Prefazione Pietro Scoppola
Prefazione Pietro Scoppola
Il nome di Cerreto d’Esi, un paesino delle Marche che si trova , sulla via fra Matelica e Fabriano, non compare nelle storie della Resistenza: invano lo si cerca anche nell’indice dei luoghi nella documentatissima opera di Claudio Pavone Una guerra civile, comparsa nel 1991. E invece quel paesino è doppiamente significativo dal punto di vista della Resistenza: da un lato perché rappresenta, anche se in miniatura, date le sue dimensioni, una di quelle “repubbliche” che nei duri anni della occupazione tedesca riuscirono a salvare, per periodi di tempo più o meno lunghi (ma nel caso di Cerreto lungo tutto il periodo) la loro libertà; in secondo luogo perché la sua storia offre una verifica critica, per non dire una smentita, delle tesi revisioniste che ebbero particolare credito e diffusione negli anni Novanta.
Ora Bartolo Ciccardini in questo volume ci presenta una storia di Cerreto d’Esi, nei lunghi mesi della occupazione tedesca, destinata a mio avviso a entrare a pieno titolo nella sconfinata bibliografia della storia della Resistenza. Il fatto stesso di non essere professionalmente uno storico, ma un uomo politico di lunga esperienza con viva sensibilità culturale, gli consente di dar vita nella sua narrazione ad un genere letterario particolarmente godibile per il lettore, fondato sull’intreccio di ricordi giovanili; di documentata e attenta ricostruzione della vicenda e di acute riflessioni personali.
Attenzione: il fatto di aver salvato la sua autonomia non significa che Cerreto d’ Esi sia rimasto, come è successo per alcuni angoli più o meno grandi del nostro Paese, estraneo allo scontro in ragione di una collocazione geografica particolarmente favorevole; al contrario Cerreto d’Esi è in una posizione importante ai fini del controllo di quell’ area territoriale; l’autore anzi si compiace di richiamare remoti precedenti storici sulla importanza strategica del luogo e ricorda che all’inizio della strada che da Albacina porta a Cerreto e poi a Matelica c’era il lugubre cartello posto dai tedeschi «Achtungl Bandengebiete» ( Attenzione! territorio di bande); la località dunque era tutt’altro che ignota e dimenticata. «Vi furono scorrerie – aggiunge Ciccardini – qualche tentativo di rastrellamento e decise azioni di guerra, ma quel territorio non cadde mai sotto il controllo permanente degli occupanti. Quando il fronte si fermò a Matelica per quindici lunghi giorni; il territorio divenne terra di nessuno. Ma mai; anche nei giorni più duri; fascisti e tedeschi esercitarono una qualsiasi autorità su Cerreto, che si comportò come un comunità liberata».
La spiegazione di questa eccezionale condizione è nel fatto che il paese tutto si trovò unito, creò una propria autonoma organizzazione del potere: «Un gruppo di persone (ufficiali dell’ esercito, personaggi antifascisti; sacerdoti; comandanti partigiani) trovò un accordo sul commissario prefettizio e stabilì alcune regole che permisero alla comunità di organizzarsi civilmente, di condurre una politica di tutela della popolazione, di mantenere una forte e ordinata formazione partigiana, che fu in grado di compiere le due più significative operazioni partigiane militari delle Marche». Cerreto dunque non salvò la sua autonomia facendosi da parte, semplicemente rendendo troppo costoso e inutile ogni tentativo tedesco e fascista di ristabilire il controllo del territorio, ma salvò la sua autonomia partecipando attivamente alla guerra nazionale di liberazione. Per questo sembra di poter condividere la orgogliosa affermazione dell’ autore sulla esistenza di una «piccola repubblica autonoma di Cerreto d’Esi».
