ANPC Nazionale

Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

Archivi per il mese di “giugno, 2024”

7 luglio – Commemorazione 80° anniversario della Strage dei 67 martiri di Fossoli

80° anniversario Strage dei 67 martiri di Fossoli
domenica 7 luglio | ore 9.15 | Campo di Fossoli | via Remesina Esterna 32 | 
> Ingresso libero e gratuito, senza prenotazione
> Diretta streaming sulla pagina facebook della Fondazione Fossoli 


Interverranno:
Riccardo Righi Sindaco di Carpi
Manuela Ghizzoni Presidente Fondazione Fossoli
Marco Steiner Cda Fondazione Fossoli
Marco De Paolis Procuratore Generale Militare


> Nel corso della cerimonia verranno consegnate simbolicamente le Pietre d’Inciampo intitolate ai 67 Martiri di Fossoli
> La cerimonia sarà accompagnata dal Corpo Bandistico “Città di Carpi”


Importante | Modalità di accesso al Campo di Fossoli
> Ingresso tassativamente dalle ore 8:45 alle ore 9:15.
> Viabilità e parcheggi: la via Remesina Esterna verrà chiusa al traffico alle ore 9:00. I parcheggi saranno su via dei Grilli, a circa 300 metri dall’ingresso del Campo.
> Le persone con difficoltà motorie potranno essere accompagnate dai familiari in auto sino all’ingresso del Campo, entro e non oltre le ore 9:00.
> Si raccomanda la massima puntualità. Non sarà possibile in alcun modo: transitare sulla via Remesina Esterna dopo le ore 9:00; entrare al Campo di Fossoli dopo le ore 9:15.


Marco De Paolis | Procuratore Generale Militare presso la Corte Militare d’Appello di Roma. È considerato uno dei maggiori esperti in materia giuridica di crimini di guerra della Seconda guerra mondiale, ha istruito e portato a dibattimento 18 processi, dal 2003 al 2012, per le più gravi stragi nazi-fasciste compiute in Italia durante la seconda guerra mondiale tra cui Monte Sole e Sant’Anna di Stazzema. È autore di numerosi saggi e pubblicazioni a carattere scientifico sul tema dei crimini di guerra e nel campo del diritto penale militare, tra cui: La difficile giustizia. I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia (1943-2013), Viella 2016; Sant’Anna di Stazzema. Il processo, la storia, i documenti, Viella 2016; Caccia ai nazisti, Rizzoli, 2023.


Il 12 luglio 1944, 67 internati politici, prelevati dal vicino Campo di concentramento di Fossoli, furono trucidati dalle SS naziste all’interno del poligono di tiro di Cibeno. Le vittime della strage provenivano da 27 province italiane, avevano diversa estrazione sociale e rappresentavano le varie anime antifasciste dell’epoca. Molti dei compagni di prigionia riferiranno nelle testimonianze e deposizioni successive che si trattava dei “migliori”; migliori perché anche all’interno del campo, dopo aver subito la durezza del carcere e pur vivendo nella costante incertezza della loro sorte, molti di loro non avevano ceduto e, anche in quelle condizioni difficili, continuavano il loro lavoro di resistenza.


