ANPC Nazionale

Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

“Pai nestris fogolârs”- Notiziario dell’Associazione Partigiani Osoppo-Friuli

ANNO VI – n.  84  –  20 febbraio 2025

DUE LIBRI PER UN ANNIVERSARIO
Il 7 febbraio scorso ricorreva l’80° anniversario di quello che è conosciuto come l’Eccidio delle malghe di Porzûs. È utile ricordare, soprattutto ai giovani che si avvicinano a questa vicenda per coglierne le dinamiche e darne un senso, che queste furono assai complesse. La prima fase si svolse, in quella data, alle malghe di Topli Uorch dove vennero uccise quattro persone (il comandante Francesco De Gregori, il delegato politico Gastone Valente, una giovane Elda Turchetti e un giovane di Gruaro che stava giungendo alle malghe proprio in quelle ore per aggregarsi alla Osoppo, Giovanni Comin). La seconda, vide il suo epicentro nella zona del Bosco Romagno dove, nelle giornate che vanno dall’8 al 18 febbraio, furono uccisi quattordici dei sedici partigiani della Osoppo precedentemente catturati alle malghe. L’ultima, nel mese di aprile, alla vigilia della liberazione, quando furono uccisi a Rucchin di Grimacco i tre partigiani osovani appartenenti al reparto comandato da Francesco De Gregori, rapiti a gennaio a Taipana e tenuti prigionieri, fino ad allora, a Zavart di Drenchia.
Ventuno caduti in quello che viene considerato uno degli eventi più drammatici della Guerra di Liberazione, non certo per il numero dei caduti, ma per la triste e spietata logica che ne sottende.
Colpisce l’attenzione che viene dedicata a questa vicenda anche perché, più trascorre il tempo, più l’eccidio delle malghe assume una dimensione nazionale e, per certi aspetti, anche europea.

L’Associazione, quest’anno, ha voluto ricordare l’episodio in due momenti: il primo in occasione del 7 febbraio, data che da sempre è stata simbolicamente considerata come quella dell’eccidio. In questa giornata si sono svolte alcune cerimonie a ricordo dei caduti osovani: la prima a Roma, dove è stato inaugurato un Giardino intitolato ai Caduti dell’eccidio di Porzûs. In Friuli, assieme ai sindaci dei comuni interessati (Udine, Cividale del Friuli, Casarsa della Delizia, Faedis, Tarcento) abbiamo posto una corona d’alloro sulla tomba degli osovani uccisi a Porzûs.
In quella stessa giornata è giunto il messaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale ha reso onore alla Osoppo Friuli che “fu protagonista nella lotta di liberazione, partecipando alla costituzione delle zone libere Nimis, Attimis e Faedis, di quella della Carnia e dell’Alto Friuli: settecentoventicinque i patrioti della formazione caduti in combattimento. La Repubblica si inchina nel ricordo dei valorosi partigiani del Gruppo Divisioni Osoppo.” Esprimendo poi la riconoscenza “all’Associazione Partigiani Osoppo-Friuli, che tiene viva la memoria di un glorioso impegno e di un momento tra i più tragici della nostra storia nazionale.”

Il secondo momento si terrà domenica 23 febbraio, con la tradizionale cerimonia commemorativa che si terrà a Faedis, a Canebola e alle stesse malghe di Topli Uorch, alla quale parteciperanno il Presidente della Regione Massimiliano Fedriga e il Ministro dei Rapporti con il Parlamento, sen. Luca Ciriani, in rappresentanza della Presidente del Consiglio.
Fra questi due eventi, separati da una quindicina di giorni, sono stati resi pubblici due testi rilevanti e che, riteniamo, abbiano un grande valore storico.
Iniziamo dal primo, curato dalla nostra Associazione, intitolato I CADUTI DI PORZÛS dove sono raccolti i profili dei ventuno caduti osovani. È un testo considerevole perché, dopo mesi di approfondite ricerche siamo riusciti, grazie anche alla collaborazione istaurata con il Ministero della Difesa, ad assemblare le notizie relative a tutte le vittime: erano presenti, infatti, degli errori nei dati personali (nomi, date di nascita, provenienza, etc.), così come mancavano le informazioni sui percorsi che avevano portato quei giovani a far parte del reparto osovano stanziato alle malghe. Mesi e mesi di non facili ricerche presso gli archivi, le amministrazioni comunali e i parenti, per giungere ad un quadro finalmente completo. Si è trattato di un atto doveroso anche per chiudere, si spera definitivamente, le innumerevoli discussioni sugli inevitabili errori in cui erano incorse le ricostruzioni giudiziarie e storiche.

