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Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

21 dicembre 1943 – La lettera di Giancarlo Puecher

foto-PUECHERLA LETTERA-TESTAMENTO DI GIANCARLO PUECHER SCRITTA PRIMA DI ESSERE FUCILATO

21 dicembre 1943

Muoio per la mia patria.

Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni.

 Iddio mi ha voluto, accetto con rassegnazione il suo volere (…).

Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono.

Viva l’Italia.

Raggiungo con cristiana rassegnazione la mia mamma che santamente mi educò e mi protesse per i vent’anni della mia vita.

L’amavo troppo la mia patria, non la tradite e voi giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale.

Perdono a coloro che mi giustiziano, perché non sanno quello che fanno e non pensano che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia (…).

A te papà vada l’imperituro grazie per ciò che  sempre mi permettesti di fare e mi concedesti.

Ginio e Gianni siano degni continuatori delle gesta eroiche della nostra famiglia e non si sgomentino di fronte alla mia perdita. I martiri convalidano la fede in una vera idea. Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la sua volontà.

Baci a tutti.      Giancarlo Puecher Passavalli

Puecher, il nome della libertà di Arturo Colombo (dal Corriere  della Sera del 22/09/2013)

Pochi lo sanno, ma la prima medaglia d’oro al valor militare della Resistenza è stata assegnata a Giancarlo Puecher, un giovane fucilato ventenne la notte del 23 dicembre 1943 davanti al muro del cimitero nuovo di Erba. «Questi i reati compiuti dal bandito Puecher», spiccava come titolo sul quotidiano milanese La Sera, e pochi giorni dopo La Provincia di Como rincarava la dose: «Puecher era un delinquente reo di parecchi gravissimi delitti».Nulla di più falso, perché Puecher era uno studente universitario, iscritto a giurisprudenza alla Statale di Milano, che in quel periodo di guerra stava coi propri familiari in una villa di Lambrugo, e solo il 13 settembre del ’43 era entrato a far parte di un gruppo partigiano di Ponte Lambro. Era un cattolico convinto, con una forte passione per gli sport, dall’atletica all’automobilismo e all’aviazione (tanto da ottenere il brevetto di pilota civile). Ma in quel periodo, così drammatico, non ammetteva che si potesse rimanere indifferenti; tant’è vero che con un altro giovane, Franco Fucci, aveva cercato subito di rifornire i partigiani con viveri e vestiario ma anche con armi e carburante, fedele ai principi di libertà, imparati frequentando padre David Maria Turoldo.È appena uscito un ottimo testo di Giuseppe Deiana, «Nel nome del figlio» (ed. Mursia), che ricostruisce «la famiglia Puecher nella Resistenza» (perché anche il padre sarà deportato e morirà nel lager di Mauthausen). Infatti, all’indomani dell’omicidio di due fascisti, vengono istituiti posti di blocco, oltre al coprifuoco, e la sera del 12 novembre 1943 il giovane Puecher è fermato, trattenuto in arresto e sottoposto a violenze. Ma la successiva uccisione di Aldo Resega, federale di Milano, provoca un’ulteriore rappresaglia, che comporta l’immediato processo sotto la falsa accusa di aver «promosso, organizzato e comandato una banda armata di sbandati dell’ex esercito allo scopo di sovvertire le istituzioni dello Stato». Questo pseudo-processo si conclude rapidamente con la condanna a morte; e subito dopo, la sera del 21 dicembre, Puecher viene fucilato, dopo aver scritto una lettera nobilissima, dove si legge, fra l’altro: «Muoio per la mia Patria. L’amavo troppo la mia patria, non la tradite e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale». Milano gli ha dedicato una scuola e una piccola trasversale di viale Monza. Ma dal 1955 è il Centro intitolato al suo nome che tiene viva l’esemplare lezione di vita di Giancarlo Puecher

 

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