La mattina del 12 luglio del 1944 per ordine della Gestapo sono prelevati dal campo di concentramento di Fossoli 69 internati politici, condotti al poligono di tiro di Cibeno per essere fucilati. Sono uomini con diverse esperienze e di età differenti, provenienti da varie regioni dell’Italia.
Tutti sono stati rinchiusi a Fossoli perché oppositori del nazifascismo. La sera precedente, dopo l’appello, 71 internati sono chiamati e avvisati di prepararsi alla partenza per la Germania. Dall’elenco sarà escluso Bernardo Carenini, mentre Teresio Olivelli riuscirà a nascondersi all’interno del campo. All’alba del 12 luglio, in tre riprese i 69 prigionieri sono caricati su camion e condotti al poligono di tiro distante pochi chilometri dal Campo. Vengono fatti allineare ai bordi di una fossa, che alcuni internati ebrei sono stati costretti a scavare il giorno prima, e ascoltano la sentenza: condanna a morte come rappresaglia per un attentato a Genova contro militari tedeschi. Si rivela inutile anche l’intervento del vescovo di Carpi, Vigilio Federico Dalla Zuanna, accorso sul luogo e la condanna a morte viene eseguita.
Solo due internati del secondo gruppo, Mario Fasoli e Eugenio Jemina, riescono a fuggire e a salvarsi nascosti dal movimento partigiano. Il 17 e il 18 maggio 1945, a meno di un mese dalla liberazione, ha luogo la riesumazione e il riconoscimento delle 67 vittime. Le esequie solenni si svolgono nel Duomo di Milano con grande e commossa partecipazione di cittadini.
Sulla strage di Cibeno ancora oggi, come per altre stragi che hanno insanguinato il Paese, si attende chiarezza e giustizia.

(pubblicato su: https://www.fondazionefossoli.org/news-ed-eventi/eventi/7-luglio-commemorazione-80-anniversario-strage-dei-67-martiri-di-fossoli/)

Celebrazione Battaglia del Manubiola 2024

In festa la Diocesi di Parma

Domenica pomeriggio  23 giugno, nel Duomo di Parma,  il vescovo Enrico Solmi ha consacrato sei nuovi diaconi. Fra questi il nostro socio ANPC Luigi Lughetti.

La nostra Associazione era rappresentata da Ferdinando Sandroni e  dal consigliere provinciale Gabriele Ferrari.  A Luigi, attivo sostenitore di ANPC, i nostri auguri di una proficua attività nella Chiesa di Parma.

La Presidente Garavaglia: “A Luigi Lughetti tanti affettuosi auguri da parte di tutta l’Anpc. Nei Suoi servizi porti nel cuore noi tutti e la nostra comune ansia di pace”.

Recensione del libro “Il prete partigiano Don Battista Testa”

Pubblichiamo la recensione di Claudio Consonni su il libro “Il prete partigiano. Don Battista Testa” di Ezio Meroni, Itaca (Castel Bolognese), 2022

Si legge molto volentieri il volume di Ezio Meroni su “il prete partigiano Don Battista Testa”. Una lunga biografia che parte dalla nascita, avvenuta il 17 marzo 1916 in una cascina della pianura bergamasca che ricorda il famoso film di Ermanno Olmi, per finire agli anni da Parroco nell’ altro piccolo ambiente di Premezzo (Va), agli opposti estremi geografici ambrosiani. Il protagonista è Battista Testa che sin da bambino rivela interesse e propensione per la vita religiosa, entra nel “seminarietto” del Duomo di Milano e pensa in grande e cioè alle Missioni.

Il libro accompagna la vicenda grazie ad un album fotografico di rara completezza che Meroni ha avuto la fortuna di maneggiare e ad un certo punto si lascia scappare un: “basta vedere…” che non può che incuriosire il lettore. Meroni infatti utilizza al meglio e pubblica alcune delle ottime foto con le chiare didascalie manoscritte. L’antifascismo del giovane, poi seminarista e sacerdote, cresce di pari passo a quello di molti connazionali a fronte degli azzardi del Duce sia nell’entrata in guerra contro la Francia che, soprattutto, nel diventare burattino di Hitler.

Ordinato nel Duomo di Milano il 18 maggio1940 svolge il compito di coadiutore per soli venti mesi in Sesto San Giovanni per poi dopo un trasferimento “non per demeriti. – scrive Meroni senza spiegare – semmai il contrario” passare alla quasi confinante parrocchia di Cinisello. Molte pagine del Meroni, storico locale molto documentato, aiutano a comprendere e contestualizzare tantissime vicende allargandole al Comune e quindi andando in parallelo sui sacerdoti delle due parrocchie.