Il secondo libro è quello curato dal prof. Tommaso Piffer, dell’Università di Udine, dal titolo SANGUE SULLA RESISTENZA STORIA DELL’ECCIDIO DI PORZÛS, che raccoglie i risultati delle ricerche che lo stesso studioso ha svolto in questi anni.
È un libro che nasce dall’ autonoma iniziativa dello stesso storico, ma a cui la nostra Associazione guarda con particolare interesse anche perché, così a noi sembra, mette la parola fine alle tragiche motivazioni che hanno portato all’eccidio. Possiamo parlare del disvelamento di una logica che è da sempre sotto gli occhi di tutti, ma che per mille ragioni non si era voluta vedere.
Due libri, per questo importante anniversario, che finalmente ci offrono un quadro nitido e sfrondato da orpelli spesso costruiti ad arte.
Di seguito riportiamo le recensioni delle due pubblicazioni, curate dalla dottoressa Gabriella Bucco, che ringraziamo di cuore per la gentile collaborazione.

Storia dell’eccidio di Porzûs, il nuovo libro di Tommaso Piffer. Sulla base di documenti inediti la strage non va ricondotta solo alla storia del confine orientale, ma va inserita nel contesto globale della Seconda guerra mondiale e nelle vicende del Partito comunista italiano.

