori di natura etica e morali per chi considerava in assoluto sacra la vita umana, compresa quella del nemico per quanto crudele esso fosse.
Elisabetta Salvini dottore di ricerca dell’Università di Parma ha presentato alcune delle più importanti figure di donne cattoliche impegnate nella resistenza, soffermandosi particolarmente sulla vicenda di Ada Alessandrini, intellettuale romana, insegnante ad Orvieto, esonerata dall’insegnamento dal regime fascista per le sue idee. Partecipò alla Resistenza romana nella formazione partigiana Democrazia del lavoro, occupandosi della diffusione della propaganda antifascista e l’occultamento dei perseguitati politici e razziali. (Clicca qui: donne-cattoliche-di-e-salvini).
La sintesi conclusiva è stata affidata a Luisa Ghidini, delegata femminile ANPC, che ha ringraziato i partecipanti e ha ribadito l’importanza di tramandare questi valori ai giovani e di far conoscere le storie di tante donne ancora non conosciute.