L’attuale importanza e la densità abitativa del Comune di Cinisello Balsamo, attraversato dalla A4 poco sopra Milano, richiede uno sforzo al lettore per raffigurarsi la consistenza che trovò il Cardinal Schuster nelle sue “Peregrinazioni apostoliche 1941-1944”. Cinisello contava 8.500 anime e Balsamo 4.200; questa era la popolazione “in continuo aumento per i vicini stabilimenti industriali” con la quale aveva a che fare Don Battista e il volume cita molti capifamiglia protagonisti per vari aspetti della vita civile e religiosa. Anche la scelta fascista di unificare i due vecchi ma vivaci Comuni non convinse nessun residente il 13 settembre del 1928 ma nemmeno nei decenni a seguire.

Oltre a guida non solo spirituale, Don Battista svolge compiti partigiani di responsabilità quando ospita la radio della missione Nemo con questo o quell’operatore clandestino e nasconde un soldato russo. Nel libro viene diverse volte ricordata la figura di Don Virginio Zaroli, antifascista sin dagli anni in Seminario, coadiutore a Villasanta anche se, a mio avviso, non vengono adeguatamente messe in relazione decisioni comuni. La scelta delle locali Brigate del popolo dopo la Liberazione di non consegnare tutte le armi, per precauzione a fronte del pericolo di una rivoluzione bolscevica e dunque fino al ‘47-48, non si limitò nemmeno a quei due paesi.

Molte pagine sono dedicate alla collaborazione, fino a poco dopo la Liberazione, tra cattolici e comunisti (riproposta in una sorta di postfazione ‘nascosta’ alla p. 272) e all’aspro confronto che è seguito nel ricordo e la reinterpretazione di alcune vicende della Resistenza.

L’ampio spettro geografico della guerra e della Resistenza è sotto gli occhi dei cinisellesi coi bombardamenti in loco, i molti su Milano e sul vicino aeroporto, sulle grandi fabbriche ma anche sulle Prealpi in cui si andava a portare rifornimenti e a combattere.

L’oro di Dongo e tutto ciò che evoca, secondo l’Autore, ancora oggi c’entra perché alcuni dei partigiani coinvolti nelle tragiche vicende connesse erano di Cinisello Balsamo. Il duro confronto che si è consumato in paese anzitutto sulle esecuzioni sommarie dei fascisti più in vista sempre in altre località, si svolse anche a suon di schiaffi, pugni, volantini, comunicati stampa e lettere al Cardinale. Come in altri paesi e città non sono mancate polemiche sulla distribuzione di aiuti economici durante la Resistenza, sugli impegni più o meno convinti e durevoli nei venti mesi nonchè sugli aiuti dopo la Liberazione.

Il libro come si vede dall’indice riportato dà conto di molti documenti e corrispondenze lasciando però la curiosità di poterne leggere integralmente un paio; non cita invece documenti o riconoscimenti partigiani, nemmeno americani, sulla partecipazione attiva all’Operazione Nemo, ma potrebbero non essere ancora stati rinvenuti.

Molto importante la stampa locale anche se non si riproducono le due interviste complete concesse nel 1975 da Don Battista, più volte richiamate e citate a brani. Tra le testate di stampa locale un certo punto compare il Cittadino, bisettimanale all’epoca cattolico di Monza e Brianza al posto del “Luce” dell’area di Sesto San Giovanni. Don Testa lascia la parrocchia di Cinisello prima per un periodo di convalescenza e poi per divenire Parroco in provincia di Varese il 29 ottobre 1950 e restare fino alla morte del 1986.

Le numerose foto pubblicate, oltre a quelle dell’album, sono state concesse dall’Archivio ANPI di Cinisello Balsamo e dagli Archivi storici del Seminario di Venegono e della Diocesi di Milano.

Nessuna prefazione apre il volume senza dunque impegnare Parrocchia, Comune associazioni locali o combattentistiche. La bibliografia è molto ricca come pure gli essenziali indici alfabetici delle persone e dei luoghi. L’autore ha potuto liberamente consultare gli archivi delle parrocchie interessate non solo a Don Battista (Treviglio e Cinisello) ma anche a quella di Balsamo e altri otto istituzionali lombardi.