«Una storia del ‘900 semplice nella sua brutalità, dove si elimina l’avversario visto come ostacolo alla realizzazione di uno scopo politico» così lo storico Tommaso Piffer riassume il suo ultimo volume Sangue sulla Resistenza Storia dell’eccidio di Porzus (Mondadori, 2025, pp.260, 23 euro).
Una storia cui Piffer, da storico di vaglia, riesce a dare finalmente una visione complessiva collegando tutti i dati a disposizione e avvalendosi di documenti inediti come i due verbali del Comitato provinciale del Partito Comunista Sloveno e dell’OZNA datati 5 e 6 dicembre 1944 e conservati nell’Archivio di Stato di Lubiana, riconsiderando documenti noti, consultando i libri parrocchiali, gli atti processuali dal 1945 al 1960, i giornali, tutta la bibliografia successiva.
Un libro piacevole da leggere scritto in una prosa avvincente e che potrebbe diventare la sceneggiatura di un film o di una fiction, senza niente togliere alla serietà della ricerca storica: basti pensare al suo inizio in medias res con don Aldo Moretti, uno dei fondatori dell’Osoppo, alla ricerca dei 14 osovani assassinati in una zona di confine e che si imbattei in un muro di silenzio, fatto di paura. «Una omertà totale -dice Piffer- delle 100 persone che parteciparono all’assalto di Porzûs, 43 furono processati, ma degli altri 60 non sappiamo nulla, nessuno, in 80 anni, ha mai rotto il muro omertoso.»
Consiglierei di iniziare a leggere il libro iniziando dalla conclusione per passare poi all’introduzione e ai sei capitoli successivi disposti in ordine cronologico. Nel primo capitolo Alla frontiera tra due mondi si esamina il sorgere della questione nazionalista speculare nella Slovenia e nell’Italia fin dal 1866 quando l’Italia si impadronì della Benecia, cioè il territorio delle valli del Torre, del Natisone e la Val Resia dove vivevano dal VII secolo popolazioni slovene, che avevano mantenuto la propria identità durante il dominio veneziano e quello asburgico. Dopo il 1918 il Collio e la Venezia Giulia passarono al Regno d’Italia, che inglobò così 340.000 sloveni e 150.000 croati, una popolazione alloglotta che subì una snazionalizzazione forzata durante il fascismo. Fu questo il prologo dei successivi tragici avvenimenti. In questo capitolo e nei successivi si delinea la storia di questi territori contesi durante la Seconda guerra mondiale, quando la ex Jugoslavia fu divisa tra Italia, Germania, Bulgaria e Ungheria, e il sorgere dei movimenti della Resistenza, di cui Piffer ha già curato il volume Le formazioni autonome nella Resistenza Italiana, edito da Marsilio nel 2020. Due i capitoli dedicati ai preparativi e allo svolgimento dell’eccidio, mentre il filo degli avvenimenti si dipana fino al 2017 nell’ultima parte del libro con un occhio attento alla contemporaneità.
L’eccidio di Porzûs si inserisce in un contesto globale che già nel settembre 1943 vide il movimento di liberazione jugoslavo, dominato dal partito comunista, rivendicare l’annessione dei territori di confine con minoranze slovene e territori non sloveni, ma strategici, come Trieste. Una rivendicazione sulla linea del nazionalismo ottocentesco che si saldò con la volontà politica di espandere la rivoluzione socialista e si concretizzò con l’invio di truppe partigiane nel territorio di confine per rendere inevitabile l’annessione al regime di Tito.
Quando anche in Italia nacque la Resistenza, si rinviò la definizione del confine alla fine del conflitto per far fronte comune al nemico, ma nell’estate 1944 Tito fu riconosciuto da Churchill e temette che le truppe occidentali occupassero la Venezia Giulia e la Benecia impedendone l’annessione alla Jugoslavia. Il partito comunista sloveno ordinò ai partigiani italiani di passare alle dipendenze del IX Corpo jugoslavo spaccando così la resistenza.
Francesco De Gregori comandante dell’Osoppo rifiutò, rendendosi conto che ciò sarebbe stato funzionale all’annessione alla Jugoslavia, ma il movimento di liberazione sloveno impose alla divisione Garibaldi comunista la scelta tra la difesa degli interessi nazionali italiani e quella di sostenere la rivoluzione socialista aiutando l’annessione, una decisione che nessun altro comunista aveva dovuto prendere in Italia. Come dimostrano i già ricordati verbali delle riunioni del Comitato del partito comunista sloveno e della polizia segreta di Lubiana, pubblicati in appendice del libro e a cui parteciparono i comandanti della Natisone, Piffer scrive che «la documentazione disponibile…non lascia alcun dubbio il comando della Natisone non solo acconsentì, ma pianificò un’azione militare che prevedeva l’eliminazione fisica di tutti i partigiani osovani…ed è al comando della Natisone che si deve ricondurre la genesi dell’operazione e il clima di odio che la rese possibile». Forse addirittura con un supplemento di brutalità rispetto ai documenti sloveni in cui non mancano inviti alla cautela nella consapevolezza delle conseguenze internazionali della vicenda.
Fu una scelta ideologica per favorire la rivoluzione socialista, inserendo l’eccidio di Porzûs nell’ambito più vasto di uno scontro globale con diramazioni in tutta Europa. L’eccidio compiuto dai GAP di Toffanin integrati con elementi della brigata Gramsci, deciso nel novembre 1944, fu differito al 7 febbraio 1945 accompagnato da una campagna diffamatoria contro l’Osoppo, che continuò anche nel dopoguerra scaricando le colpe sui GAP, inseriti nella Natisone, e poi sugli jugoslavi.
Scrive Piffer che «l’eccidio di Porzûs non va ricondotto solo alla storia del confine orientale, ma anche alla storia del Partito comunista italiano e della sua transizione dalla prospettiva insurrezionale a quella democratica…alle malghe di Porzûs si sovrapposero le tre grandi fratture che hanno segnato tutta la storia del Novecento in Europa»: la lotta tra fascismo e antifascismo, la frattura nazionale tra italiani e sloveni per il controllo dello stesso territorio e quella ideologica tra forze comuniste e anticomuniste.
Interessante la metodologia usata da Piffer, che grazie alla collaborazione con gli storici sloveni e in particolare Nevenka Troha, ha cercato di comprendere anche umanamente il rapporto difficile tra italiani e sloveni studiando «una storia terribile -osserva-dove ognuno ha cercato di avanzare la sua posizione spesso calpestando l’altro e che noi dobbiamo esaminare, prima ancora di giudicare e di condannare, con una prospettiva serena, sapendo che il male è nell’uomo e che questa è una storia tragica, dove ognuno ha fatto male all’altro più che poteva, con diversi gradi di brutalità».
Un libro che, scrive Piffer, «tenta di uscire dalle trincee dalle quali per lungo tempo sia gli storici sia l’opinione pubblicato hanno combattuto la battaglia sulla storia e sulla memoria di Porzûs…il racconto di una strage nella quale l’eroismo, la generosità, la paura, la brutalità e l’odio di cui gli uomini sono capaci si intersecano con le grandi forze che muovono la storia. Lasciando però ogni uomo libero di scegliere il proprio destino, e lo storico e il lettore liberi di guardare con pietà e compassione la storia di chi ci ha preceduto».
Possiamo, dopo 80 anni, considerare chiusa la vicenda? Piffer risponde «No, la storia è sempre suscettibile di revisioni. Molti dettagli non sono noti e forse non lo saranno mai, anche se a mio parere il senso storico e politico della vicenda è chiaro. Potremmo consegnare l’eccidio di Porzûs al passato a due condizioni: la prima è dire la verità, non c’è verità senza giustizia e riconciliazione senza verità. La seconda è sottrarre la storia alla politica, che da una parte e dall’altra la usa come strumento di lotta lacerante.»