Ma la condizione per arrivarvi fu un comportamento che coinvolse tutta la popolazione in un operoso impegno collettivo. E qui siamo al secondo motivo che rende questo libro particolarmente interessante nel quadro delle polemiche suscitate dal revisionismo degli anni Novanta. Come è noto, due sono i motivi centrali delle tesi revisioniste: il primo è quello della «lunga zona grigia» di indifferenza e passività fra le due posizioni minoritarie in lotta crudele fra loro, quella dei resistenti e quella di coloro che si batterono per la Repubblica di Salò; il secondo è quello della crisi della nazione, quale si era faticosamente venuta formando negli anni del Risorgimento e dell’ Italia unitaria, nella tragedia del!’ 8 settembre, che diventa la data simbolo della «morte della patria». La conseguenza di queste idee largamente proposte e diffuse a livello di opinione pubblica è stata quella di tagliare per così dire le radici stesse della Repubblica e della Costituzione con l’ evidente e spesso esplicito intento – ed effetto politico – di dare fondamento ad una radicale continuità. E’ evidente che se è fondata l’immagine di un paese immerso nella zona grigia, se la Resistenza è un fatto sostanzialmente marginale, allora l’ 8 settembre e non più il 25 aprile diventa l’elemento centrale di tutta la vicenda; la Costituzione non ha più un riferimento forte nella Resistenza; non ha d’altra parte un fondamento in una tradizione nazionale italiana travolta dalle vicende belliche; la Costituzione perde rilievo storico e torna ad essere tutto e solo un compromesso fra i partiti. Così tutto l’edificio della Repubblica resta privo di fondamento e la Costituzione perciò destinata ad essere archiviata con il superamento di quel quadro storico e con la scomparsa di quei soggetti politici. Queste interpretazioni; proprio per le reazioni che hanno suscitato, hanno contribuito alla maturazione di una più comprensiva visione di quel periodo storico alla quale questo libro di Ciccardini porta un ulteriore significativo contributo. L’immagine della zona grigia è inaccettabile e Ciccardini non manca di dichiararlo esplicitamente: la popolazione del suo piccolo paese (come la popolazione italiana nel suo insieme) non fu inerte e indifferente di fronte ai mille drammi umani provocati dall’8 settembre: i soldati allo sbando furono accolti e rivestiti; inglesi e americani in fuga dai campi di prigionia furono ospitati e nascosti a rischio della vita, molti ebrei furono salvati. Il fenomeno del rifiuto della chiamata alle armi da parte della Repubblica sociale, che a livello nazionale coinvolge circa il 40 % dei giovani (e delle loro famiglie), ha nel paese di Cerreto piena conferma. È stata ricuperata anche per merito del presidente Ciampi la complessa realtà della resistenza dei militari, rimasta in ombra nella storiografia di sinistra perché si trattava dei “badogliani”. Sono stati ricuperati alla resistenza gli ufficiali e i soldati che resistettero nei lager per fedeltà al giuramento al re. Ebbene a Cerreto la resistenza è organizzata e guidata da militari. Vi è nella esperienza di questo paese una conferma di una tesi che mi è particolarmente cara: il rifiuto della violenza e l’accentuarsi della volontà di pace non sono sentimenti “grigi”, e non saranno di fatto irrilevanti per un’ opera di ricostruzione della convivenza civile. In questi spazi si colloca il ruolo della presenza cattolica intuito da Chabod ma poi confinato nella categoria dell’attendismo. A Cerreto il parroco, non solo svolge il compito che è proprio della stragrande maggioranza del clero italiano di proporre al popolo un messaggio che è sostanzialmente alternativo a quello fascista e di porsi come elemento di salvaguardia di valori fondamentali di convivenza e di rispetto delle persone umana in quanto tale) a prescindere dalle scelte politiche, ma svolge un ruolo attivo nella gestione delle piccola “repubblica”. Si ha l’impressione dalle pagine di Ciccardini di una lotta di resistenza armata dura ma senza odio e crudeltà; e intorno a questa lotta una vasta zona di resistenza civile che alla fine coinvolge tutto il paese. Bello e pienamente condivisibile il passaggio in cui si sottolinea il ruolo del mondo femminile: in una concezione ampia della Resistenza, che non si limita alla lotta armata, le donne hanno una parte centrale. Dobbiamo dire ormai con chiarezza che il prendere le armi non si può considerare l’unica forma di partecipazione e di coinvolgimento, senza cedere proprio a quella concezione della Resistenza che i comunisti proponevano con la loro accanita polemica contro gli attendisti. È il concetto stesso di Resistenza che va ripensato, recuperando il significo originario del resistere. Insomma il fenomeno della lotta armata, che conserva tutto il suo valore, non può essere isolato dalle innumerevoli forme di “resistenza civile”. Vi è una ricostruzione dal basso delle ragioni della convivenza e perciò della identità collettiva che lo storico deve attentamente osservare. Ebbene questo libro di Bartolo Ciccardini conferma a pieno questa nuova e più comprensiva interpretazione della Resistenza. Si è discusso e si discute sulla possibilità di creare una memoria condivisa di quelle vicende che superi le lacerazioni del passato: anche su questo l’autore, in una pagina commossa, alla fine del libro, dedicata al ricordo di due compagni di classe che hanno fatto scelte opposte, propone una giusta ed equilibrata indicazione. Credo che dobbiamo essere grati ad un politico che, al termine di un lungo impegno attivo nella vita pubblica, sente il gusto ed assume la responsabilità di dare un contributo alla ricerca di una identità storica, oggi gravemente minacciata. Pietro Scoppola