Il prete partigiano. Don Battista Testa di Ezio Meroni, Itaca (Castel Bolognese), 2022

ENCICLOPEDIA della RESISTENZA PIACENTINA

E’ in rete, e invito a consultare, il sito dell’ENCICLOPEDIA della RESISTENZA PIACENTINA: www.enciclopediaresistenzapc.it

Si tratta di un’interessante opera di consultazione realizzata, grazie al contributo della Regione Emilia Romagna, dal Comitato Provinciale A.N.P.I di Piacenza con la collaborazione di

–          ANPC – Sede di Piacenza

–          ANCR- Sezione di Piacenza

–          ANFCDG- Comitato prov.le di Piacenza

COM’È STRUTTURATA L’ENCICLOPEDIA

Sintesi storica cronologica settembre 1943 – aprile 1945

–          voci enciclopediche con immagini, link, documenti storici, testi di approfondimento e video testimonianze

–          riproduzione documenti storici delle formazioni partigiane da Archivio ANPI Piacenza e documenti di altri fondi

–          elenco nominativo dei caduti partigiani con elementi biografici

–          accesso all’elenco nominativo dei partigiani piacentini (e di tutte le province emiliano romagnole) con i rispettivi dati personali

–          area con indicazioni e documenti per le ricerche scolastiche

Si prevede di completare l’enciclopedia, nelle sue diverse parti e con le voci fondamentali, nel 2025, 80° della Liberazione. In seguito ospiterà anche i risultati di nuove ricerche storiche.

GIACOMO MATTEOTTI:DOPO  CENTO ANNI DALLA SUA UCCISIONE NON PUO’ ESSERE DIMENTICATO

Lunedì 10 giugno 2024 tanti italiani, non tutti, hanno voluto ricordare la figura di Giacomo Matteotti in occasione del centesimo anniversario della sua barbara uccisione.

Dopo la presa del potere da parte del fascismo, a fine ottobre 1922, il governo guidato da Mussolini avviò subito la fascistizzazione dello Stato: la Milizia fascista divenne organo dello Stato, fu introdotto il Gran Consiglio del fascismo, fu adottata una nuova legge elettorale, maggioritaria, applicata nelle elezioni del 6 aprile 1924. Il 30 maggio 1924 Matteotti in un coraggioso e contestato discorso tenutosi alla Camera, denunciò le violenze e i brogli avvenuti in campagna elettorale e del modo in cui Mussolini e i fascisti, tramite lo stravolgimento della legge elettorale e con nuove violenze ed intimidazioni, nelle elezioni del 6 aprile di quell’anno si erano assicurati una maggioranza di oltre i due terzi dei parlamentari. Mussolini mandò espliciti segnali affinché il suo oppositore più tenace venisse eliminato. Se ne incaricò una banda criminale di squadristi – che fruiva di lauti finanziamenti e di protezioni altolocate –  e al mattino del 10 giugno Giacomo Matteotti fu preso mentre usciva di casa per recarsi al Parlamento, caricato di forza su una auto e ucciso subito a pugnalate. L’assassinio produsse al momento in Italia un’ondata d’indignazione, ma indicò anche quale sarebbe stato il destino degli oppositori al fascismo. Mussolini non ebbe così difficoltà a varare le leggi speciali liberticide che vietavano e reprimevano duramente ogni forma di opposizione alla sua dittatura. Il 3 gennaio 1925 Mussolini, in un discorso alla Camera, si assunse la “responsabilità politica, morale e storica” del delitto, avviando poi la soppressione delle libertà e della democrazia. Ma ai fascisti – che già con la violenza fino all’assassinio, e quindi con il terrore, avevano cacciato gli amministratori delle Province e dei Comuni liberamente eletti e abbattuto le libere organizzazioni del mondo del lavoro – non bastava essersi assicurato il dominio anche della Camera dei deputati. Non potevano nemmeno ammettere in quella alcuna voce critica. 