La recensione riprende quanto da me scritto e pubblicato sul numero 7 del settimanale La Vita Cattolica di mercoledì 12 febbraio 2025 e il libro è stato presentato a Udine in anteprima per i soci dell’Osoppo da Roberto Volpetti e alla presenza di Paola Del Din sabato 8 febbraio in occasione dell’Ottantesimo anniversario dell’eccidio. In febbraio ci saranno due presentazioni pubbliche del volume Sangue sulla Resistenza. Storia dell’Eccidio di Porzûs (Mondadori) alla presenza dell’autore Tommaso Piffer, direttore scientifico di Friuli Storia: sabato 22 febbraio alle ore 18.00 a Udine nell’Auditorium delle Grazie di via Pracchiuso 21 con Andrea Zannini dell’Università di Udine e a Cividale nella Chiesa di Santa Maria dei Battuti giovedì 27 febbraio alle ore 18.30 con Paolo Mosanghini, vice direttore del Messaggero Veneto.

Gabriella Bucco

I CADUTI DI PORZUS

In concomitanza con il libro di Tommaso Piffer è stato presentato sabato 8 febbraio il libretto I caduti di Porzûs. Gli osovani uccisi a Topli Uorch, Bosco Romagno e Rucchin di Grimacco contenente in 21 schede le biografie dei caduti osovani. Il libro, edito dall’Associazione Partigiani Osoppo Friuli, è stato curato da Roberto Volpetti, mentre le schede biografiche dei caduti sono state redatte da Andrea Monopoli.

La necessità di rivedere i dati anagrafici dei caduti è nata nel 2022 a seguito della proposta di onorificenza avanzata al Ministero della Difesa, e per la necessità di rettificare alcuni errori e imprecisioni relativi ai profili dei caduti. Le relative schede sono state compilate da Andrea Monopoli che si è preoccupato del corredo iconografico che ha potuto restituire un volto alle vittime, raccogliendo anche informazioni biografiche direttamente dalle diciassette famiglie che è stato possibile rintracciare.
Una breve introduzione descrive in modo aggiornato la storia dell’eccidio che si svolse in luoghi e tempi diversi ricostruendo la storia dei fatti fino al 2012 quando il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano visitò le malghe di Porzûs, qui indicate con il toponimo sloveno Topli Uorch. Ai caduti di Porzûs e Bosco Romagno sono stati aggiunti quelli di Rucchin nel Comune di Grimacco arrestati il 16 gennaio 1945 a Taipana dagli sloveni e ritrovati cadaveri alla fine della guerra, da sempre accostati all’eccidio. I caduti sono stati raggruppati a seconda del luogo di uccisione. Come si noterà, tra i caduti molti sono i soldati e i carabinieri meridionali che si erano aggregati alla Osoppo dopo che l’armistizio li aveva colti nel territorio dei Balcani e nella ex Yugoslavia. Impossibilitati a raggiungere i loro reparti non si si erano consegnati ai tedeschi, ma si erano arruolati nella Osoppo formata da molti soldati e ufficiali che avevano combattuto in Grecia e nell’Armir.

Il 7 febbraio 1945 furono giustiziati dai GAP, comandati da Mario Toffanin, a Porzus il comandante dell’Osoppo Francesco De Gregori, il delegato politico Gastone Valente, l’unica donna del gruppo Elda Turchetti e Giovanni Comin che stava arrivando alle malghe.
Presi prigionieri a Porzûs, furono invece fucilati in vari luoghi vicino a Bosco Romagno i carabinieri Angelo Augello, Antonio Previti, Salvatore Saba, Giuseppe Sfregola, Erasmo Sparacino, Giuseppe Urso; Antonio Cammarata, Franco Luigi Celledoni, Enzo D’Orlandi, il finanziere Pasquale Mazzeo, Gualtiero Michielon, Guidalberto Pasolini, fratello di Pier Paolo, Primo Angelo Targato, Egidio Vazzaz il cui cadavere non fu mai ritrovato.

