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Petrolio in un articolo di Silvio Mengotto

In Petrolio Pier Paolo Pasolini scrive la storia dell’ENI e di Enrico Mattei il suo primo presidente. Ne parla nell’articolo di seguito Silvio Mengotto.

Pasolini: “Io so”

In Petrolio Pier Paolo Pasolini scrive la storia dell’ENI e di Enrico Mattei il suo primo presidente. Per capire queste pagine bisogna riavvolgere il nastro di una storia oscura iniziata all’idroscalo di Ostia dove, il 2 novembre 1975, Pasolini viene barbaramente ucciso. I filmati dell’epoca riportano le immagini di una folla caotica sul luogo dell’uccisione di Pasolini. Lo stesso caos che circondava l’auto rossa dove Aldo Moro era stato ucciso dalle Brigate rosse in via Fani. Ricomponendo i pezzi del puzzle si è arrivati a formulare tre ipotesi e una sola certezza. La notte della mattanza Giuseppe Pelosi non era solo. “Se si codifica – dice Walter Veltroni – la certezza cambia tutta la lettura dell’omicidio di Pasolini”. L’unico che aveva capito questa certezza è l’avvocato Alfredo Carlo Moro, fratello di Aldo Moro, giudice dei minori. Nella sua indagine sull’uccisione di Pasolini disse che il Pelosi aveva agito in concorso con altri.

“La verità vi farà liberi”

Questa verità, anzi questa certezza, Pelosi se l’è portata nella tomba. Nel 2011 Giuseppe Pelosi, alla presentazione di un libro, volle incontrare Veltroni al quale, sull’episodio all’idroscalo di Ostia, confidò circostanze confuse dove, al loro interno, custodivano la verità. Veltroni ricorda un Pelosi ancora spaventato. I mandanti della mattanza, ancora vivi, ricattavano la famiglia Pelosi. “La paura – disse Veltroni – è stato l’elemento di tutta la sua vita”. Un Pelosi imbavagliato nel silenzio. Per questo è assurda la versione di un incontro con Pelosi, allo scopo di restituire la pellicola rubata del suo ultimo film Salò o le 120 giornate di Sodoma, finito male. Pasolini avrebbe pagato la somma del ricatto e tutto si sarebbe concluso senza violenza. Perché Pasolini viene ucciso con una atrocità bestiale? Rimangono due ipotesi che si sposano perfettamente. Pasolini stava scrivendo da tempo Petrolio. Un anno prima, dalla sua morte, sul Corriere della sera (14 novembre 1974) pubblica l’articolo “Io so”. Da intellettuale, non da investigatore, nell’articolo scrive nomi e cognomi dei mandanti delle stragi che colpirono il Paese (P.za Fontana, Brescia, Bologna, etc), ma non aveva le prove. Con la stessa ansia per la verità Pasolini si era infilato nelle vicende dell’ENI, che grondavano di corruzione, lotte intestine, attorno alla nera figura di Eugenio Cefis, che aveva preso il posto di Mattei. Poco prima della sua morte Mattei cacciò Cefis dalla sua carica.

Petrolio raccoglie un insieme di capitoli, appunti dove emergono i personaggi di Carlo e Troya che rappresentano rispettivamente le figure di Enrico Mattei presidente ENI, ed Eugenio Cefis. Nell’Appunto 21 “Lampi su Eni”, pubblicato successivamente, Pasolini fa precisi riferimenti su come inserire il capitolo e cosa deve riportare. I discorsi di Cefis servivano a dividere in due parti il romanzo perfettamente simmetrico, un passaggio chiave del libro. L’Appunto 21 descrive Cefis come esponente di un nuovo potere clerico-fascista, collegato ad ambienti mafiosi che le sinistre ignoravano totalmente. Per Pasolini l’ENI è il simbolo del potere e Carlo, cioè Mattei, è l’uomo influente in quel periodo di ricostruzione del Paese e acerrimo antagonista di Eugenio Cefis.

L’altra ipotesi sull’uccisione di Pasolini è quella che un gruppo di neofascisti, forse spalleggiati dalla mala vita, lo abbia ucciso sia per dargli una lezione, sia per le sue idee che cercavano sempre verità scomode e nascoste.

Profezie inascoltate

Gli anni settanta ricordano la strage di Brescia (’74), il rischio di un golpe, un Paese attraversato da forti contraddizioni sociali. Per Pasolini sono anni di melma, di un consumismo esasperato, di un falso progresso denunciato con coraggio e in solitudine. La fotografia alla biennale di Venezia, scattata da Marco Tullio Giordana, immortala Aldo Moro con Pier Paolo Pasolini entrambi morti tragicamente senza una verità acquisita. Gli omicidi chirurgici di Moro e Pasolini avvengono in una Italia ancora attraversata dalla guerra fredda, realizzati da menti sopraffini. Con lucida criminalità colpiscono gli anelli strategici di un possibile cambiamento che, ognuno nel suo spazio, Pasolini e Moro rappresentavano nella loro vita.

Pasolini aveva una sua visione del cambiamento nella società. Poche ore prima della sua morte rilasciò un’intervista cruda e spiazzante. Con disarmante capacità profetica Pasolini denunciava che in Italia la forbice tra ricchi e poveri si allargava, mentre il consumismo prometteva a tutti un futuro che non sarebbe mai arrivato. Rileggendo i saggi giornalistici di Pasolini (Lettere luterane e Scritti corsari) fanno più impressione di quanto facessero nel momento della loro pubblicazione. In questi articoli troviamo tutto lo spessore, il carattere, di Pasolini: dolore, provocazione, solitudine, persino con i suoi amici più cari (Moravia, Calvino). Emerge il senso della sofferenza per la sua condizione di omosessuale perseguitato a vita, anche da chi lo avrebbe dovuto difenderlo. Chiara, spiazzante anche oggi, l’idea che sviluppo e progresso si stavano separando. Per Pasolini il totem del consumismo ha creato una omologazione al ribasso che incarcerava le persone nel modernissimo “penitenziario dei consumi”. Il consumismo cancellava anche la meraviglia delle differenze e dei dialetti, riducendo le persone in “merce” da scartare, barattare. Un consumismo che iniziava ad aggredire la natura, il paesaggio, un vero scempio.

Sul tema dell’aborto la posizione di Pasolini non è quella di un integralista cattolica. “Voi siete – accusava Pasolini – favorevoli all’aborto perché non avete il coraggio di mettere in discussione i pregiudizi che avete sulla sessualità”. Pasolini è sempre stato contro l’aborto, ma per la sua legalizzazione perché voleva fermare la criminale pratica clandestina dell’aborto. Sul Corriere della sera, il 20 marzo 1975, scrive: “Chi è a favore dell’aborto? Nessuno, evidentemente. Bisognerebbe essere pazzi per essere a favore dell’aborto. Il problema non è di essere a favore o contro l’aborto, ma a favore o contro la sua legalizzazione. Ebbene io mi sono pronunciato contro l’aborto, e a favore della sua legalizzazione. Naturalmente, essendo contro l’aborto, non posso essere per una legalizzazione indiscriminata, totale, fanatica, retorica. Quasi che legalizzare l’aborto fosse una vittoria allegra e rappacificante. Sono per una legalizzazione prudente e dolorosa”.

11 giugno 2024                                                                Silvio Mengotto

Nelle foto la locandina del libro e una fotografia al festival di Venezia (1964) di Aldo Moro con Pasolini citati nell’articolo

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