L’onorevole socialista Giacomo Matteotti, vissuto nella memoria popolare soprattutto per la sua barbara uccisione, è rimasto a lungo poco conosciuto nelle sue scelte e nella sua integrale testimonianza di uomo e di politico che aveva a cuore la libertà, la giustizia sociale, la nonviolenza, ci si è accontentati di intitolargli un’infinità di Vie, Vicoli e Piazze in tutta Italia, soprattutto dove andavano rimossi i nominativi più legati al regime. In questi giorni si sono tenuti gli esami di licenza media anche nella nostra città. Ci risulta che almeno per qualche classe è stato ignorato questo fatto che ha segnato la storia della nostra nazione: non è certamente un bel segnale; questi eventi andrebbero ricordati in tutte le aule delle scuole di ogni ordine e grado. Analoga dimenticanza, purtroppo l’abbiamo riscontrata anche in occasione dell’anniversario 23 maggio 1992, anniversario della Strage di Capaci con l’uccisione del Giudice Falcone e della sua scorta. Sono passati 32 anni da quel 23 maggio 1992 quando la strage di Capaci ha cambiato la storia della lotta alla mafia: in televisione abbiamo assistito a tante iniziative in tutta Italia con la presenza di tanti giovani studenti, invitiamo non solo le istituzioni, ma tutto il mondo dell’associazionismo a divulgare il seme della democrazia per non far calare il buio sulle coscienze.

 Le associazioni antifasciste riconfermano l’impegno a promuovere i valori fondanti della democrazia e dello sviluppo solidale e di cooperazione fra i popoli a presidio della pace che non ha colore politico.

                                                                                   A.N.P.I. Grande Fiume

                                                                                   A.N.P.C. di Codogno Gian Paolo Bergamaschi

Petrolio in un articolo di Silvio Mengotto

In Petrolio Pier Paolo Pasolini scrive la storia dell’ENI e di Enrico Mattei il suo primo presidente. Ne parla nell’articolo di seguito Silvio Mengotto.

Pasolini: “Io so”

In Petrolio Pier Paolo Pasolini scrive la storia dell’ENI e di Enrico Mattei il suo primo presidente. Per capire queste pagine bisogna riavvolgere il nastro di una storia oscura iniziata all’idroscalo di Ostia dove, il 2 novembre 1975, Pasolini viene barbaramente ucciso. I filmati dell’epoca riportano le immagini di una folla caotica sul luogo dell’uccisione di Pasolini. Lo stesso caos che circondava l’auto rossa dove Aldo Moro era stato ucciso dalle Brigate rosse in via Fani. Ricomponendo i pezzi del puzzle si è arrivati a formulare tre ipotesi e una sola certezza. La notte della mattanza Giuseppe Pelosi non era solo. “Se si codifica – dice Walter Veltroni – la certezza cambia tutta la lettura dell’omicidio di Pasolini”. L’unico che aveva capito questa certezza è l’avvocato Alfredo Carlo Moro, fratello di Aldo Moro, giudice dei minori. Nella sua indagine sull’uccisione di Pasolini disse che il Pelosi aveva agito in concorso con altri.

“La verità vi farà liberi”

Questa verità, anzi questa certezza, Pelosi se l’è portata nella tomba. Nel 2011 Giuseppe Pelosi, alla presentazione di un libro, volle incontrare Veltroni al quale, sull’episodio all’idroscalo di Ostia, confidò circostanze confuse dove, al loro interno, custodivano la verità. Veltroni ricorda un Pelosi ancora spaventato. I mandanti della mattanza, ancora vivi, ricattavano la famiglia Pelosi. “La paura – disse Veltroni – è stato l’elemento di tutta la sua vita”. Un Pelosi imbavagliato nel silenzio. Per questo è assurda la versione di un incontro con Pelosi, allo scopo di restituire la pellicola rubata del suo ultimo film Salò o le 120 giornate di Sodoma, finito male. Pasolini avrebbe pagato la somma del ricatto e tutto si sarebbe concluso senza violenza. Perché Pasolini viene ucciso con una atrocità bestiale? Rimangono due ipotesi che si sposano perfettamente. Pasolini stava scrivendo da tempo Petrolio. Un anno prima, dalla sua morte, sul Corriere della sera (14 novembre 1974) pubblica l’articolo “Io so”. Da intellettuale, non da investigatore, nell’articolo scrive nomi e cognomi dei mandanti delle stragi che colpirono il Paese (P.za Fontana, Brescia, Bologna, etc), ma non aveva le prove. Con la stessa ansia per la verità Pasolini si era infilato nelle vicende dell’ENI, che grondavano di corruzione, lotte intestine, attorno alla nera figura di Eugenio Cefis, che aveva preso il posto di Mattei. Poco prima della sua morte Mattei cacciò Cefis dalla sua carica.