A Rucchin di Grimacco furono uccisi il 12 aprile 1945 i carabinieri Mario Gaudino, Nunziato Rizzo e Antonio Turlon, catturati da una pattuglia slovena il 16 gennaio e la loro morte è sempre stata messa in relazione con l’eccidio di Porzûs.

Bucco Gabriella

DOMENICA 23 FEBBRAIO LA CERIMONIA COMMEMORATIVA DELL’ECCIDIO DELLE MALGHE DI PORZUS

UNA TRAGEDIA PER TRE POPOLI: UN INTERESSANTE CONVEGNO A TRIESTE

Le vicende del confine orientale alla fine della Seconda guerra mondiale che hanno coinvolto tre popoli, italiano, sloveno e croato, sono stati oggetto di un interessante convegno nella sala dedicata ad Adriano Biasutti nella sede triestina della Giunta regionale. La tragedia evocata nel corso dei lavori, ha il volto di tre martiri, che la Chiesa ha beatificato: Francesco Bonifacio, Lojze Gronde e Mirislav Bulesic.
Dopo i saluti del Sindaco di Trieste, Roberto Di Piazza e dell’Assessore regionale Pierpaolo Roberti, è intervenuto il Presidente dell’APO Roberto Volpetti che ha portato il saluto della Associazione e ha ricordato come l’APO da vari anni abbia sostenuto la realizzazione del Convegno, segnalandone l’importanza ai fini di una memoria storica in grado di cogliere le straordinarie complessità degli avvenimenti che si concentrarono sul Confine Orientale e che hanno visto il crearsi di una faglia che inizia a Malga Bala e, passando per le malghe di Porzus, i Colli Orientali del Friuli, Gorizia, Trieste e giungendo sino all’Istria, alla Dalmazia e a Fiume.
L’argomento è stato poi introdotto dal Presidente della Lega Nazionale Paolo Sardos Alberini che ha ricordato le lacerazioni all’origine di quanto accaduto non qualificabili come violenza spontanea, ma sorrette dall’ideologia.
Ampia e completa è stata la relazione di Andrea Legovini che ha innanzitutto individuato le forze in campo, prendendo spunto dal tentativo di passaggio in Carinzia di quanti temevano le vendette titoiste e poi purtroppo consegnati ai loro carnefici dagli inglesi.
Nel 1941 la Jugoslavia aveva firmato un patto di reciproca non aggressione con Italia e Germania, ma gli inglesi promuovono un colpo di stato ed un cambio di alleanze. Sino all’invasione della Unione Sovietica i comunisti jugoslavi non entrano in campo contro i tedeschi lasciando al solo Mihailovic, monarchico, l’onere della resistenza.
Con Tito croato vi sono il serbo Gilas, il montenegrino Rankovic e lo sloveno Kardely e presto ricevono l’appoggio di Churchill in quanto più efficienti e danno vita a una guerra non solo contro i tedeschi, ma anche contro i loro compatrioti non comunisti. La polizia segreta OZNA è al comando delle azioni criminose volte ala eliminazione delle forze non comuniste.
Paolo Sardos Alberini sottolinea nella sua relazione come i rapporti fra Italia e Jugoslavia non fossero affatto conflittuali. Solo dopo il golpe dei generali nel 1941 lo sono divenuti. E’ stata la Jugoslavia a dichiarare guerra all’Italia e non viceversa. I croati oppresso dalla Serbia accolgono i tedeschi come liberatori e la costituzione della italiana provincia di Lubiana è chiesta dai maggiorenti locali non imposta. Il Presidente della Lega Nazionale ha quindi ripercorso la carriera di Tito spiegando come il nome derivi da una marca russa di pistola.
Il professor Renato Cristin, filosofo, con una severa relazione senza mezze misure, ha smantellato l’ideologia e la prassi del comunismo basato sulla menzogna, il terrore, l’odio alla religione specie cattolica.
Monsignor Ettore Malnati a sua volta ha affermato come il marxismo leninismo sia odio alla religione, di cui ne sono stati vittime oltre che i tre beati, anche il vescovo di Trieste e Capodistria mons. Antonio Santin e l’arcivescovo di Zagabria, mons. Alojzjie Stepinac, inviato prima ai lavori forzati poi agli arresti domiciliari.
Ha chiuso i lavori l’arcivescovo emerito mons. Giampaolo Crepaldi che si è soffermato sui valori dell’Europa e sul significato del martirio, non dimenticando di aggiungere brevi e coerenti osservazioni anche sull’attualità.

Roberto Tirelli

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