Petrolio raccoglie un insieme di capitoli, appunti dove emergono i personaggi di Carlo e Troya che rappresentano rispettivamente le figure di Enrico Mattei presidente ENI, ed Eugenio Cefis. Nell’Appunto 21 “Lampi su Eni”, pubblicato successivamente, Pasolini fa precisi riferimenti su come inserire il capitolo e cosa deve riportare. I discorsi di Cefis servivano a dividere in due parti il romanzo perfettamente simmetrico, un passaggio chiave del libro. L’Appunto 21 descrive Cefis come esponente di un nuovo potere clerico-fascista, collegato ad ambienti mafiosi che le sinistre ignoravano totalmente. Per Pasolini l’ENI è il simbolo del potere e Carlo, cioè Mattei, è l’uomo influente in quel periodo di ricostruzione del Paese e acerrimo antagonista di Eugenio Cefis.

L’altra ipotesi sull’uccisione di Pasolini è quella che un gruppo di neofascisti, forse spalleggiati dalla mala vita, lo abbia ucciso sia per dargli una lezione, sia per le sue idee che cercavano sempre verità scomode e nascoste.

Profezie inascoltate

Gli anni settanta ricordano la strage di Brescia (’74), il rischio di un golpe, un Paese attraversato da forti contraddizioni sociali. Per Pasolini sono anni di melma, di un consumismo esasperato, di un falso progresso denunciato con coraggio e in solitudine. La fotografia alla biennale di Venezia, scattata da Marco Tullio Giordana, immortala Aldo Moro con Pier Paolo Pasolini entrambi morti tragicamente senza una verità acquisita. Gli omicidi chirurgici di Moro e Pasolini avvengono in una Italia ancora attraversata dalla guerra fredda, realizzati da menti sopraffini. Con lucida criminalità colpiscono gli anelli strategici di un possibile cambiamento che, ognuno nel suo spazio, Pasolini e Moro rappresentavano nella loro vita.

Pasolini aveva una sua visione del cambiamento nella società. Poche ore prima della sua morte rilasciò un’intervista cruda e spiazzante. Con disarmante capacità profetica Pasolini denunciava che in Italia la forbice tra ricchi e poveri si allargava, mentre il consumismo prometteva a tutti un futuro che non sarebbe mai arrivato. Rileggendo i saggi giornalistici di Pasolini (Lettere luterane e Scritti corsari) fanno più impressione di quanto facessero nel momento della loro pubblicazione. In questi articoli troviamo tutto lo spessore, il carattere, di Pasolini: dolore, provocazione, solitudine, persino con i suoi amici più cari (Moravia, Calvino). Emerge il senso della sofferenza per la sua condizione di omosessuale perseguitato a vita, anche da chi lo avrebbe dovuto difenderlo. Chiara, spiazzante anche oggi, l’idea che sviluppo e progresso si stavano separando. Per Pasolini il totem del consumismo ha creato una omologazione al ribasso che incarcerava le persone nel modernissimo “penitenziario dei consumi”. Il consumismo cancellava anche la meraviglia delle differenze e dei dialetti, riducendo le persone in “merce” da scartare, barattare. Un consumismo che iniziava ad aggredire la natura, il paesaggio, un vero scempio.

Sul tema dell’aborto la posizione di Pasolini non è quella di un integralista cattolica. “Voi siete – accusava Pasolini – favorevoli all’aborto perché non avete il coraggio di mettere in discussione i pregiudizi che avete sulla sessualità”. Pasolini è sempre stato contro l’aborto, ma per la sua legalizzazione perché voleva fermare la criminale pratica clandestina dell’aborto. Sul Corriere della sera, il 20 marzo 1975, scrive: “Chi è a favore dell’aborto? Nessuno, evidentemente. Bisognerebbe essere pazzi per essere a favore dell’aborto. Il problema non è di essere a favore o contro l’aborto, ma a favore o contro la sua legalizzazione. Ebbene io mi sono pronunciato contro l’aborto, e a favore della sua legalizzazione. Naturalmente, essendo contro l’aborto, non posso essere per una legalizzazione indiscriminata, totale, fanatica, retorica. Quasi che legalizzare l’aborto fosse una vittoria allegra e rappacificante. Sono per una legalizzazione prudente e dolorosa”.

11 giugno 2024                                                                Silvio Mengotto

Nelle foto la locandina del libro e una fotografia al festival di Venezia (1964) di Aldo Moro con Pasolini citati nell’articolo

Giacomo Matteotti: 100 anni di antifascismo

Mercoledì 12 giugno alle ore 21,00 presso la Biblioteca Comunale di Bollate “Giacomo Matteotti: cent’anni di antifascismo”.

Il racconto del Presidente Anpc di Bollate: “Giacomo Matteotti è stato ricordato mercoledì sera 12 giugno ’24 a 100 anni dal suo assassinio, nell’incontro organizzato da ANPC Bollate ed ANPI locale. Matteotti era un riformista intransigente che aderì a una idea di socialismo gradualista, riformista. Preso oggi a simbolo dalla sinistra, era in quel momento osteggiato da Gramsci e Togliatti che guardavano al modello sovietico rivoluzionario e avversavano la sua idea di democrazia liberale.

È la ragione per la quale Gramsci lo definisce ‘Pellegrino del nulla’, con parole sprezzanti fino a dopo il ritrovamento del corpo come, ha ricordato il prof Nigro, presidente comitato per le celebrazioni del centenario di Matteotti di Varese . Si distinse anche da Turati che sul fascismo sbagliò analisi ritenendolo un fenomeno effimero, prodotto dai riflessi della guerra, che sarebbe stato riassorbito nello spazio di pochi mesi, per cui non bisognava accettare le provocazioni. Invece Matteotti capì l’organicità dell’uso della violenza nella strategia fascista che la esercitava in modo sistematico per conquistare il potere.

Per questo motivo Mussolini non temeva tanto i comunisti, che invece servivano  al regime da spauracchio verso la borghesia ma il riformista Matteotti che, entrando nel merito del malgoverno fascista, ne svelava la profonda cultura eversiva e antipopolare.

Infatti, attento conoscitore delle politiche economiche e di bilancio, come ha ricordato il prof Granata, Matteotti poco prima del rapimento stava per smascherare un vasto giro di corruzione di alti dirigenti fascisti e per molti storici sarebbe stata questa, più che il discorso alla camera sui brogli elettorali, la causa del suo assassinio. Dopo il 25 aprile 1945 Matteotti fu esaltato nella dimensione martirologica ma non per la sua dimensione politico-culturale essendo per decenni la cultura di sinistra egemonizzata dal pensiero comunista.

Matteotti fu invece un antesignano del centrosinistra moderato ma anche del federalismo europeo perché diceva già più di un secolo fa che l’unica garanzia per avere una pace duratura sarebbe stata quella di unire l’Europa in uno Stato federale.

Il centenario dell’omicidio di Matteotti vede moltissime iniziative e il rischio di parlare di un antifascismo generico è diffuso; con questo intervento l’Associazione Partigiani Cristiani di Bollate ha inteso invece porre l’attenzione su quanto Giacomo Matteotti ha rappresentato nella storia italiana e sulla attualità del suo pensiero. Giovanni Ravelli (Presidente ANPC Bollate)”.

Qui di seguito la locandina.

80° Anniversario della Liberazione della Città di Terni

In occasione dell’ 80° Anniversario della Liberazione della Città di Terni, il 13 giugno 2024, sono state organizzate una serie di iniziative dal Comitato Provinciale di Terni dell’Anpc, dell’Anpi e dell’Anppia e in collaborazione con il Comune.
Il programma ha previsto alle ore 10,00 in piazza della Repubblica, raduno dei rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni combattentistiche e d’Arma, alla presenza delle autorità civili, militari e religiose. A seguire la deposizione della corona da parte dell’Amministrazione comunale e onore ai Caduti, con una breve prolusione dello storico Angelo Bitti; alle 10.45, deposizione corone e onore ai Caduti, presso la rotonda Partigiani, la rotonda Alfredo Filipponi, la lapide che ricorda Aspromonte Luzzi e presso la targa Belvedere 13 giugno sotto il ponte Carrara.

Nella foto il nostro Consigliere Nazionale Alberto Liurni

Giacomo Matteotti. Commemorazione a Piacenza il 14 giugno

ANPC Piacenza e ANPI Piacenza in collaborazione con l’associazione Cittàcomune, ricorderanno  l’insegnamento ed il lascito etico-politico del deputato socialista Giacomo Matteotti, assassinato dai fascisti il 10 giugno 1924, in occasione di un incontro, coordinato dal direttore del quotidiano Libertà, Pietro Visconti, che si terrà, come da programma/locandina allegata, venerdì 14 giugno p.v. alle ore 17,30 a Piacenza presso l’auditorium della Fondazione Piacenza e Vigevano in via S. Eufemia, 12. 

All’iniziativa, che si è voluta aprire all’adesione più ampia possibile per ricordare la figura di Matteotti in tutta la sua attività politica, quale consigliere in comuni del Polesine, consigliere provinciale di Rovigo e componente della Camera dei Deputati, dove aveva cercato di affermare la funzione imprescindibile delle assemblee elettive – in quanto e se libera espressione dei cittadini – per il progresso sociale nella libertà e per l’emancipazione nella libertà delle masse lavoratrici,  prenderanno parte esponenti delle associazioni, delle tre confederazioni sindacali dei lavoratori e gli eletti piacentini nelle più rappresentative istituzioni pubbliche del nostro sistema democratico: dalle componenti, di maggioranza e opposizione del Consiglio provinciale, e da sei  gruppi consiliari sui nove che compongono il Consiglio comunale di Piacenza.

Ricordiamo che  il 30 maggio 1924 Matteotti aveva tenuto alla Camera un vigoroso discorso di denuncia del modo in cui Mussolini e i fascisti, tramite lo stravolgimento della legge elettorale e con nuove violenze ed intimidazioni, nelle elezioni del 6 aprile di quell’anno si erano assicurata una maggioranza di oltre i due terzi dei parlamentari. Ma ai fascisti, che già con la violenza fino all’assassinio, e quindi con il terrore, avevano cacciato gli amministratori delle Province e dei Comuni liberamente eletti e abbattuto le libere organizzazioni del mondo del lavoro, non bastava essersi assicurato il dominio anche della Camera dei deputati. Non potevano nemmeno ammettere in quella alcuna voce critica. Così al mattino del 10 giugno Matteotti fu preso mentre usciva di casa per recarsi al Parlamento, caricato di forza su una auto e ucciso subito a pugnalate. L’assassinio produsse al momento in Italia una ondata d’indignazione, ma indicò anche quale sarebbe stato il destino degli oppositori al fascismo. Mussolini non ebbe così difficoltà a varare le leggi speciali liberticide che vietavano e reprimevano duramente ogni forma di opposizione alla dittatura fascista. Mario Spezia (presidente provinciale Associazione Nazionale Partigiani Cristiani di Piacenza)

Pubblichiamo la locandina/programma dell’iniziativa comune fra più soggetti culturali, sindacali e politici, sulla figura ed il lascito morale e politico di Giacomo Matteotti, assassinato dai fascisti il 10 giugno 1924, auspicando diffusione e partecipazione.

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